Sanzione disciplinare all’avvocato che chiede l’esecutorietà del decreto ingiuntivo dimenticando che è stato opposto (Cass. n. 15873/2013)

Redazione 25/06/13
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Svolgimento del processo

Con delibera del 28 aprile 2010, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina (da ora: C.O.A.) ha inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dell’esercizio dell’attività professionale per due mesi due all’avv. D.C., per le espressioni offensive da lui usate quale avvocato dell’opposto, nei confronti del difensore dell’opponente nella comparsa di costituzione del 6 maggio 2008 e per la richiesta di esecutorietà dell’ingiunzione pur conoscendo l’esistenza dell’opposizione.
Si era dapprima contestato all’avv. C. di aver definito “grossolana, grottesca, frutto di ignoranza giuridica e di cura superficiale delle questioni trattate” e “aberranti anacoluti giuridici” le parole dell’avv. E.C. difensore dell’opponente; di tali parole s’era ordinata la cancellazione nella stessa sentenza che aveva deciso sulla opposizione, così come della locuzione “l’arroganza e la malafede”, contenuta nella parte narrativa delle note conclusive di controparte e rivolta nei confronti dello stesso avv. C.
La sentenza sull’opposizione a decreto ingiuntivo, emessa dopo la revoca della esecutorietà di questo, rilevava che l’opponente aveva dedotto di aver subito un’azione di esecuzione in base a decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, sul falso presupposto della mancata opposizione dell’ingiunto prospettato dal predetto avv. C., non essendo la stessa ingiunzione dotata ab origine di efficacia esecutiva, ai sensi dell’art. 647 c.p.c., per cui la esecutività del titolo era stata revocata prima della decisione sulla fondatezza dell’opposizione.
L’avv. C. aveva giustificato la sua condotta processuale, affermando di avere replicato alle espressioni non corrette usate nei suoi confronti dal difensore dell’opponente avv. C., il quale, in altro procedimento tra le stesse parti, lo aveva accusato di “irriducibile protervia e malafede processuale”, per cui egli, aveva deciso di utilizzare le parole di cui alla contestazione, per legittima difesa contro il collega, comunque negando la natura offensiva delle espressioni usate, a suo avviso relative ai soli scritti e non contro la persona del difensore di controparte, facendo comunque ammenda di tali parole, se ritenute lesive del decoro di controparte dal Consiglio, dell’ordine.
Contestata al C. la natura offensiva delle espressioni di cui sopra contenute nelle sue difese e in secondo luogo l’azione in executivis da lui intrapresa, in forza di decreto ingiuntivo solo apparentemente dotato di esecutività ma in realtà non esecutivo, come egli sapeva, avendo ricevuto l’opposizione a lui notificata contro il decreto ingiuntivo, incompatibile con la esecutività di questo non provvisoriamente eseguibile, il C.O.A. ha contestato all’avv. C. tale seconda incolpazione per tale suo comportamento processuale successivo agli scritti di cui alla prima incolpazione per le espressioni offensive.
L’avv. C. si difendeva affermando di avere agito correttamente in via esecutiva per effetto dell’ingiunzione notificata il 21 settembre 2006 esecutoria per mancata tempestiva opposizione entro il 31 ottobre successivo; l’uso di espressioni sarcastiche nelle sue difese era collegato all’assoluta infondatezza delle tesi difensive di controparte e ai comportamenti pregressi offensivi nei suoi confronti del difensore di controparte avv. C. Dopo la seconda contestazione della incolpazione relativa agli scritti offensivi, l’avv. C. proponeva le difese già svolte, deducendo il vizio del bis in idem relativamente al detta incolpazione e dopo la istruttoria, in cui era sentito quale teste l’avv. C. difensore dell’opponente, che confermava che era sua l’accusa di “arroganza e malafede” dell’incolpato, che egli riteneva essere consapevole di non poter usare l’ingiunzione come titolo esecutivo, essendogli stata notificata l’opposizione prima d’aver chiesto l’esecutorietà provvisoria del decreto.
