Ritipizzazione suolo – Vincolo espropriativo a verde pubblico (Cons. Stato n. 2116/2012)

Redazione 13/04/12
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Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2012 il Cons. ************** e udito per le parti l’avvocato ******************, su delega dell’avv. *************;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

I. 1. Con ricorso giurisdizionale amministrativo notificato il 15 ottobre 1998 la signora L. C. M., proprietaria di un suolo nel Comune di Bari, Santo Spirito, in catasto particelle 108, 109 e 594 del foglio 3/C, partita 760, destinato a “verde pubblico – verde urbano”, secondo le prescrizioni del vigente piano regolatore approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale dell’8 luglio 1976, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia l’annullamento delle note n. 39008 del 29 giugno 1988 e n. 53656 del 3 ottobre 1988 che, in risposta alle sue diffide in data 23 marzo 1988 e 3 giugno 1988 (con cui era stata richiesta la ritipizzazione dell’area per l’avvenuta decadenza del vincolo espropriativo), richiamando i pareri espressi dall’ufficio tecnico comunale rispettivamente in data 16 giugno 1988 (n. 8242) e 15 settembre 1988 (n. 15219) e la delibera consiliare n. 2847 dell’11 dicembre 1986 (atti questi anch’essi impugnati), lasciavano intendere un’avvenuta ritipizzazione (proprio per effetto della ricordata delibera consiliare n. 2847 dell’11 dicembre 1986) o quanto meno l’avvenuta adozione di atti che consentivano l’edificazione nell’area interessata.
L’impugnativa era affidata a due motivi di censura, il primo rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L. 19.11.1968 n. 1187 e dei principi generali in materia di pianificazione urbanistica – Eccesso di potere: erroneità del presupposto, illogicità manifesta, difetto di motivazione” e il secondo “Violazione e falsa applicazione dell’art. 55 della L.R. n. 56 del 31.5.1980 con riferimento all’art. 2 della l. 1187 del 19.11.1968 e agli artt. 42 e 97 della Costituzione”, con cui si sosteneva, per un verso, che la delibera consiliare n. 2847 dell’11 dicembre 1986 non poteva considerarsi atto di ritipizzazione delle aree, tra cui quella della ricorrente, in relazione alle quali era decaduto il vincolo espropriativo, contenendo essa dei meri orientamenti programmatici da tener in considerazione in sede di elaborazione dei piani particolareggiati e degli strumenti attuativi, e, per altro verso, che era inammissibile il richiamo all’art. 55, comma 2, della legge regionale n. 56 del 31 maggio 1980, secondo cui non sarebbe stato possibile adottare una variante al piano regolatore generale per la invocata ritipizzazione delle aree interessate alla scadenza dei vincoli espropriativi, stante il macroscopico contrasto con l’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, salvo a non voler dubitare della costituzionalità della citata disposizione regionale.
Il ricorso veniva iscritto al NRG. 1541 dell’anno 1988.

I.2. Con altro ricorso notificato il 2 giugno 1989 la predetta signora L. C. M. chiedeva l’annullamento della delibera consiliare n. 223 del 22 marzo 1989, recante l’approvazione del piano particolareggiato di sistemazione viaria nelle maglie di verde di quartiere, verde urbano e servizi della residenza comprese tra le via Titolo – via Napoli Lung. C. Colombo e l’abitato di S. Spirito, e della presupposta deliberazione consiliare di adozione, n. 2652 del 6 gigno 1988 di adozione.
Con tre motivi di censura si denunciava: 1) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 16 della L. 17.08.1942 n. 1150, art. 19 della L.R. 30.05.1980, n. 56; eccesso di potere: difetto dei presupposti e di motivazione”, in quanto il piano particolareggiato approvato era difforme dalle previsioni dal piano regolatore generale; 2) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. 19.11.1968 n. 1187; eccesso di potere per inesistenza dei presupposti”, atteso che, venuto meno per scadenza del termine quinquennale il vincolo espropriativo, l’amministrazione non poteva utilizzare quelle aree; 3) “Eccesso di potere: difetto di istruttoria e di motivazione”, in quanto l’amministrazione aveva approvato il predetto piano particolareggiato senza tener conto di vari insediamenti abusivi verificatisi nell’area, malgrado l’articolo 29 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, imponesse di procedere alla redazione di piani di recupero.
