Ruba una bicicletta: un anno di carcere, nessuna attenuante della speciale tenuità del danno (Cass. pen., n. 46324/2013)

Redazione 20/11/13
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RITENUT0 IN FATTO

Il difensore di F.K. ricorre avverso la sentenza emessa a carico del suo assistito dalla Corte di appello di Ancona il 21/10/2011, recante la conferma della condanna dell’imputato alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 150,00 di multa (pronunciata in primo grado dal Tribunale di Ascoli Piceno) per il furto di una bicicletta, che il proprietario M.B. aveva parcheggiato lungo una pubblica via di San Benedetto del Tronto.
Il ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in punto di mancata applicazione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità: ad avviso della difesa, l’esclusione della diminuente in parola sarebbe ingiustificata, avendo la Corte territoriale soltanto osservato che non era emersa la prova dl una particolare vetustà della bicicletta, si da poterla considerare di minimo valore d’uso o di scambio, mentre invece “la circostanza che fosse stata lasciata senza alcuna accortezza fuori dall’abitazione della persona offesa lascia presumere che, effettivamente, il valore della stessa non fosse tale da richiedere forme di tutela maggiori di quelle effettivamente approntate dal B. In ogni caso, avendo l’attenuante de qua natura oggettiva, il valore modesto del mezzo trafugato ben potrebbe essere stato ignorato dall’autore del furto; e sarebbe stato comunque onere dell’accusa offrire la prova del valore reale del bene.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, giacché fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame: detti motivi debbono perciò considerarsi non specifici, in quanto il difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi de|I’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche “per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione” (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011, **************).
Nel caso in esame, la difesa si limita a rilevare che non potrebbe dirsi condivisibile l’argomento esposto dalla Corte territoriale circa la non ravvisabilità dell’attenuante invocata (la mancata prova della vetustà del veicolo): al contrario, reputa che sarebbe stato onere del giudice accertare il reale valore del bene, sulla base di quanto asserito dalla persona offesa, ma non segnala cosa il derubato avrebbe concretamente rappresentato sul punto, tanto da imporre in ipotesi di ritenere configurabile la circostanza in parola (in via di mero fatto e di semplice congetture, perciò senza che le allegazioni possano assumere rilievo in sede di giudizio di legittimità, il ricorrente opina che le modalità di custodia e il difetto di formale querela dovrebbero suggerire la conclusione del modesto valore della bicicletta di cui si discute).
La doglianza difensiva, oltre a costituire mera riproposizione acritica delle censure già disattese dal giudice dei gravame, deve comunque intendersi manifestamente infondata, atteso che la giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso che <<la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. ricorre solo quando il danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato sia di valore economico pressoché irrilevante (Cass., Sez. II, n. 15576 del 20/12/2012, Mbaye, Rv 255791), il che non emerge certamente nella fattispecie concreta.
2. Stante la ritenuta inammissibilità del ricorso, non è possibile prendere atto della prescrizione del reato contestato all’imputato (sopravvenuta il 12/10/2012, in data posteriore alla sentenza di appello): per pacifica giurisprudenza di questa Corte un ricorso per cassazione inammissibile, vuoi per manifesta infondatezza dei motivi vuoi per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.” (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, *******, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v. anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, *******).
3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del K. al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06}2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21/05/2013.

Redazione