L’edito C.O.A. ha ritenuto l’avv. C. colpevole sia dell’uso di espressioni offensive contro il difensore di controparte che della utilizzazione come titolo esecutivo della ingiunzione che egli era consapevole essere stata oggetto di opposizione e come tale non eseguibile immediatamente, ha quindi inflitto al ricorrente la sanzione della sospensione dalla professione per mesi due, con decisione del 28 aprile 2010, impugnata dal C. al Consiglio nazionale forense (da ora: C.N.F.).
Con tale impugnazione il ricorrente in questa sede ha prospettato più motivi, il primo dei quali escludeva il carattere offensivo delle parole da lui usate, mentre il secondo eccepiva la mancanza dei presupposti di fatto e di diritto, per irrogare sanzioni e l’errata contestazione al ricorrente dell’uso dell’espressione “arroganza e malafede”, che era stata utilizzata contro lo stesso incolpato dall’avv. C.
Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Messina, con decisione notificata il 9 giugno 2011, ritenute attribuibili all’avv. C. contro l’avv. C. le parole “arroganza e malafede” di cui sopra, ha affermato che le locuzioni usate dall’incolpato, nelle sue difese dell’opposto, erano denigratorie della persona del collega contro il quale erano rivolte, perché del tutto estranee alla dialettica processuale.
Da tali parole appariva chiaro l’intento offensivo che le rendeva punibili in sede disciplinare in rapporto al primo capo di incolpazione; anche il secondo capo d’incolpazione era risultato veritiero, avendo l’avv. C. notificato il precetto, dopo avere ricevuto la notifica dell’opposizione a decreto ingiuntivo che escludeva che l’ingiunzione fosse titolo esecutivo, per cui la condotta del ricorrente risultava violativa degli artt. 5, 6, 8 e 14 del codice deontologico degli avvocati, essendo consapevole del carattere non esecutivo dell’ingiunzione a base del precetto da lui intimato.
Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Messina ha quindi irrogato la sanzione sopra richiamata, impugnata dal C. con richiesta al C.N.F. di annullamento e di nullità della delibera relativa del C.O.A. o di riduzione della punizione.
Ritenute denigratorie e offensive le affermazioni dell’avv. C. contro il difensore di controparte, accusato d’ignorare il diritto e di essere professionalmente superficiale, con parole dirette contro la persona del collega e non contro la attività professionale e processuale di questo, il C.N.F. ha superato i vizi procedimentali denunciati con il ricorso perché irrilevanti sulla validità della decisione del Consiglio dell’ordine, affermando che la ritorsione, provocazione o reazione alle condotte del difensore di controparte non giustificano le offese negli scritti difensivi, di cui non erano esimenti. Quanto poi alla richiesta di esecutività del decreto ingiuntivo tempestivamente opposto con atto notificato nel termine di quaranta giorni dalla ricezione dell’ingiunzione, anche se pervenuto dopo tale termine all’opposto avv. C., sul piano disciplinare, si è affermata la scorrettezza di detto difensore con la richiesta della provvisoria esecuzione dell’ingiunzione che egli sapeva non esecutiva perché soggetta ad opposizione, a lui pervenuta oltre il termine in cui il decreto doveva essere opposto, ma consegnata nel termine per la notifica all’ufficiale giudiziario e da ritenere quindi tempestiva.
L’avv. C. è stato ritenuto responsabile di entrambi i capi di incolpazione a suo carico, delle offese al collega e dell’abuso del processo, per cui è stata confermata la sanzione a suo carico della, sospensione dall’esercizio della professione per mesi due per le condotte di cui sopra.
Per la cassazione di tale decisione del Consiglio nazionale forense, l’avv. C. propone ricorso notificato il 13 novembre 2012, articolato in cinque motivi, non contrastato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina.

Motivi della decisione

1. Va anzitutto rilevato che il codice deontologico forense non ha carattere normativo ma è costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la violazione di detto codice rileva in sede giurisdizionale,
solo in quanto si colleghi all’incompetenza, l’eccesso di potere o la violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali l’art. 56, comma terzo, del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito con modificazioni nella legge 22 gennaio 1934 n. 36, consente il ricorso alle sezioni unite della Cassazione, che è possibile esclusivamente in caso di uso del potere disciplinare dagli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la, legge lo riconosce (cfr. S.U. 19 ottobre 2011 n. 21584, 4 febbraio 2009 n. 2637 e 28 settembre 2007 n. 20360); i cinque motivi di ricorso che seguono vanno letti in base al principio ora enunciato.
