Sanzioni disciplinari: è lecito sanzionare l’avvocato che ha sottoscritto un atto contenente espressioni offensive, anche se redatto dal difensore che lo assiste (Cass. n. 17776/2013)

Redazione 22/07/13
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Svolgimento del processo

Con decisione del 22 settembre 2012 il C.N.F. ha respinto il ricorso dell’avv. L. D.
avverso la decisione del *** di C. che gli aveva inflitto la sanzione dell’avvertimento per aver usato espressioni offensive ed allusive nei confronti del sostituto procuratore dott. S. nell’ atto di opposizione alla sua richiesta di archiviazione, affermando la necessità da parte dei magistrati di frequentare scuole di perfezionamento per non incorrere in errori di diritto, ipotizzando altresì un eventuale favoritismo nei confronti di un quotidiano edito a C. Invitato a difendersi, il professionista chiariva che il riferimento alla Scuola era da riferire alla necessità della separazione delle carriere, e l’atto di opposizione era sostanzialmente corretto, mentre si era lamentato della non puntuale notizia apparsa sul quotidiano di C. sia nell’ aver definito il proprio assistito non reperibile, pur essendogli stato notificato un avviso di convocazione, sia per avergli attribuito precedenti penali in relazione ai procedimenti in corso.
Il COA riteneva disciplinarmente rilevante il comportamento dell’ avv. D., anche in relazione alla violazione dell’ art. 53 c.d.f., ma considerava, nell’applicazione della sanzione, la giovane età del professionista e la conseguente inesperienza nello scrivere.
In appello l’incolpato reiterava le sue difese, ma aggiungeva che l’atto di opposizione era stato redatto dall’avv. A., di cui allegava la conforme dichiarazione, e perciò chiedeva che fosse esclusa la sua commissione del fatto.
Rimessi gli atti al *** per le valutazioni di competenza, con nota del luglio 2011 il Consiglio ribadiva di aver aperto due procedimenti disciplinari nei confronti dell’ avv. A. – uno dei quali coincidente con quello a suo tempo avviato nei confronti del comunicando altresì di non aver aperto nei confronti di costui nessun altro procedimento per il comportamento successivo agli addebiti contestati.
Il C.N.F. nel respingere l’impugnazione, rilevava: 1) nella seduta del 13 marzo 2007 l’avv. A., allora difensore del D., si era richiamato alla lettura dell’atto di opposizione, ed aveva affermato la legittimità della critica del suo assistito, provocata da palesi errori lesivi della sua dignità e da indagini assolutamente non condivisibili, aggiungendo di aver egli stesso partecipato alla stesura dell’atto di opposizione, senza però affermare che i magistrati erano succubi dei poteri forti; 2) quindi in tale data l’avv. A non aveva escluso la partecipazione del D. alla stesura dell’atto di opposizione all’archiviazione e non aveva né affermato che questi si fosse limitato alla querela per conto dei suo assistito, né di aver autonomamente redatto l’istanza di opposizione all’archiviazione; 3) perciò la dichiarazione che l’avv. D. ha prodotto in appello è in contrasto con detta difesa e con lo stesso ricorso del D. in cui afferma, nella qualità di difensore del querelante, di essersi opposto all’archiviazione, la cui paternità dell’atto ha ripetuto nelle sue difese; 4) l’atto di opposizione, timbrato per il deposito, reca la firma per esteso del solo avv. ***** è assolutamente corrispondente a quella con cui ha trasmesso la successiva dichiarazione dell’ avv. A e a quella apposta in calce al ricorso, e secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio Forense, della Corte di legittimità e del Consiglio di Stato, tanto è sufficiente per la paternità dello scritto; 6) le espressioni usate nei confronti del magistrato inquirente erano di incompetenza professionale e di violazione dell’obbligo di imparzialità e perciò configuravano l’illecito di cui all’art. 53 del codice deontologico.
L’avv. D. ricorre per cassazione. L’intimato *** non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del codice deontologico. Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo dedotto dalla parte in riferimento all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5″ per non avere il Consiglio considerato che in sede di difesa dinanzi al COA dell’ avv. D., l’ avv. A. ha scelto la strategia difensiva ritenuta più opportuna, che però non può prevalere sulla verità dei fatti come poi emergono dalla sua successiva dichiarazione del 10 ottobre 2008 secondo cui l’atto di opposizione l’ha redatto lui stesso, sottoscritto e presentato, al contempo escludendo qualsiasi partecipazione all’atto dell’ avv. D. Quindi sussiste un errore di fatto e di diritto nell’interpretazione di tale dichiarazione. Del resto anche negli atti di impugnazione e successivi non emerge una attribuzione di paternità dell’atto pur avendo egli usato le espressioni: ” .. dal sottoscritto è stata presentata istanza di archiviazione..; ..
rimane la contrarietà espressa con l’atto di opposizione.; .. il sottoscritto ha presentato le note di opposizione ampiamente motivate..; .. espressioni mai utilizzate né espresse nel proprio atto difensivo” – ma soltanto una difesa correlata alla presenza della sua formale sottoscrizione dell’atto di opposizione e comunque la dichiarazione a firma dell’ avv. A. fa venir meno, sul piano tecnico- giuridico, l’imputabilità della violazione all’ avv. D. ed infatti all’avv. A. è stata contestata la stessa violazione. Quindi, poiché con tale dichiarazione vi è una diversa attribuzione di paternità, ne consegue che la firma a suo nome è altrui e soltanto somigliante alla sua.
2.- Con il secondo motivo lamenta: “Eccesso di potere e violazione di legge” per aver il Consiglio applicato principi civilistici per infliggere la sanzione disciplinare che invece va correlata ad un comportamento che l’ avv. A. ha dichiarato non esser attribuibile all’avv. D. malgrado il dato formale apparente della sua firma.
I motivi, congiunti, sono infondati.
Infatti il C.N.F. ha correttamente applicato il principio secondo il quale la sottoscrizione di un atto – nella specie di opposizione all’archiviazione, redatto dal difensore nell’interesse della persona offesa dal reato, ai sensi degli art. 101 e 410 del codice di procedura penale – ne individua la paternità e la provenienza e, nel valutare la successiva linea difensiva secondo la quale l’atto sarebbe invece da
attribuire all’ avv. A., ha, con motivazione ampia e corretta, giuridicamente e logicamente, rilevato sia che la firma dell’ avv. D. apposta sull’atto di opposizione – di cui solo in questa sede si afferma l’altruità della scrittura – è ictu oculi la medesima apposta in calce al ricorso e alla nota con cui ha trasmesso la dichiarazione dell’ avv. A., sia l’inconciliabilità di tale successiva linea difensiva
con quella originaria, secondo cui l’atto di opposizione da D. presentato esprimeva soltanto la sua contrarietà, senza intenzioni offensive nei confronti del magistrato.
Non si deve provvedere sulle spese non avendo l’intimato Consiglio dell’Ordine svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 9 aprile 2013

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