Il ricorso veniva iscritto al NRG. 690 dell’anno 1989.

I.3. Infine con un nuovo ricorso giurisdizionale notificato il 14 maggio 1991 la signora L. C. M. chiedeva al Tribunale amministrativo regionale della Puglia l’annullamento anche della nota prot. 19523 dell’8 aprile 1991, con cui l’Ufficio Tecnico del Comune di Bari aveva respinto, ai sensi dell’articolo 33, comma 1, punto A, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, l’istanza di condono edilizio presentata il 3 marzo 1986 la realizzazione (abusiva) di una unità abitativa a piano rialzato, in via Lung. ******************, in quanto ricadente nella fascia costieta di 300 metri.
Deducendo “Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della L. 28.2.1985 n. 47 con riferimento all’art. 29 della stessa legge ed all’art. 51, lett. f) della L.R. 56/1980; eccesso di potere: carenza di istruttoria e di motivazione”, si rilevava che tale vincolo non era assoluto e che non poteva pertanto impedire l’edificazione, dovendo piuttosto l’amministrazione comunale valutare in concreto la possibilità di esercitare tale facolta.
Il ricorso veniva iscritto al NRG. 661 dell’anno 1991.

I.4. Costituitisi in luogo della originaria ricorrente, nelle more del giudizio deceduta, i suoi eredi, signori *********, ******, ****** e ******************, l’adito tribunale, sez. II, con la sentenza n. 884 del 6 marzo 2000, nella resistenza dell’amministrazione comunale di Bari, riuniti i ricorsi, dichiarava improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il primo (NRG. 1541/1988), essendo stato approvato lo strumento urbanistico attuativo relativo alle aree in questione, strumento impugnato col secondo ricorso (NRG. 690/1989), che dichiarava tuttavia inammissibile, sia per la genericità della censura relativa alla presunta modifica del piano regolatore da parte dello stesso piano particolareggiato, sia perché l’interesse sostanziale azionato attraverso l’invocata ritipizzazione, quello cioè di poter edificare, non poteva essere comunque soddisfatto, in quanto l’area ricadeva nella fascia costiera entro i 300 metri dal confine del demanio marittimo ed era pertanto assoggetta a vincolo di in edificabilità assoluta; respingeva infine il terzo ricorso (NRG. 661/1991), in quanto il vincolo di in edificabilità in questione era stato originariamente imposto per effetto dell’art. 51, lett. f), della legge regionale 31 marzo 1980, n. 56, prima della presentazione della domanda di condono, e successivamente, benché trasformato in vincolo temporaneo (ma tuttora vigente), era pur sempre assoluto, impedendo qualsiasi edificazione.