1.1. Il primo motivo di ricorso censura la decisione del C.N.F. sul secondo capo di incolpazione relativo alla consapevolezza, da parte dell’avv. C., della natura non esecutiva del decreto ingiuntivo da lui posto in esecuzione in violazione degli artt. 645, 647 e 649 c.p.c. e in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e, deduce l’evidente travisamento dei fatti a lui contestati nel disciplinare con tale contestazione.
Per il C.N.F., il ricorrente “avrebbe dovuto astenersi” dall’utilizzare un titolo esecutivo solo formalmente ineccepibile, l’inesistenza della cui esecutorietà poteva rilevarsi, immediatamente e senza necessità di particolari interpretazioni giuridiche, dal mero fatto dell’opposizione al decreto ingiuntivo dall’ingiunto, che non poteva essere ignorata dall’avv. C. cui essa era stata notificata, quale difensore di colui che aveva domandato l’ingiunzione (art. 638 c.p.c.).
Per il ricorrente, è contraddittoria la sentenza del C.N.F. che, pur ritenendo “ineccepibile” sul piano formale l’esecutività del decreto ingiuntivo, ne rileva contestualmente la inesistenza rilevabile per tabulas: è incoerente la motivazione della decisione del C.N.F. che ritiene formalmente dotato di esecutività un decreto ingiuntivo oggetto di opposizione e come tale non eseguibile ai sensi dell’art. 647 c.p.c., in assenza di una previa espressa dichiarazione di esecutività provvisoria ai tale non eseguibile ai sensi dell’art. 647 c.p.c., in assenza di una previa espressa dichiarazione di esecutività provvisoria ai sensi dell’art. 642 c.p.c.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa considerazione, dalla sentenza del C.N.F., delle risultanze istruttorie, con riferimento alla elusione, da parte dell’incolpato, del giudicato di due sentenze del Tribunale di Messina che avevano negato la validità e efficacia del c.d. titolo esecutivo, delle quali l’incolpato era consapevole ancor prima del pignoramento da lui posto in essere in base al decreto privo di esecutorietà.
Si denuncia dal ricorrente la mancata corrispondenza dei fatti accertati con il secondo capo di incolpazione, in ordine alla pretesa consapevolezza dell’illegittimità della esecuzione del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione richiesta dall’avv. C., che afferma che a lui si erano attribuite condotte inesistenti, per le quali il P.M. aveva chiesto al C.N.F. una parziale assoluzione.
Era infatti non provata la colpa del ricorrente nell’aver ritenuto “ineccepibile” il c.d. titolo esecutivo, che non era formalmente inesistente ovvero non poteva qualificarsi tale immediatamente e per tabulas, emergendo la non esecutorietà anche da condotte successive di controparte come la proposta opposizione alla ingiunzione.
La chiesta esecuzione del decreto ingiuntivo, privo di esecutorietà perché oggetto di opposizione ai sensi dell’art. 647 c.p.c. e non dotato di pregressa esecutività provvisoria ai sensi dell’art. 642 c.p.c., non era possibile e il decreto era inutilizzabile come titolo esecutivo a base del precetto erroneamente chiesto dall’incolpato.
1.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione di legge ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 38 del codice deontologico forense, che qualifica come “violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita.”
Afferma il ricorrente avv. C. che per il C.N.F. egli si sarebbe dovuto astenere dall’azionare un titolo esecutivo, ritardando atti del suo mandato e consentendo di distrarre dalla garanzia patrimoniale beni agli esecutati: erroneamente si è ritenuta sanzionabile, sul piano disciplinare, la impedita distrazione di beni dalla garanzia patrimoniale generica, ovvero una condotta omissiva che tale distrazione avrebbe consentito, in violazione degli stessi doveri di cui agli artt. da 5 a 8 del codice deontologico forense.
1.4. Il ricorrente deduce la disparità di trattamento da lui subita in violazione di legge e dell’art. 3 della Costituzione, con riferimento all’art. 246 c.p.c. e alla affermata incapacità a testimoniare dell’avv. E.C. in ordine alle incolpazioni ascritte a lui.
