Sanatoria con iscrizione tardiva alla Cassa forense: non rimborsabili interessi di mora e sanzioni (Cass. n. 16096/2013)

Redazione 26/06/13
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SVOLGIMENTO DEL FATTO

1. La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 675/10, accoglieva in parte l’impugnazione proposta dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense nei confronti dell’avvocato C. S. e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catania, condannava l’appellato al pagamento in favore della Cassa del contributo integrativo dell’anno 1995 e della sanzione ex art. 9 della legge n. 141/1992, relativa all’anno 1997, di cui alla cartella opposta con ricorso del 30 giugno 2003.
Confermava nel resto la sentenza impugnata.
2. L’avvocato S. C., infatti, aveva proposto opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale gli era stato chiesto il pagamento della complessiva somma di £ 15.043.720, a titolo di contributi di competenza della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, relativi agli anni 1995, 1997 e 1998.
Esponeva che nel marzo 1998 la Cassa gli aveva comunicato l’iscrizione tardiva ai fini pensionistici a decorrere dal 1980, nonché il prospetto del relativo onere contributivo fino al 1995. Nell’aprile 1998, egli aveva proposto reclamo avverso detta delibera al Consiglio di amministrazione della Cassa stessa, chiedendone l’annullamento. In data 18 settembre 1998 la Giunta esecutiva aveva deliberato la sua cancellazione dalla Cassa.
Il Tribunale aveva accolto l’opposizione annullando la cartella.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, prospettando due motivi di ricorso.
Resiste con controricorso C. S.
In prossimità dell’udienza pupplica la Cassa ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cpc, dell’art. 21 della legge n. 576 del 1980, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla statuizione che la cancellazione dell’iscritto alla Cassa forense determinerebbe, come effetto automatico, il venir meno dell’obbligo di corrispondere i contributi non ancora versati.
2. Occorre precisare che la Corte d’Appello chiariva che, da un lato, la delibera che aveva disposto l’iscrizione tardiva, con decorrenza dall’anno 1980, liquidandone il relativo onere contributivo, comprensivo di interessi, per gli anni dal 1980 al 1995, non era stata mai annullata; dall’altro, che la cancellazione dalla Cassa, era stata adottata dalla Giunta esecutiva, in data 18 settembre 1998, in accoglimento di apposita istanza dell’interessato del luglio 1998, ed era stata disposta solo a decorrere dall’anno di presentazione della domanda di cancellazione, in considerazione del fatto che il C. non aveva esercitato, con continuità, la professione negli ultimi tre anni antecedenti la domanda stessa. A ciò conseguiva che la cancellazione non poteva escludere l’obbligo dell’appellato di versare i relativi oneri contributivi.
Posta questa premessa, la Corte d’Appello affermava che, tuttavia, il diritto alla restituzione dei contributi versati, qualora non siano stati maturati, alla cessazione dell’iscrizione, i requisiti contributivi per il diritto alla pensione (ai sensi dell’art. 21 della legge n. 576 del 1980, applicabile ratione temporis), postulava, a fortori, il diritto a non versare quelli ancora da pagare, senza che, logicamente, fosse necessario presentare un’istanza di restituzione.
3. Nel censurare la suddetta statuizione della Corte d’Appello, la ricorrente deduce che, ai fini della restituzione, è determinante l’espressione della volontà dell’interessato, in quanto la stessa assume rilievo non solo ai fini economici, ma anche quale rinuncia ad avvalersi della annualità di riferimento, nell’ambito della previdenza forense, in caso di successiva reiscrizione del professionista alla Cassa.
Tale manifestazione di volontà non era intervenuta nel caso di specie, come già dedotto dinanzi ai giudici del merito.
4. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
L’art. 21, comma 1, della legge n. 576 del 1980, prevede: “coloro che cessano dalla iscrizione alla cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’ articolo 10, nonchè degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione, esclusi quelli di cui alla tabella e allegata alla legge 22 luglio 1975, n. 319.
4.1. Per una compiuto inquadramento della censura occorre rilevare quanto segue.
L’istituto della restituzione dei contributi costituisce un aspetto peculiare della previdenza dei liberi professionisti, che non trova corrispondenza nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria, nel quale, di regola vige l’opposto principio dell’acquisizione, alla gestione previdenziale di appartenenza, dei contributi debitamente versati, nonostante che gli stessi non siano utili per l’insorgenza di alcun trattamento pensionistico (v., Cass. n. 10190 del 2002).