I.5. I predetti signori *********, ******, ****** e ****************** con rituale e tempestivo atto di appello notificato il 15 maggio 2000, hanno chiesto la riforma di tale sentenza, dolendosi della sua erroneità ed ingiustizia: a) quanto al ricorso NRG. 1541/88, a causa della inopinata declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse per la intervenuta approvazione del piano particolareggiato che non solo non interessava, se non in minima parte l’area di loro proprietà, per quanto non poteva costituire variante al piano regolatore generale ai fini dell’obbligo di ritipizzazione, tanto più che non risultava neppure approvato dalla regione; ciò senza contare, sotto altro concorrente profilo, che la dichiarazione di pubblica utilità delle opere previste in detto piano particolareggiato alla data del passaggio in decisione del ricorso di primo grado era decaduta per non essere state esse realizzate, così che non poteva dubitarsi della procedibilità del ricorso; sono state pertanto espressamente riproposte le censure sollevate con il ricorso originario; b) quanto al ricorso NRG. 690/89, per l’altrettanto inopinata declaratoria di inammissibilità, giacché, essendo scaduto il vincolo espropriativo, l’amministrazione non avrebbe potuto neppure approvare il piano attuativo che presupponeva l’esistenza e la validità del vincolo presupponeva, mentre non corrispondeva al vero che l’area di loro proprietà ricadesse nella fascia di metri 300 dal confine col demanio marittimo e che pertanto sussistesse un vincolo di in edificabilità assoluta; anche in questo caso sono stati riproposti tutti i motivi di censura spiegati in primo grado; c) quanto al ricorso NRG. 661/91, perché, diversamente da quanto sostenuto dai primi giudici, non sussisteva affatto il vincolo di inedificabilità posto dall’amministrazione a fondamento del diniego di sanatoria.
Ha resistito al gravame il Comune di Bari, che ne ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza, chiedendone il rigetto.
Le parti hanno prodotto nel corso del giudizio ulteriore documentazione e gli appellanti hanno illustrato con apposita memoria le proprie tesi difensive.

I.6. All’udienza pubblica del 24 gennaio 2012, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

II. Preliminarmente la Sezione deve darsi carico di esaminare l’eccezione di improcedibilità dei ricorsi di primo grado, contraddistinti dai NRG. 1541/88 e NRG. 690/89, adombrata dall’amministrazione comunale di Bari con la documentazione depositata il 29 dicembre 2011.
E’ stata infatti prodotta la nota prot. 294687 del 15 dicembre 2011 della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia privata, nella quale, tra l’altro: a) quanto al ricorso di primo grado iscritto al NRG. 1541/88 (con cui erano state impugnate le note 39008 del 29 giugno 1988 e 53656 del 3 ottobre 1988, che lasciavano intendere l’avvenuta ritipizzazione delle aree di proprietà della originaria ricorrente), è stato evidenziato che i terreni oggetti di controversia sarebbero stati assoggettati alla “Variante normativa alle norme tecniche di attuazione del P.R.G., adottata con delibera consiliare n. 64 del 7 luglio 2008 e approvata con delibera di Giunta regionale n. 2415 del 10 dicembre 2008, che all’articolo 31 stabilisce che “gli interventi nelle predette aree sono riservati all’intervento pubblico e possono essere attuati anche dal privato”, alle condizioni previste nello stesso articolo, il che escluderebbe sia la natura di vincolo espropriativo della originaria destinazione urbanistica, sia l’inutilizzabilità edificabilità assoluta delle aree; b) quanto a quello contraddistinto con il NRG. 690/89 (concernente l’impugnazione della deliberazione consiliare n. 223 del 22 marzo 1989 di approvazione del piano particolareggiato di sistemazione viaria nelle maglie di verde di quartiere, verde urbano e servizi delle residenze comprese tra le vie Titolo – via Napoli lung. C. Colombo e l’abitato di S. Egidio) è stato rilevato che quel piano particolareggiato non solo non costituiva variante al piano regolatore vigente, ma si sostanziava in un piano di dettaglio finalizzato ad una migliore fruizione e accessibilità alle aree di uso pubblico, per quanto esso era decaduto e le relative previsioni, che peraltro interessavano solo marginalmente le aree oggetto di controversia, avevano solo natura conformativa e non preordinata all’esproprio.
Com’è noto nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per avere fatto venire meno per il ricorrente qualsiasi (anche soltanto strumentale o morale o comunque residua) utilità della pronuncia del giudice (ex multis, C.d.S., sez. V, 10 settembre 2010, n. 6549; 13 luglio 2010, n. 4540; 11 maggio 2010, n. 2833).
Ciò precisato, la Sezione è dell’avviso che nel caso di specie, quanto al ricorso NRG. 1541/88, non si sia verificata una nuova situazione di fatto o diritto tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della decisione.
