Sanzioni amministrative: sono più “genuine” le dichiarazioni rese dai dipendenti in sede di ispezione (Cass. n. 18551/2012)

Redazione 29/10/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 7 agosto 2009 la Corte di Appello di Salerno rigettava il gravame proposto dalla soc. RIMOA a r.l. e da N.M. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno, che aveva respinto le opposizioni aventi ad oggetto: 1) il verbale ispettivo redatto il 15.12.2008, con cui erano stati invalidati i contratti di formazione e lavoro stipulati dalla predetta società con otto dipendenti; 2) le cartelle esattoriali n. (omissis), con le quali era stato chiesto il pagamento della somma di L. 416.889.773 e della somma di Euro 49.477,94 a titolo di contributi previdenziali, interessi di mora e somme aggiuntive; 3) l’ordinanza ingiunzione n. 318/99, con la quale era stato chiesto alla Rimoa s.r.l. e a N.M. il pagamento della somma di L. 2.700.000 a titolo dì sanzione amministrativa per non avere provveduto a sanare l’esposizione debitoria entro il termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 36.

Osservava la Corte di appello che il giudice di primo grado aveva ritenuto di dare maggiore credito a quanto dichiarato dai lavoratori nel corso dell’accertamento ispettivo rispetto alla versione dei fatti fornita dai testi in sede istruttoria. La Corte di appello condivideva tale giudizio rilevando che la prima versione si presentava dotata di un maggiore grado di attendibilità e genuinità anche per l’univocità delle dichiarazioni e la circostanziata descrizione dei fatti, con la conseguenza che non era stata provata la causa formativa del contratto; i lavoratori avevano svolto mansioni diverse da quelle per le quali i contratti erano stati conclusi ed avevano continuato prevalentemente ad occuparsi delle medesime attività alle quali erano stati adibiti in occasione di precedenti contratti di formazione e lavoro. La Corte territoriale respingeva l’eccezione di genericità delle cartelle di pagamento e quella vertente sulla violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la ******à Rimoa a r.l., affidandolo a otto motivi.

Resistono, con controricorso, l’INPS e l’INAIL, mentre il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali si è costituito al solo fine della partecipazione alla discussione orale.

Equitalia E.TR. s.p.a. e la Direzione provinciale del lavoro di Salerno sono rimasti intimati.

La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con i primi tre motivi, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., artt. 1697 e 2700 cod. civ. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3) e vizio di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., n. 5), sostenendosi l’erronea interpretazione dei principi che regolano la valenza indiziaria delle informazioni trasfuse nei verbali ispettivi, pure in relazione alla possibilità che queste siano invalidate dalla prova contraria; l’erronea valutazione delle dichiarazioni rese dai lavoratori nel corso dell’ispezione; l’omessa considerazione delle contrarie risultanze della prova testimoniale.

Con il quarto e il quinto motivo, si deduce la violazione dei principi regolatori del giusto processo (art. 111 Cost.) in relazione all’obbligo di motivazione e alla garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.), anche per mancato esaurimento della prova testimoniale con l’audizione di tutti i testi ammessi.

Con il sesto motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione della L. 19 dicembre 1984, n. 863 e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3), nonchè vizio di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., n. 5) per avere la Corte di appello omesso di interpretare le risultanze istruttorie alla luce del fatto che la figlia dell’amministratore, consulente vetrinista, era incaricata della formazione, come indicato nel programma approvato dalla competente commissione regionale.

Con il settimo motivo, si censura la sentenza per violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, sostenendosi che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto le impugnative del verbale di accertamento e delle cartelle esattoriali avesse fatto venire meno l’esigenza della pregiudiziale verifica della legittimità e della fondatezza dell’accertamento effettuato dagli organi ispettivi.

Con l’ottavo motivo, si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 13, comma 8, e del D.M. 3 settembre 321, nonchè per vizio di motivazione, anche in relazione dei principi costituzionali del giusto processo (art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 360 bis cod. proc. civ., n. 2), per avere la Corte territoriale omesso di esaminare la eccepita nullità della cartella esattoriale per erronea indicazione del soggetto creditore, in violazione della prescrizione contenuta nel richiamato D.M., e per mancata indicazione tra i titolari del credito del cessionario S.C.CI. s.p.a..

