Sanzioni all’avvocato che incassa in silenzio il compenso dalla compagnia assicurativa (Cass. n. 13621/2012)

Redazione 31/07/12
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Svolgimento del processo

1.- Con decisione del 5.11.2009 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma (di seguito COA) irrogò la sanzione disciplinare della censura all’avv. V.C., per le violazioni di cui ai capi B) e C) dell’incolpazione formulata nel procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti il 9.11.2007 a seguito di esposto della Dott.ssa ginecologa S.D.. Quest’ultima, coinvolta in un procedimento penale conseguito alla morte di un neonato, aveva investito l’avv. C. della propria difesa in aggiunta all’avv. F.M., collega di studio di suo marito, avv. F.B..

L’avv. C. era stata, in particolare, incolpata di aver rivendicato una gestione esclusiva della pratica ai fini della percezione degli onorari da parte della società assicuratrice della cliente (capo B) e di aver sottaciuto la circostanza alla stessa (capo C).

2.- Il Consiglio Nazionale Forense (di seguito CNF) ha rigettato il ricorso della professionista con decisione del 15.12.2011, in particolare negando l’affermata non corrispondenza fra contestazione e sanzione.

Ricorre per cassazione l’avv. V.C. affidandosi a tre motivi.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere il CNF corretto l’errore in cui era incorso il COA col prendere in considerazione fatti non contestati, in ordine ai quali l’incolpata non aveva potuto approntare adeguata difesa.

1.1.- La censura è manifestamente infondata, avendo il CNF non già omesso di esaminare il relativo motivo di doglianza ma ritenuto che lo stesso fosse privo di fondamento.

2.- Col secondo motivo la decisione è censurata per omessa e (ma, recte, o) insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla circostanza che il fax col quale lo studio C. si diceva incaricato (anche) della pratica D. era stato inviato non dall’avv. C., “ma da una collaboratrice in buona fede”, essendo risultato dalle “prove documentali e testimoniali” che nell’occasione l’avv. C. non si trovava a Roma.

Si sostiene poi che l’art. 40 del codice deontologico attiene al dovere di informare il cliente sulle caratteristiche e sull’importanza della controversia e su quant’altro serva a rendere chiara al cliente la situazione da affrontare nelle sue implicazioni e conseguenze, mentre l’incolpazione si riferiva (al capo C) alla omessa informazione del cliente circa i compensi richiesti ed erogati a fronte di un mandato disgiunto.

Si afferma infine che l’affermazione del CNF secondo la quale la ricorrente non avrebbe dato notizie sul suo operato alla collega M. era stato sconfessato da tutti i testi escussi e dai consulenti tecnici; e, ancora, che del massimale assicurativo per spese legali, ammontante a circa 20/25.000 Euro, ne erano stati richiesti solo 9.932,62 netti, sicchè gran parte era rimasta a disposizione del codifensore.

2.1.- Il primo profilo di censura è inammissibile per novità della prospettazione, non essendo affermato nell’illustrazione del motivo che la non riferibilità alla ricorrente della comunicazione all’assicuratore (cui la decisione impugnata non fa alcun riferimento) era stata prospettata al CNF coi motivi di ricorso, ed evincendosi anzi che la professionista aveva svolto sul punto difese di segno diverso.

Il secondo è infondato in quanto il CNF ha ritenuto che il non avere la professionista informato la propria cliente delle somme che aveva richiesto e che si accingeva a percepire dalla società di assicurazione della cliente stessa in relazione al mandato da questa conferito, integrasse violazione dell’art. 40 del codice deontologico nella parte in cui prevede che “l’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli”, in quanto lesivo del rapporto di fiducia che si deve instaurare tra l’avvocato ed il suo cliente (così la decisione impugnata, a pagina 10). Nè può ritenersi estraneo al mandato conferito all’avvocato l’aspetto afferente alla percezione di onorari da parte della società assicuratrice del cliente stesso.

Il terzo profilo è infondato perchè in contrasto con quanto si legge a pagina 7, penultimo capoverso, della decisione impugnata circa la posizione della società assicuratrice che – a detta della stessa ricorrente nel ricorso al CNF – aveva precisato che avrebbe “liquidato un solo difensore”.

3.- Col terzo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 5, per avere il COA ed il CNF ritenuto ingiustificata l’assenza dell’incolpata benchè essa avesse fatto pervenire un certificato medico dal quale risultava “metrorragia di notevole entità per la quale si consiglia terapia medica e riposo per 4 giorni”.

3.1.- Il motivo è manifestamente infondato, avendo il CNF ritenuto di condividere la valutazione del COA nel senso che dalla documentazione medica non emergeva l’impossibilità assoluta a comparire dell’incolpata.

Si tratta, all’evidenza, di una valutazione di merito, in ordine alla quale la sentenza sarebbe stata in ipotesi suscettibile di essere censurata solo per vizio della motivazione.

4.- Il ricorso è conclusivamente respinto.

Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE, A SEZIONI UNITE rigetta il ricorso.

Redazione