Pur avendo il giudice del processo rilevato espressioni offensive reciprocamente rivoltesi tra le parti, solo in rapporto alla posizione dell’ avv. C. si era proceduto disciplinarmente, attribuendo inoltre al ricorrente la frase dell’avv. C. che censurava la “arroganza e malafede” di controparte, che era invece negli scritti di lui in danno del ricorrente.
Il C.N.F. ritiene di non poter valutare tale doglianza perché non attiene ai capi di incolpazione a carico del ricorrente e anche se l’avv. C. ha negato di essere stato offeso dalle espressioni usate dall’avv. C., in quanto afferma solo che quest’ultimo aveva azionato un titolo non esecutivo consapevole della mancanza di esecutività, agisce in questa sede ponendo a carico del ricorrente solo le circostanze e i fatti che avvantaggiano l’avv. C. nella difesa del suo cliente.
1.5. Si deduce infine l’eccesso di potere della sentenza impugnata, per non corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per eccessività della sanzione irrogata e confermata dal C.N.F.
In ordine alla buona fede dell’avv. C. nell’azionare un titolo esecutivo che si afferma egli avrebbe dovuto conoscere come privo di esecutorietà, esattamente si è osservato che lo stesso P.M. aveva sul punto ritenuto attenuata la responsabilità, perché l’incolpato ben poteva ritenere ineccepibile il titolo all’atto del pignoramento, tanto che a suo carico, dinanzi al Consiglio dell’ordine di Messina, si era chiesta la sola censura, mentre l’organo giudicante ha ritenuto di applicare questa ultima sanzione per le frasi sconvenienti ed ha irrogato la sospensione dalla professione per la seconda incolpazione, ritenendo che la notifica all’avv. C. dell’opposizione partita nel termine di quaranta giorni da quella, dell’ingiunzione non consentiva di ritenere tardivo tale atto e da sola avrebbe dovuto impedire la esecutorietà del decreto e il precetto ottenuto dall’incolpato e notificato al destinatario della ingiunzione.
2.1. Il primo motivo di ricorso che denuncia l’abuso del procedimento disciplinare per avere il C.N.F. affermato la consapevolezza dall’avv. C. di dare esecuzione a un titolo ineseguibile, è infondato, perché egli era stato destinatario della notificazione dell’opposizione a lui pervenuta il giorno prima di quello in cui aveva chiesto l’esecutività del decreto e comunque perfezionatasi per l’opponente nel termine previsto, anche se giunta al destinatario opposto oltre tale termine. L’affermazione della coscienza nell’incolpato della tardività dell’opposizione che gli consentiva di chiedere la esecutorietà del decreto ingiuntivo derivava da un travisamento dei fatti violativo di legge, tanto che lo stesso giudice dell’opposizione ne aveva affermato la tempestività, quando aveva revocato la esecutorietà del decreto.
La sentenza del C.N.F. esattamente qualifica solo formalmente eseguibile l’ingiunzione che invece tale non era, per essere stata oggetto di opposizione tempestiva di cui l’avvocato C., che aveva chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo, era consapevole; correttamente pertanto gli è stato contestato in sede disciplinare di avere richiesto la esecutorietà del decreto, senza denunciare l’intervenuta tempestiva opposizione al decreto, ingiuntivo a lui notificata tempestivamente con la consegna del plico che la conteneva all’ufficiale giudiziario entro il termine fissato anche se ricevuta dopo il quarantesimo giorno (pag. 10 della sentenza del C.N.F.).
Deve quindi rigettarsi pure il secondo motivo di ricorso, nessun abuso risultando essersi avuto del potere disciplinare dal C.N.F. per avere rilevato la sola apparente esecutività del decreto ingiuntivo di cui l’avv. C. era conscio, così come della non eseguibilità di esso ex art. 647 c.p.c., per l’opposizione.
Correttamente il C.N.F. ha dichiarato “formalmente” ineccepibile come titolo esecutivo detta ingiunzione, ritenuta sostanzialmente non esecutoria, come risultava all’avv. C. che, pure con tale consapevolezza, ha chiesto la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato, dovendosi non solo ritenere doverosa la deduzione dal difensore della chiara inesistenza della esecutorietà del decreto ingiuntivo perché oggetto dì opposizione, ma anche affermare il dovere deontologico positivo, dell’avvocato che intenda avvalersi dell’ingiunzione, di rilevare tale ineseguibilità e di chiedere, se lo ritiene, al giudice dell’opposizione la esecutività provvisoria.