In sede di controricorso, l’INAIL ha eccepito, in via preliminare, la tardività del ricorso in quanto proposto oltre il termine breve per impugnare, scadente nella giornata di sabato (14 novembre 2009), per l’ipotesi in cui sia ritenuta non applicabile la nuova formulazione dell’art. 155 cod. proc. civ., comma 5; il proprio difetto di legittimazione passiva; l’inammissibilità del ricorso a norma dell’art. 360 bis cod. proc. civ., introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che, all’art. 47, comma 1, lett. a), ha previsto un esame preliminare di ammissibilità del ricorso, tale da esigere in capo al ricorrente l’onere di indicare specificamente i precedenti giurisprudenziali che non sarebbero stati applicati dai giudici di merito o i principi del giusto processo che sarebbero stati violati.

L’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività è infondato.

L’art. 155 cod. proc. civ., comma 4, prevede che “se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto il primo giorno seguente non festivo”. Il comma 5, dello stesso articolo, aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. F), con effetto dal 1 marzo 2006 per i procedimenti iniziati dopo tale data, prevede che “la proroga prevista dal comma 4, si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato”. Tale norma è applicabile anche ai procedimenti (come quello in esame) pendenti alla data del 1 marzo 2006 in virtù della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 3, con l’ulteriore precisazione che tali disposizioni si applicano solo ai termini in scadenza dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 e non anche ai termini che a tale data risultino scaduti (Cass. ord. 5 aprile 2011 n. 7841).

Nel caso in esame, il termine di sessanta giorni di cui all’art. 325 cod. proc. civ., comma 2, decorrente dal 15 settembre 2009, veniva a scadere (dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009) nella giornata di sabato 14 novembre 2009, con proroga de iure al lunedì successivo (16 novembre 2009), data in cui è stato tempestivamente attivato il procedimento notificatorio.

Quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, l’Istituto aveva l’onere di proporla con ricorso incidentale, mancando, in ordine al ricorso per Cassazione, una norma parallela a quella dell’art. 346 cod. proc. civ., che consente in appello la pura e semplice riproposizione delle domande e delle eccezioni non accolte in primo grado. Il controricorso ha funzione limitata alla difesa contro il ricorso avversario, con esclusione di ogni finalità impugnativa; questa è realizzabile soltanto con il ricorso incidentale, eventualmente condizionato (anche in ordine a questioni preliminari o pregiudiziali) (cfr. ex plurimis, Cass. sent. 22 giugno 2001 n. 8537; 19 settembre 2000 n. 12386).

Riguardo all’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata con riferimento all’art. 360 bis cod. proc. civ., n. 2 – che contempla l’ipotesi di manifesta infondatezza della censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo -, deve rilevarsi che le disposizioni dettate con gli artt. 376 e 380 bis cod. proc., descrivono il procedimento preordinato all’esame preliminare del ricorso, onde stabilire se esso debba essere dichiarato inammissibile ovvero accolto o rigettato per essere in modo manifesto fondato o infondato. Tale esame è già avvenuto in sede dì vaglio preliminare di ammissibilità del ricorso operato dalla apposita Sezione di questa Corte.

Per altro verso, deve osservarsi che la “violazione dei principi regolatori del giusto processo”, di cui alla clausola di cui al n. 2 dell’art. 360 bis, non costituisce una nuova categoria di vizi denunciabili con il ricorso, come sembra ritenere parte ricorrente con il quarto e il quinto motivo. Con la clausola suddetta, il legislatore non ha introdotto un nuovo motivo di ricorso accanto a quelli di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, ma ha segnato unicamente le condizioni per la sua rilevanza, mediante l’introduzione uno specifico strumento con funzione di “filtro”, sì che sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi che possono essere denunciati con il ricorso per cassazione.

Le relative censure sono pertanto inammissibili.

I primi tre motivi del ricorso, che possono essere trattati congiuntamente involgendo questione tra loro connesse, sono infondati.

Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, i verbali redatti dagli ispettori del lavoro, o comunque dai funzionari degli enti previdenziali, fanno fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., solo relativamente alla loro provenienza dal sottoscrittore, alle dichiarazioni a lui rese ed agli altri fatti che egli attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese da terzi o in seguito ad altre indagini, i verbali, per la loro natura di atto pubblico, hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (Sezioni Unite, sent. n. 916 del 3 febbraio 1996; conf. nn. 3973 e 7168 del 1998; nn. 3374 e 5141 del 1999; n. 5227 del 2001, n. 13003 del 2003; n. 12009 del 2004).

La censura secondo cui la Corte di appello avrebbe violato i principi di diritto di cui agli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e artt. 2697 e 2700 cod. civ., non è fondata, atteso che non è stato attribuito al verbale ispettivo alcun valore di prova privilegiata, ma le circostanze riferite dai lavoratori sono state motivatamente apprezzate in una valutazione comparativa con le risultanze istruttorie, privilegiando le prime per una serie di argomenti di ordine logico, nemmeno specificamente censurati dalla ricorrente.

In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. 12 febbraio 2004 n. 2707).

Il ricorso in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede.

Quanto al vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), premesso che questo può rilevare solo nei limiti in cui l’apprezzamento delle prove – liberamente valutabili dal giudice di merito, costituendo giudizio di fatto – si sia tradotto in un iter formativo di convincimento affetto da vizi logici o giuridici, restando altrimenti insindacabile, deve rilevarsi che risultano enucleabili – nel pur ampio contesto narrativo dell’impugnazione, recante la integrale trascrizione delle deposizioni – soltanto tre censure dotate di un sufficiente grado di specificità rispetto alla motivazione della sentenza impugnata.

Si sostiene che la Corte di appello avrebbe trascurato di considerare alcuni fatti di importanza determinante: a) l’allestimento delle vetrine era curato dalla figlia del titolare, quale responsabile della formazione delle lavoratrici assunte per l’acquisizione della professionalità di vetrinista; b) la lavoratrice assunta per la formazione alla qualifica di contabile aveva riferito di avere svolto operazioni proprie di tale qualifica, come registrazioni relative a fornitori, pagamenti e fatture; c) altra lavoratrice si era assentata per diversi e consecutivi periodi di maternità, per cui nessuna prova poteva dirsi acquisita circa la non conformità delle mansioni al progetto, stante la brevità del rapporto di lavoro; analogamente era avvenuto per un altro dipendente, assentatosi lungamente per motivi di salute.

I fatti dedotti con tali censure sono privi di decisività.

La circostanza che la figlia del responsabile fosse indicata come incaricata della formazione nei progetti approvati in sede amministrativa non dimostra che l’obbligo formativo sia stato effettivamente assolto. I giudici di merito hanno ritenuto che il dato emerso in sede ispettiva – secondo cui “l’allestimento delle vetrine è stato sempre curato dalla figlia del responsabile, sig.ra N.” – fosse da interpretare alla stregua delle informazioni acquisite dagli ispettori, che nessun riferimento contenevano all’attività di formazione ed erano incentrate sul perdurante svolgimento, da parte delle dipendenti assunte per l’apprendimento della qualifica di vetrinista, delle mansioni di commesse che queste avevano svolto in precedenza, in occasioni di altri c.f.l..

Quanto alla lavoratrice assunta con c.f.l. per l’acquisizione della qualifica di contabile, nessun errore di valutazione o vizio logico è ravvisabile nella motivazione che ha ritenuto, anche in questo caso, il perdurante esercizio delle medesime attività svolte in occasione di un precedente contratto di formazione. La lavoratrice aveva dichiarato agli ispettori che nel secondo periodo di attività (quello oggetto di accertamento) aveva “svolto lo stesso lavoro del periodo precedente (…)” e che si era occupata anche delle registrazioni contabili (“e mi occupavo anche delle registrazioni contabili”). Il significato attribuito dal giudice di merito non contrasta con il senso delle parole usate dalla teste, ben potendo la congiunzione “e” indicare il solo coordinamento aggiuntivo di due elementi della frase che hanno la stessa funzione sintattica, indicando che vale per il secondo ciò che si dice per il primo e, dunque, che anche in occasione del precedente contratto di formazione e lavoro per la qualifica di contabile d’ordine la lavoratrice si era occupata anche delle registrazioni contabili.