Invero, il bene della vita invocato dalla ricorrente e successivamente dai suoi eredi consiste nella ritipizzazione urbanistica e nella conseguente utilizzabilità (anche a fini edificatori) delle aree di proprietà, la cui originaria destinazione urbanistica, secondo la loro prospettazione, integrando un vincolo espropriativo sarebbe decaduto per decorso del termine quinquennale dall’approvazione del piano regolatore generale (8 luglio 1976): pertanto, anche a limitarsi al mero recepimento delle affermazioni contenute nella citata documentazione prodotta dall’amministrazione appellata, secondo cui, per effetto della “Variante normativa alle norme tecniche di attuazione al P.R.G.” (adottata con delibera consiliare n. 64 del 7 luglio 2008 e approvata con delibera di Giunta regionale n. 2415 del 10 dicembre 2008), gli interventi previsti nelle aree in questione possono essere eseguiti non più solo dall’amministrazione, ma anche dai privati proprietari, così che in definitiva la quella destinazione urbanistica non costituirebbe più un vincolo espropriativo o tale da svuotare completamente il contenuto del diritto di proprietà, non vi è dubbio che detta utilizzabilità non può che valere per il futuro, restando quindi impregiudicato l’interesse della originariamente ricorrente e dei suoi eredi ad ottenere la pronuncia che accerti invece la decadenza del ritenuto vincolo espropriativo sin dal 1981 (quinquennio successivo all’approvazione del piano regolatore generale avvenuta l’8 luglio 1976).

 

III. Deve pertanto procedersi all’esame dell’appello.

III.1. Ad avviso della Sezione è fondato il primo motivo di gravame, con il quale è stata contestata dagli appellanti la correttezza della declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado, contrassegnato dal NRG. 1541/88, per l’avvenuta adozione e approvazione con la delibera n. 223 del 22 marzo 1989 del piano particolareggiato di sistemazione viaria nelle maglie di verde di quartiere, verde urbano e servizi delle residenze comprese tra le vie Titolo – via Napoli lung. C. Colombo e l’abitato di S. Egidio.
Invero, anche a voler prescindere dalla circostanza che, come precisato anche dal Comune di Bari nella depositata nota prot. 294687 del 15 dicembre 2011 della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia privata, il predetto piano particolareggiato non solo è in realtà decaduto, per quanto interessava solo marginalmente le aree di proprietà della originaria ricorrente, è sufficiente rilevare che l’eventuale fondatezza della censura formulata, secondo cui la destinazione urbanistica impressa alle aree di sua proprietà, in quanto costituente un vincolo preordinato all’espropriazione, era decaduta già nel 1981 per scadenza del quinquennio dall’approvazione del piano regolatore generale, avrebbe comportato direttamente l’illegittimità dello strumento attuativo adottato solo nel 1989.
Ciò imponeva ed impone l’esame del ricorso NRG. 1541/88: esso è tuttavia infondato.
III.1.1. E’ infatti privo di fondamento giuridico il primo motivo di censura, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L. 19.11.1968 n. 1187 e dei principi generali in materia di pianificazione urbanistica. Eccesso di potere: erroneità del presupposto, illogicità manifesta, difetto di motivazione”, con il quale è stato sostenuto che il vincolo di “area a verde pubblico – verde urbano”, gravante sulle aree di sua proprietà e la cui disciplina era contenuta nell’art. 31 delle N.T.A. del P.R.G., costituiva un vincolo preordinato all’espropriazione, soggetto a decadenza ai sensi dell’art. 2 legge 19 novembre 1968, n. 1187, e dunque effettivamente scaduto per il decorso del termine di cinque anni dall’approvazione del piano regolatore vigente, avvenuta con decreto del Presidente della Giunta regionale dell’8 luglio 1976.