Del tutto irrilevante è la pretesa dell’avv. C. di un trattamento identico a quello avuto dall’avv. C., che avrebbe anche esso usato espressioni offensive, contestandosi dal C.N.F. al ricorrente l’abuso dei suoi poteri di difesa, con la richiesta di una esecuzione di un atto non eseguibile, che neppure avrebbe potuto domandare.
La correttezza della decisione disciplinare in rapporto ai primi quattro motivi del ricorso, esclude la fondatezza del quinto motivo, non essendovi alcun eccesso di potere negli atti del Consiglio nazionale forense, la cui decisione non è intaccata dalle censure proposte in ordine all’incompetenza e alla violazione di legge ed è quindi insuscettibile di cassazione.
La violazione del dovere di decoro, probità, dignità e fedeltà nei confronti non solo del difeso ma anche della controparte, e la negligenza nel compimento dell’attività difensiva, di cui agli artt. 5 e seguenti del codice deontologico forense, da parte dell’avv. C. hanno esattamente determinato il procedimento disciplinare a suo carico per avere chiesto, quale difensore dell’opposto, l’esecutorietà di un titolo che sapeva non eseguibile, ponendo in essere un oggettivo travisamento dei fatti che correttamente si è posta a base della responsabilità disciplinare nella attività difensiva riconosciuta a suo carico.
Si è attribuito al ricorrente un comportamento che egli ha avuto e che, anche se è stato attribuito pure all’avversario avv. E.C. in ordine alle espressioni non corrette di cui alla prima incolpazione, non esclude la illegittimità della condotta difensiva dell’avv. C., che ha notificato precetto in base a un titolo che egli sapeva non essere esecutivo per aver ricevuto la notifica dell’opposizione al decreto ingiuntivo; per ambedue le incolpazioni a lui contestate l’avv. C. è stato correttamente considerato responsabile dal C.N.F.
La sentenza del consiglio nazionale forense parte dalla constatazione che la opposizione alla ingiunzione vi era stata ed era tempestiva, come rilevato dallo stesso giudice di questa quando ha revocato la esecutività dell’ingiunzione.
Il decreto ingiuntivo notificato il 21 settembre 2006, è stato dichiarato esecutivo l’8 novembre 2006, sul presupposto della mancata opposizione nel termine del 31 ottobre 2006, senza tener conto dell’opposizione notificata tempestivamente dall’opponente, e consegnata il 7 novembre 2006 all’avv. C. difensore dell’opposto, che conosceva la tempestività di essa, allorché chiese e ottenne la provvisoria esecuzione del decreto in data 8 novembre 2006, revocata solo nel febbraio dell’anno successivo. La richiesta di precetto fondata su un decreto ingiuntivo oggetto di opposizione, era basata sulla circostanza, non veridica della mancata tempestiva opposizione e la esecutorietà ottenuta è stata revocata il 20 febbraio 2007, pur se l’avv. C., che ha chiesto il precetto, sapeva di non poter chiedere l’esecutività ottenuta l’8 novembre 2006, pur avendo ricevuto il giorno prima l’opposizione al decreto, violando in tal modo i doveri di cui agli artt. 5-8 del codice deontologico professionale, di probità, dignità e decoro (art. 5), di lealtà e correttezza (art. 6), di fedeltà e diligenza (artt. 7 e 8) nell’esercizio dell’attività professionale.
Correttamente si rileva dal C.N.F. che una ingiunzione, ritenuta esecutiva come titolo ineccepibile, tale era solo formalmente e in realtà non poteva considerarsi esecutoria per l’esistenza dell’opposizione, nota all’avv. C. quando aveva elevato il precetto, con comportamento professionale certamente scorretto e suscettibile di rilevanza disciplinare, accertata senza necessità di particolari indagini e interpretazioni giuridiche o di fatto.
4. In conclusione, il ricorso deve dichiararsi infondato e va quindi rigettato; nulla si deve disporre sulle spese, non avendo resistito in questa sede gli intimati.

P.Q.M.

La Corte di cassazione a sezioni unite rigetta il ricorso.

Redazione