Quanto ai lavoratori rimasti assenti lungamente per maternità o malattia, è logicamente sostenibile che il difetto di conformità al programma formativo possa ritenersi sussistente anche a fronte di un breve periodo di svolgimento del rapporto, in mancanza di elementi che facciano ritenere che, se i lavoratori non si fossero assentati, le modalità sarebbero state diverse da quelle riscontrate.

I denunciati vizi di motivazione sono dunque insussistenti.

Le ulteriori censure, di ordine processuale, attengono alla omessa trascrizione delle deposizioni testimoniali e al mancato completamento della prova testimoniale.

Circa il primo rilievo, a parte l’oscurità della censura, che non lascia comprendere sotto quale profilo il diritto di difesa sarebbe stato violato, nessun obbligo nè onere di trascrizione integrale delle deposizioni gravava sul giudice, la cui omissione non comporta alcun nullità della sentenza, come invece infondatamente prospettato dalla parte.

Ci si duole, inoltre, che il giudice di primo grado abbia dichiarato chiusa l’istruzione dopo l’audizione dei primi tre testi, trattenendo la causa in decisione, senza procedere al completamento della prova con gli altri tre testi ammessi, regolarmente citati, ma non comparsi per l’udienza fissata.

Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto, per potere ipotizzare una omessa pronuncia, la parte avrebbe dovuto dedurre e dimostrare di avere devoluto la questione al giudice del gravame mediante la formulazione di un motivo di impugnazione, mentre il ricorso per cassazione è privo di qualsiasi indicazione al riguardo. Altro profilo di inammissibilità è rinvenibile nell’assenza di qualsiasi deduzione sul carattere decisivo del mancato completamento della prova, pure considerato che i testi – per quanto si desume dal ricorso – avrebbero dovuto deporre sulle stesse circostanze su cui erano già stati ascoltati i primi tre testimoni, la cui versione è stata ritenuta non accreditabile dai giudici di merito di primo e di secondo grado con argomentata soluzione interpretativa.

Riguardo al sesto motivo, si è già detto del carattere non decisivo dell’avere la figlia dell’amministratore assunto la veste di soggetto formatore nel programma presentato alla Commissione regionale per l’impiego della Regione Campania, elemento del tutto inidoneo – di per sè – ad inficiare la fondatezza delle risultanze probatorie circa il vizio funzionale del rapporto.

Con il settimo motivo, si lamenta violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, che al comma 3 dispone che “se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”, sostenendosi che la riunione delle impugnative del verbale di accertamento e delle cartelle esattoriali, dando luogo alla contestuale definizione dei giudizi, ha precluso il pregiudiziale accertamento della legittimità e fondatezza dell’accertamento effettuato dagli organi ispettivi.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha respinto l’eccezione incentrata sulla presunta violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, dal momento che il giudice di primo grado aveva legittimamente disposto la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto le impugnative del verbale di accertamento e delle cartelle esattoriali ed ha quindi proceduto alla contestuale definizione dei due giudizi.

La ricorrente prospetta che, con tale motivazione, la Corte avrebbe omesso di considerare che l’INPS aveva proceduto alla iscrizione a ruolo e alla emissione delle cartelle di pagamento pur a fronte della pendenza del giudizio di accertamento avente ad oggetto il verbale ispettivo.

In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. da ultimo, Cass. ordinanza n. 4220 del 2012).

In virtù del principio di autosufficienza parte ricorrente avrebbe dovuto indicare in quale sede giudiziaria la questione venne introdotta e gli esatti termini della stessa. Nel caso specifico, il difetto di tali allegazioni gravanti sul ricorrente per cassazione non consente di comprendere se l’impugnazione dell’accertamento si sia collocata temporalmente prima o dopo l’iscrizione a ruolo effettuata dall’ufficio e nemmeno se avesse formato oggetto di contestazione, e in quali termini, nel giudizio di merito, la legittimità dell’iscrizione a ruolo rispetto alla proposizione dell’azione di accertamento negativo del credito contributivo.

Peraltro, in punto di diritto, la riunione dei giudizi non solo era ammissibile, stante l’evidente connessione delle cause, ma ha consentito altresì di evitare soluzioni processuali contrastanti (cfr., Cass. n. 16203 del 2008).