Infatti, la natura e la portata della destinazione di zona a “verde pubblico – verde urbano”, impressa all’area di proprietà degli appellanti dalla variante generale al P.R.G. del Comune di Bari approvata con D.P.G.R. n. 1475 del 8 luglio 1976, hanno già formato oggetto di esame da parte dei questo Consesso con le decisioni della Quarta Sezione 25 maggio 2005, n. 2718, e 10 agosto 2004, n. 5490, dalle cui convincenti, condivisibili e approfondite conclusioni (con le qual sono state puntualmente confutate tutte le contrarie tesi, sostanzialmente analoghe a quelle prospettate dalla originaria ricorrente e dai suoi eredi) non vi è motivo per discostarsi.
E’ stato rilevato che, proprio alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 20 maggio 1999, n. 179 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo) i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost..
Mentre pertanto è stato sottolineato che costituiscono vincoli soggetti a decadenza, ai sensi dell’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, quelli preordinati all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità, e che, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone significativamente il suo valore di scambio, è stato per contro evidenziato che la destinazione di “area a verde pubblico – verde urbano” costituisce invece espressione della potestà conformativa del pianificatore, avente validità a tempo indeterminato: ciò in quanto l’art. 31 delle N.T.A., che destina le “aree a verde pubblico” al tempo libero e quindi all’utilizzo da parte della collettività (in tal senso dovendosi correttamente intendersi l’espressione “sono di proprietà pubblica”…., prevede, peraltro, che su tali aree possano essere ubicate attrezzature per lo svago, chioschi, bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per allenamento e spettacolo, e simili, nonché biblioteche e giochi per bambini, e consente, altresì, la costruzione di edifici ed impianti previa approvazione di piano particolareggiato o di progetto planovolumetrico.
Di conseguenza, essendo consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde, è stato escluso, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun vincolo preordinato all’espropriazione ovvero comportante in edificabilità, né è configurabile un obbligo di nuova tipizzazione.
Completezza espositiva impone di evidenziare che nella ricordata decisione della IV Sezione 25 maggio 2005, n. 2718, è stato anche evidenziato che non conduce a diverse conclusioni neppure il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale 9 maggio 2003, n. 148, che, proprio con riferimento alla regolamentazione urbanistica dello stesso Comune di Bari, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 37, quinto comma, della legge della Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio) e dell’art. 17, comma 2, della legge della Regione Puglia 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), nella parte in cui si riferiscono a vincoli scaduti, preordinati all’espropriazione o sostanzialmente espropriativi, senza previsione di durata e di indennizzo: ciò in quanto la questione di costituzionalità era stata sollevata con riferimento alla scadenza di un P.E.E.P. per decorso del termine di validità di diciotto anni, senza che mai fossero stati realizzati gli edifici destinati ad insediamenti abitativi né le opere pubbliche come le strade, il verde o i giardini, e altre opera pubbliche che interessavano le zone per cui era sorta la causa civile. In quel caso, insomma, il suolo dei privati era assoggettato a “vincoli di viabilità, verde pubblico, verde condominiale comprendete gli accessi pedonale, scuole superiori, media unificata” ed è in relazione a tale tipo di destinazione, che le norme regionali censurate, mantenevano in vigore, nonostante la intervenuta decadenza del piano di zona, che la Corte ha pronunciato la richiamata illegittimità costituzionale, senza che la questione riguardasse affatto la diversa questione della natura giuridica della destinazione a “verde pubblico-verde attrezzato”.

III.1.2. L’infondatezza dell’esaminato motivo di censura e la delineata natura di mero vincolo conformativo della destinazione urbanistica “a verde pubblico – verde urbano” rende del tutto inammissibile il secondo motivo del ricorso NRG. 1541/88, con cui era stato lamentato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 55 della L.R. n. 56 del 31.5.1980 con riferimento all’art. 2 della L. 1187 del 19.11.1968 e agli artt. 42 e 97 della Costituzione”, sul presupposto dell’avvenuta scadenza del preteso vincolo espropriativo.

