Sanzioni disciplinari: legittima la sospensione del legale che ha indebitamente trattenuto le somme spettanti al cliente (Cass. n. 17652/2013)

Redazione 19/07/13
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Svolgimento del processo

Con decisione pronunciata in data 15 ottobre 2008, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca infliggeva all’Avv. B. L. la sanzione disciplinare della sospensione dalla professione forense per mesi sei poichè, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 5 c.d.f.), lealtà e correttezza (art. 6 c.d.f.), fedeltà (art. 7 c.d.f.), diligenza (art. 8 c.d.f.), fiducia (art. 35 c.d.f.), informazione (art. 40 c.d.f.), gestione di denaro altrui (art. 41 c.d.f.), restituzione di documenti (art. 42 c.d.f.), richiesta di pagamento (art. 43 c.d.f.), patto di quota lite (art. 45 c.d.f.), obbligo di corrispondenza con il collega (art. 27 c.d.f.):

– non aveva risposto alle ripetute richieste di informativa sullo stato della pratica (relativa ad una richiesta di risarcimento del danno) formulate da altro collega, Avv. ****, con il quale si era messa in contatto solo dopo otto mesi e tre solleciti da parte dello stesso;

– aveva omesso di comunicare al cliente (soc. SNAP LINE) e ai suoi procuratori, di aver sottoscritto una quietanza che prevedeva la definizione del danno per complessivi Euro 35.000,00 e la liquidazione del suo compenso nell’ammontare di Euro 5.000,00, a nulla rilevando la circostanza che la società, all’oscuro di tanto, avesse poi manifestato la propria accettazione per il minor importo di Euro 25.000,00;

– aveva indebitamente trattenuto tali somme, di spettanza della SNAP LINE e, pur avendo aperto due libretti al portatore di Euro 12.500,00 ciascuno, intestati a S.P., socio della SNAP LINE, non aveva mai consegnato i predetti titoli allo S., come dalla stessa B. ammesso all’udienza del 01.10.2008.

Avverso tale decisione, l’Avv. B.L. proponeva ricorso al C.N.F. con il quale, sulla base di tre motivi di doglianza, lamentava una erronea ricostruzione dei fatti da parte del C.O.A. di Lucca, una mancata considerazione di elementi di prova a favore della ricorrente e, infine, una eccessività della sanzione.

Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza del 20 luglio 2012, rigettava il ricorso.

Con riferimento al primo motivo di doglianza, notava il C.N.F. che, al contrario di quanto prospettato dalla ricorrente, il C.O.A. aveva dato corso ad un’istruttoria approfondita sia sotto il profilo testimoniale che sotto quello documentale, curandosi di dare compiutamente conto del percorso logico-argomentativo che aveva portato alla decisione sanzionatoria. In particolare, l’escussione dei testi e le acquisizioni documentali, oltre alle ammissioni della stessa B., avevano consentito di accertare la sussistenza dei capi di incolpazione sulla cui base il C.O.A. aveva emesso la sanzione.

Il C.N.F. rigettava altresì il secondo motivo di censura, rilevando che dal corso dell’istruttoria esperita era incontrovertibilmente emerso che l’Avv. B. aveva trattenuto indebitamente le somme spettanti alla SNAP LINE e non aveva reso alcun conto della gestione operata, non avendo la ricorrente fornito prova dell’asserito rifiuto della SNAP LINE di ricevere le somme in questione.

Infine, il C.N.F. rigettava il terzo motivo di ricorso, ritenendo congrua la sanzione inflitta dal C.O.A. in relazione alla gravità dei fatti ascritti e ai precedenti della ricorrente (che aveva subito sanzioni di cancellazione e censura).

Avverso questa sentenza, l’Avvocato B.L. ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Avvocato B.L. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), carenza di motivazione e vizio della stessa per omesso esame di documenti allegati decisivi per il giudizio. La ricorrente si duole del fatto che il Consiglio Nazionale Forense, nell’impugnata decisione, non abbia dato conto in motivazione, in merito alle ascritte violazioni deontologiche, del contenuto della memoria difensiva depositata in occasione della discussione e delle circostanze in essa evidenziate.

In particolare, nella detta memoria si evidenziava che erroneamente il C.O.A. non aveva considerato che la SNAP LINE aveva dato esclusivo incarico all’Agenzia di infortunistica di cui era titolare il D. e che questi aveva preteso il rilascio di una procura alla incolpata solo per praticità.

Inoltre, la ricorrente si duole che il C.N.F. non abbia minimamente preso in considerazione la sentenza del Tribunale penale di Lucca del 7 giugno 2010, allegata alla memoria, resa in un procedimento nel quale l’odierna ricorrente e il sig. D.R. (titolare della Agenzia di Infortunistica a cui la SNAP LINE aveva dato esclusivo incarico) erano stati imputati dei delitti di cui agli artt. 110, 380 e 646 c.p., e art. 61 c.p., n. 11), poichè “in concorso tra loro, ed essendo la B. incaricata come legale di seguire la vicenda in nome e per conto della ditta SNAP LINE, si impossessavano a scopo di profitto delle somme liquidate a favore di quest’ultima e delle quali avevano possesso in ragione dell’ufficio della B.”.

Orbene, la ricorrente osserva che tale sentenza l’aveva assolto dal reato di patrocinio infedele di cui all’art. 380 c.p., per insussistenza del fatto e aveva dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per rimessione della querela, in ordine al reato di appropriazione indebita, non sussistendo la contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11).

2. Il ricorso è infondato.

La ricorrente si è limitata a rilevare che il C.N.F. non avrebbe tenuto conto della memoria depositata in sede di discussione, e segnatamente della sentenza penale ad essa allegata, ma ha omesso di specificare le ragioni della rilevanza, in relazione alle contestazioni disciplinari rivoltele, delle circostanze desumibili dalla menzionata sentenza.

In proposito, appare sufficiente osservare che la detta rilevanza, in ordine alla quale – come si è appena detto – non vi è stata alcuna specifica deduzione da parte della ricorrente, appare all’evidenza insussistente. Invero, da un raffronto tra le incolpazioni ascritte alla ricorrente, ritenute sussistenti dal C.O.A. con la decisione confermata dal C.N.F., e quelle oggetto della sentenza penale emerge che tra gli addebiti disciplinari non vi è quello riferibile al reato di patrocinio infedele, dal quale la ricorrente è stata assolta, mentre la statuizione di non doversi procedere per rimessione della querela in ordine alla imputazione di appropriazione indebita -illecito, questo, che trova un riscontro tra le incolpazioni per le quali la ricorrente è stata sanzionata disciplinarmente – non spiega, all’evidenza, alcuna efficacia in ordine alla sussistenza del fatto come accertato dalla decisione impugnata. La impossibilità di procedere ad un accertamento di responsabilità in sede penale, per il venir meno di una condizione di procedibilità, infatti, lascia inalterato l’ambito della valutazione rimessa al C.N.F., così come ininfluente, sul piano delle contestazioni disciplinari per come accertate sussistenti dalla decisione impugnata, risulta l’affermazione contenuta nella detta sentenza in ordine alla inesistenza di un rapporto professionale tra il querelante S.P. e la ricorrente.

In sostanza, in assenza di specifiche indicazioni da parte della ricorrente, il mancato esame dei documenti prodotti in sede di udienza dinnanzi al C.N.F. si rileva non decisivo, e quindi inidoneo a determinare la cassazione della decisione impugnata per il denunciato vizio di motivazione.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi luogo a provvedere sulle spese non avendo l’intimato Consiglio dell’ordine svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2013.

Redazione