Con l’ottavo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 13, comma 8 e del D.M. 3 settembre 321, nonchè vizio di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., n. 5) per avere la Corte territoriale omesso di esaminare l’eccezione di nullità della cartella esattoriale.

Anche tale motivo è inammissibile.

La questione è stata erroneamente identificata come violazione di legge (art. 360 cod. proc. civ., n. 3), pur prospettando l’omesso esame di un’eccezione di parte e dunque un error in procedendo (art. 360 cod. proc. civ., n. 4). Qualora una questione sia stata già proposta ed il giudice di merito non si sia pronunciato su di essa, la stessa può essere fatta valere non sotto il profilo di violazione di legge, ma solo come violazione dell’art. 112 c.p.c., cioè sotto il profilo di omessa corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

In tal caso per evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della censura il ricorrente che lamenta l’omessa pronuncia su una domanda o una eccezione ha l’onere di indicare in quali atti e specifiche frasi, nell’ambito di tali atti l’abbia proposta dinanzi al giudice di merito (v. Cass. n. 7194 del 2000). La denuncia di omesso esame attiene alla violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum”, ai sensi dell’art. 437 cod. proc. civ., da cui l’onere della ricorrente, in ottemperanza del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione di riportare nel ricorso nei loro esatti termini, i motivi di appello dei quali si lamenta l’omesso esame (v. pure, Cass. n. 23420 del 2011).

In conclusione, il ricorso va respinto.

Quanto all’onere delle spese a carico della parte soccombente ex art. 91 cod. proc. civ., deve farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, dispone:

“1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.

2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, (omissis).

3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.” Con Decreto 20 luglio 2012, n. 140, è stato quindi emanato il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del citato art. 9. Il Regolamento trova applicazione in difetto di accordo tra le parti in ordine al compenso (D.M. n. 140 del 2012, art. 1, in riferimento al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 4, conv. L. 24 marzo 2012, n. 27).

L’art. 41 di tale Decreto n. 140 del 2012, aprendo il Capo 7^ relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.

Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell’art. 41 citato (“le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”) depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell’abrogato sistema tariffario forense.

Nel nuovo sistema, che non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, ma esige che la valutazione dell’opera del professionista avvenga per fasi processuali (artt. 4 e 11) e secondo parametri specifici (art. 11 e tabella A-Avvocati), l’apprezzamento dell’attività difensiva, alla stregua dei criteri di cui ai commi 2 e 3, art. 4, non è più correlato al momento in cui l’opera è prestata, ma al momento in cui questa viene valutata dal giudice.

Qualsiasi diversa soluzione interpretativa che consentisse l’applicazione del sistema tariffario alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del D.M. in esame contrasterebbe non solo con la disposizione regolamentare di cui all’art. 41 citato, ma anche con il dettato normativo di cui al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 3, conv. L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha – con chiarezza – escluso l’ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore del decreto ministeriale, avvenuta anteriormente alla scadenza del termine (di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) fissato per la transitoria applicazione del sistema tariffario abrogato.

Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; tenuto conto dei parametri generali indicati nel menzionato art. 4 del D.M.; considerati i valori e le percentuali di variazione indicati nella Tabella A per ciascuna delle tre fasi relative al giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria), i compensi sono liquidati, in favore dell’INPS, nella misura omnicomprensiva di Euro 7.000,00, oltre Euro 50,00 per esborsi, mentre, in favore del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, (che si è limitato a partecipare alla discussione orale e che pertanto può vedersi liquidati i compensi relativi alle sole fasi di studio e decisoria), nella misura di Euro 3.500,00.

La infondatezza delle eccezioni sollevate dall’INAIL giustifica la compensazione delle spese relativamente a tale parte del giudizio.

Nulla va disposto per le spese relativamente alle restanti parti, rimaste intimate.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento dei compensi relativi al presente giudizio, che liquida in Euro 7.000,00, oltre Euro 50,00 per esborsi, in favore dell’INPS e in Euro 3.500,00 in favore del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Compensa le spese nei confronti dell’INAIL. Nulla per le spese quanto alle restanti parti.

Redazione