III.2. Con il secondo motivo di gravame gli appellanti hanno dedotto l’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso NRG. 690/89, sostenendo che i primi giudici avrebbero malamente apprezzato le censure sollevate incentrate sulla considerazione che, non solo le opere previste nel predetto piano particolareggiato in questione contrastavano con le previsioni del piano regolatore generale, per quanto, essendo stata prevista per le aree di loro proprietà l’espropriazione per la realizzazione di “verde pubblico – verde urbano”, quel vincolo, peraltro scaduto, non consentiva in ogni caso l’espropriazione delle predette aree per altra finalità, quale quella di sistemazione viaria dell’area (dovendo in ogni caso procedersi prima alla ritipizzazione urbanistica delle aree stesse); inoltre, diversamente da quanto sostenuto dai primi giudici, poi, era del tutto irrilevante, ad avviso degli appellanti, ai fini dello scrutinio di legittimità dei provvedimenti impugnati la circostanza che le aree di loro proprietà fossero collocate nella fascia costiera ricadente entro i 300 metri dal confine del demanio marittimo, atteso che anche l’eventuale inedificabilità delle aree non poteva incidere sulla loro qualità di proprietà e non poteva dunque consentirne automaticamente l’espropriazione; gli appellanti hanno pertanto riproposto in appello tutte le censure sollevate in primo grado.
Al riguardo occorre rilevare in punto di fatto che nella memoria difensiva depositata il 13 dicembre 2011 gli appellanti hanno evidenziato, tra l’altro, (pag. 6) che “…le strade previste dal Piano particolareggiato dal 1989 non sono mai state realizzate; l’atto impugnato non ha perciò trovato attuazione (decorsi ormai oltre vent’anni dalla sua adozione)…”; tale circostanza è confermata dal contenuto della ricordata nota prot. 294687 del 15 dicembre 2011 della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Bari, laddove si legge, tra l’altro, che il Piano Particolareggiato approvato con D.C.C. n. 223/1989 “…risulta caducato…”.
Ciò posto, anche a voler prescindere dal fatto che, come rilevato in precedenza, la destinazione urbanistica delle aree in questione a “verde pubblico – verde urbano”, non costituisce vincolo espropriativo, bensì conformativo (non essendo quindi soggetto a scadenza quinquennale), poiché non vi è contestazione sulla circostanza che le previsioni del Piano Particolareggiato impugnato con il ricorso NRG. 690/89 siano decadute, non sussiste alcun interesse alla pronuncia sulle asserite illegittimità da cui il predetto piano sarebbe stato inficiato, lo stesso non potendo produrre alcun effetto nella sfera giuridica del ricorrente.
Il secondo motivo di gravame deve essere pertanto dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
III.3. Deve essere invece respinto il terzo motivo di appello, con cui è stata lamentata l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto legittimo il provvedimento di diniego di condono edilizio (oggetto del ricorso NRG. 661/91), relativamente ad un immobile costruito in assenza di concessione sulle aree in questione, in quanto ricadente nella fascia costiera di 300 metri.
Gli appellanti, in sintesi, hanno sostenuto che il vincolo sulle aree di loro proprietà di cui all’art. 51, lett. f), della legge regionale della Puglia 31 maggio 1980, n. 56, abrogato dall’art. 1 bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312 (in attuazione della quale era stata poi emanata la legge regionale 11 maggio 1990, n. 30), trasformato da mera generica norma di salvaguardia (di cui alla legge regionale n. 56 del 1980) in vincolo paesaggistico, transitorio e rimuovibile, non comportava in edificabilità assoluta, ma consentiva la sanatoria dell’abuso previo parere dell’amministrazione preposta alla tutela del bene: di qui l’illegittimità del diniego, tanto più che l’area in questione, sebbene formalmente destinata, secondo le previsioni urbanistiche, a “verde pubblico – verde urbano” (il cui vincolo era peraltro scaduto), in realtà ricadeva in una più vasta area del territorio comunale tipizzata “B”, doveva pertanto considerarsi a servizio di quest’ultima e come tale non rientrava neppure nella previsione di cui all’art. 51, lett. f), della citata legge regionale 31 maggio 1980, n. 56.