Con riguardo alla previdenza forense occorre rilevare che tale, previsione è venuta meno, atteso che la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (Comitato dei delegati), con delibera del 28 febbraio 2003- 23 luglio 2004 (integrata con delibera del 13 novembre 2004), assunta con riguardo alla potestà di cui al d.lgs. n. 509 del 1994 e di cui all’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995 (cfr., Cass. n. 24202 del 2009, punto 2.9. dei “motivi della decisione”), ha modificato l’articolo 4 del Regolamento della Cassa stessa, ed ha soppresso il diritto alla restituzione dei contributi sancito dal citato art. 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), prevedendo, in sostituzione, l’erogazione di una pensione a base contributiva.
Successivamente l’art. 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), nella parte in cui – ultimo periodo – nel modificare l’articolo 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha disposto che “sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge”.
La legittimità costituzionale di tale ultima disposizione è stata più volte sottoposta al vaglio del Giudici delle Leggi, ma i relativi atti di rimessione non hanno superato il preliminare vaglio di ammissibilità (v., Corte cost., ordinanze n. 124 del 2008 e n. 15 del 2011, sentenza n. 263 del 2009).
4.2. Tanto premesso, nella fattispecie in esame, trova applicazione, ratione temporis, il richiamato art. 21.
Ritiene questa Corte che alla intervenuta cancellazione a domanda non consegue automaticamente il diritto alla restituzione dei contributi versati ma non sufficienti ad ottenere il trattamento pensionistico, in presenza delle previste condizioni, e che occorre una specifica manifestazione di volontà in tal senso. Non di meno il decisum della sentenza impugnata è nella specie corretto. Nel caso di specie, tale manifestazione di volontà va ravvisata nell’opposizione alla cartella esattoriale, incompatibile con l’intenzione di avvalersi dei benefici connessi alla previdenza forense e di voler corrispondere e stabilizzare i contributi richiesti.
5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 21 della legge n. 576 del 1980, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla statuizione della non debenza dell’intera seconda rata di sanatoria ex lege n. 662 del 1996.
Assume la ricorrente che benché la citata disposizione prevedesse la restituzione del solo contributo soggettivo, la Corte d’Appello di Catania sanciva la non debenza dell’intera rata della sanatoria ex lege n. 662 del 1996, di cui l’avv. C. aveva usufruito a seguito di specifica istanza e di richiesta di rateizzazione, in tre rate, per la regolarizzazione contributiva e l’iscrizione tardiva alla Cassa per gli anni dal 1980 al 1995.
Detta rata comprendeva non solo i contributi soggettivi, di cui all’art. 10 della legge n. 576 del 1980, ma anche i contributi minimi integrativi di cui al successivo comma 11, oltre a quanto dovuto a titolo accessorio, compensativo e sanzionatorio.
La Corte d’Appello, incorrendo nei suddetti vizi non avrebbe distinto nell’ambito della seconda rata della sanatoria la parte restituibile e quella ancora oggetto dell’obbligo di versamento.
Questa Corte, con la sentenza n. 10190 del 2002, ha affermato il seguente principio: “l’obbligo restitutorio di cui all’art. 21 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (recante la riforma del sistema previdenziale forense) – che prevede che coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza aver maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’art. 10 (ossia dei contributi c.d. soggettivi, distinti dai contributi c.d. integrativi di cui al successivo art. 11) – non comprende anche gli eventuali interessi di mora e sanzioni di cui al quarto comma dell’art. 18 1. n. 576 del 1980, cit., relativi ai contributi soggettivi rimborsabili. Invece, in caso di sanatoria a mezzo di iscrizione tardiva alla Cassa, ex art. 151, 11 febbraio 1992, n. 141, sono rimborsabili gli interessi legati sui contributi soggettivi arretrati, ma non gia gli eventuali interessi di mora e sanzioni in caso di ritardato pagamento della somma dovuta per la sanatoria stessa”.
La Corte d’Appello, pur richiamando la suddetta pronuncia, con motivazione non adeguata, ha stabilito che non era dovuta la seconda rata della sanatoria contributiva e di iscrizione tardiva (comprensiva di contributi e interessi ai sensi dell’art. 15 della legge n. 141 del 1992) di cui in cartella, mentre era dovuto il contributo integrativo relativo all’anno 1995. Il generale riferimento al suddetto art. 15, vizia la motivazione in quanto richiama indistintamente tutti gli interessi (art. 18, comma 4), senza inverare nel caso di specie i principi sopra richiamati.
6. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo.
Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Messina anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo.
Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appel1o di Messina anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013.

Redazione