Sennonchè la Sezione deve osservare che anche tali tesi sono state già esaminate dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che le ha respinte, con argomentazioni puntuali, approfondite e condivisibile, dalle quale non vi è motivo di discostarsi.
Premesso innanzitutto che la deduzione difensiva articolata nella memoria depositata il 13 dicembre 2012, secondo cui il manufatto abusivo di cui si discute sarebbe stato realizzato da tempo immemorabile (addirittura intorno al 1948) e come tale non potrebbe in nessun caso soggiacere al vincolo di cui all’art. 51, lett. f), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, temporalmente successiva all’edificazione, oltre ad non essere stata neppure prospettata nel ricorso di primo grado, è comunque smentita, oltre che dalla stessa (altrimenti contraddittoria) presentazione della domanda di condono, da quanto risulta nella più volte citata nota prot. n. 294687 del 15 dicembre 2011 della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia del Comune di Bari (da cui si evince che il manufatto abusivo in questione è stato realizzato nel settembre 1983), deve rilevarsi che proprio con riferimento ad un analogo diniego di condono per un manufatto abusivo realizzato nel Comune di Bari, entro i 300 metri dalla costa, in area destinata dal piano regolatore generale a verde urbano, questa stessa Sezione (31 maggio 2001, n. 242) ha già evidenziato che “…la fattispecie della edificazione nella fascia dai 300 metri dalla costa, di cui al più volte citato articolo 51, lettera f), della L.R. n. 56 del 1980, non è rapportabile alla disciplina di cui all’articolo 32 della legge n. 47 del 1985 ma a quella di cui all’articolo 33, relative ad opere non suscettibili di sanatoria e che di conseguenza, non è possibile provvedere con le varianti di recupero, stante l’articolo 5, u.c., della L.R. n. 26 del 1985, per il quale “Non è possibile formare la variante per le opere non suscettibili di sanatoria di cui all’art. 33 della legge n. 47 del 1985″”;, ciò tanto più che “il divieto di edificazione nella fascia costiera di cui all’art. 51, lett. f, l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 non rappresenta una misura di di salvaguardia ma un vincolo d’inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio della concessione edilizia fino all’adozione del piano territoriale” (Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 300″ e che “L’art. 51, lett. f), l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n.56 vieta qualsiasi edificazione entro la fascia costiera di trecento metri, per cui è legittimo il diniego di sanatoria espresso dal comune per abusi edilizi realizzati entro tale fascia, a nulla valendo la previsione di piani finalizzati al recupero degli insediamenti abitativi, atteso che in forza dell’art. 5 l. reg. n. 56 del 1980 cit. non è possibile formare varianti per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 33 l. 28 febbraio 1985, n. 47″ (Sez. V, 23 aprile 1993, n. 458)”.
Deve anche ricordarsi che con la decisione 15 novembre 1999, n. 1914, sempre della Quinta Sezione (concernente un diniego di sanatoria di un manufatto pure realizzato entro la fascia di rispetto costiera di trecento metri – nel Comune di Monopoli), era stato ribadito che l’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 “…esclude espressamente la possibilità di sanatoria per gli interventi realizzati in violazione di “vincoli imposti da leggi statali e ragionali a tutela di interesse paesistici e ambientali ovvero a difesa della coste marine”, in quanto “Come già ritenuto dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Sez. IV, 23.4.1993, n. 458) la norma regionale all’esame introduce un divieto assoluto, ancorchè temporaneo, di edificazione entro la fascia costiera, al quale si aggancia con immediatezza la misura sanzionatoria prevista dal legislatore statale, e cioè l’impossibilità di sanatoria dell’abuso, senza eccezioni, limiti o condizionamenti. Ciò che rileva, in altri termini, è l’esistenza di un vincolo legale di in edificabilità assoluta sia al momento in cui le opere vennero realizzate …, sia al momento della decisione sulla domanda di sanatoria…)”.
La ricordata decisione 15 novembre 1999, n. 1914, ha aggiunto significativamente che “Non può giovare, in senso contrario, il richiamo per analogia alla fattispecie di cui all’art. 1 quinquies della legge n. 431/1985, comportante anch’essa un divieto transitorio di edificabilità sino all’entrata in vigore dei piani territoriali: ché, anzi, proprio la circostanza che il legislatore abbia avvertito la necessità di escludere, con successiva espressa previsione derogatoria (art. 39, 20° comma L. 724/1994) la riconducibilità del suddetto divieto transitorio di edificare alla previsione dell’art. 33 L. 47/1985, dimostra come, a contrario, in assenza di omologa previsione ad excludendum, il vincolo temporaneo introdotto dal legislatore regionale pugliesi rientri fra quelli comportanti l’assoluta insanabilità dell’abuso”.
E’ appena il caso di segnalare che (anche alla stregua delle condivisibili considerazioni contenute in Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2001, n. 11716, cui può farsi rinviare) non può trovare accoglimento la tesi, su cui è imperniato tutto l’assunto difensivo degli appellanti, dell’abrogazione implicita dell’art. 51, lett. f), della legge regionale 31.5.1980, n. 56, per contrasto con le disposizioni della legge statale 8 agosto 1985, n. 431, esso al riguardo sufficiente evidenziare che mentre la legge della regionale 31 maggio 1980, n. 56, disciplina la “Tutela ed uso del territorio”, attribuita alla competenza delle Regioni dall’art. 117 della Costituzione, mentre la legge statale è riferita alla “tutela del paesaggio”, è materia da ricondursi all’art. 9, 2 comma, della Costituzione e soltanto delegata alle Regioni: le due normative, quella urbanistica e quella paesaggistica, perseguono dunque fini assolutamente distinti che non consentono, logicamente e giuridicamente, una loro sovrapposizione, solo in presenza della quale avrebbe potuto trovare ingresso la deduzione difensiva degli appellanti circa l’avvenuta abrogazione della normativa regionale ad opera di quella statale (il che rende infondato anche l’ulteriore argomentazione difensiva relativamente alla legge regionale 11 maggio 1990, n. 30, che reca “Norme transitorie di tutela delle aree di particolare interesse ambientale paesaggistico”).
Né può condividersi la tesi degli appellanti secondo cui le aree di loro proprietà, ancorché urbanisticamente destinate a “verde pubblico – verde urbano”, sarebbero state da considerare quale zona B o a servizio della zona B e come tali escluse dall’applicazione delle disposizioni dell’art. 51, lett. f), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, atteso che la destinazione urbanistica dell’area è quella che risulta espressamente dalla vigente strumentazione urbanistica e non può dipendere da una mera soggettiva prospettazione delle parti interessate o da una diversa situazione di fatto (che può solo sollecitare il nuovo esercizio del potere di disciplina urbanistica da parte dell’ente locale).
Il motivo di appello è pertanto da respingersi; completezza espositiva impone in ogni caso alla Sezione di evidenziare che la delineata legittimità dell’impugnato diniego di condono non può di per sé spiegare alcun diretto effetto pregiudizievole sulla nuova istanza di condono edilizia presentata dagli interessati ai sensi della legge n. 326 del 2003.
IV. In conclusione l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata, sia pur con la diversa indicata motivazione.
Il tempo trascorso e la peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dai signori *********, ******, ****** e ****************** avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. II, n. 884 del 6 marzo 2000, lo respinge, confermando la sentenza impugnata con la diversa indicata motivazione.
Dichiara compensate le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2012

Redazione