Rispondono di indebito rifiuto di atti di ufficio gli operatori del 118 che a seguito di una chiamata non inviano l’ambulanza (Cass. pen. n. 19759/2013)

Redazione 08/05/13
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto

Il Tribunale di Napoli, con sentenza 21 giugno 2010, appellata dalla D.R. (infermiera professionale addetta al centralino del “118”) e dalle parti civili (anche nei confronti del dr. C., medico coordinatore preposto al “118”), ha assolto il medico dal delitto ex art. 328 cod. pen. per non aver commesso il fatto, ed ha condannato l’infermiera per indebito rifiuto di atto d’ufficio.
La Corte di appello di Napoli, con sentenza 17 aprile 2012. in parziale riforma della sentenza 21 giugno 2010 del Tribunale di Napoli, appellata dall’imputata e dalle parti civili (anche nei confronti del C.), assolveva la D.R. perché il fatto non sussiste confermando nel resto l’assoluzione del medico C. .
Avverso tale decisione ricorre il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, nei confronti di D.R.E. , e le parti civili D.V. e M.S. , nei confronti della stessa D.R. e di C.A.S. .
Va preliminarmente riferito che, sia per il medico che per l’infermiera vi è stata pronuncia di decreto di archiviazione in ordine all’accusa di omicidio colposo, delitto escluso per l’assenza di rilevanza causale o concausale nel determinismo dell’evento morte (ed sindrome da morte improvvisa) ed assenza di correlazione eziologica tra l’omesso invio del mezzo di soccorso e l’evento morte (autonomamente) verificatosi.
1.0) il capo d’imputazione ex art. 328 cod. pen..
Alla D.R. , infermiera professionale addetta al centralino del “118” e al C. , medico coordinatore preposto al “118”, è contestato ex art. 328 cod. pen. l’indebito rifiuto di atti del loro ufficio che per ragioni di sanità dovevano essere compiuti senza ritardo, ovvero la formulazione della diagnosi secondo parametri informatici (c.d. “Triage”), nonché l’invio dell’autoambulanza, così come previsto dalle procedure operative e parametri di comportamento per il “Servizio 118” approvate con delibera della Regione Campania.
In particolare si contesta che: la D.R. , a seguito delle chiamate telefoniche degli amici di ***** (poi deceduta) abbia omesso intenzionalmente di inserire nel sistema informatico le indicazioni, fornite dagli amici della ragazza, in ordine ai sintomi palesati dalla A. , affinché il computer formulasse la diagnosi ed elaborasse il codice di intervento, la tipologia ed il mezzo di soccorso corrispondente,.. con una diagnosi elaborata autonomamente di malattia esantematica in contrasto con i sintomi riferiti, rifiutava di inviare un’ambulanza del 118, benché in quel momento ne fossero disponibili sette; il C. , presente presso la postazione telefonica della D.R. nel corso delle telefonate predette, ed interpellato da quest’ultima, che gli riferiva i gravi sintomi descritti dagli amici della D. e la loro richiesta di invio urgente di un’autoambulanza, abbia omesso intenzionalmente di controllare e, comunque di esigere, che l’infermiera effettuasse il c.d. Triage per la formulazione della diagnosi e la elaborazione del codice dell’intervento, ed altresì rifiutava di inviare un’autoambulanza del 118, benché in quel momento ne fossero disponibili sette. In (omissis) .
1.1) le argomentazioni della Corte di appello a fondamento dell’assoluzione.
La corte distrettuale, a sostegno del suo assunto, ha preliminarmente preso atto che il giudice di prime cure ha ritenuto l’infermiera responsabile del delitto ascrittole, perché avrebbe sottovalutato i sintomi riferiti dai coinquilini della povera ********* (che avevano chiesto insistentemente l’invio di un’autoambulanza poiché la loro collega di studi stava molto male, tanto da accusare fortissimi dolori, accompagnati da un preoccupante stato febbrile, che aveva provocato anche una rilevante alterazione del colorito, macchie livide su tutto il corpo e nel viso), limitandosi unicamente alla cosiddetta “intervista conoscitiva”, rectius “dispactch”, senza effettuare il cosiddetto “triage”, cioè la formulazione della diagnosi mediante i parametri informatici previsti dal protocollo dell’Azienda Ospedaliera, il quale, ove correttamente e tempestivamente attivato, avrebbe imposto l’immediato invio del richiesto mezzo di soccorso.
In tale quadro la Corte territoriale ha peraltro evidenziato che, anche laddove il protocollo di rito fosse stato tempestivamente e scrupolosamente osservato, il richiesto intervento immediato della Centrale operativa del 118 non sarebbe valso a scongiurare il decesso della D. , attesa l’evoluzione fulminante della sindrome da cui la giovane è stata colpita (18 ore dalla prima insorgenza della sintomatologia all’exitus), ascrivibile nosograficamente nell’ambito delle morti improvvise, e che aveva determinato l’interessamento pluriviscerale (celebrale epatico, polmonare, cardiaco), non ovviabile per il “trattamento anticipato di circa venti minuti”, cui la paziente avrebbe potuto accedere se vi fosse stato un tempestivo invio dell’ambulanza.
L’assenza di tale collegamento causale tra atto omissivo e decesso della inferma ha portato la Corte di appello alla assoluzione dell’operatrice del 118, perché il fatto non sussiste in relazione all’accusa ex art. 528 cod. pen., ed alla conferma della decisione assolutoria del medico, con la diversa formula per non aver commesso il fatto.
2.1) il ricorso del Procuratore generale contro l’infermiera D.R. : fondatezza.
La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, acquisito il dato dell’assenza di un nesso causale (o concausale) tra decesso della ragazza ed omesso intervento del 118, la mancata realizzazione del c.d. “triage” informatico da parte dell’operatore del 118, ha ritenuto insussistente il fatto-reato contestato.
Con un primo motivo il Procuratore generale deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, evidenziando in ordine alla doverosità dell’atto, che il decorso e gli esiti successivi della sintomatologia riferita telefonicamente all’operatore del 118 non incidono sui doveri incombenti sino al punto da esonerare l’avvio di procedure destinate alla tutela della salute umana.
In particolare, evidenzia il Procuratore generale, che, per effetto della tipologia dell’atto amministrativo nel caso di specie omesso (ossia la compilazione di una scheda informatica redatta contestualmente all’intervista telefonica del chiamante in ordine ai sintomi in lui stesso od in altro soggetto insorti) è possibile individuare la necessità, il tipo ed i tempi del soccorso richiesto. È quindi indubbio che si tratti di atto “ex se” dovuto, perché comunque posto a tutela della salute privata e pubblica e, comunque, di atto omissivo realizzato con piena coscienza e volontà dall’imputata.
Sostiene il ricorrente Procuratore generale:
a) che in tema di atti di ufficio da compiere a tutela della salute, come ad esempio il ricovero o la visita a domicilio, la giurisprudenza della Suprema Corte è nel senso di ritenere assolutamente “irrilevante” il decorso successivo della patologia ed addirittura, si badi bene, anche il fatto che le condizioni di salute del paziente non adeguatamente soccorso risultino nel prosieguo non gravi in concreto (si cita sul punto Sez. 6 nr. 20056 del 7.4.2008);
b) che il compimento dell’atto, sin dalla prima telefonata, avrebbe consentito di essere sicuri che tutto il possibile era stato fatto per evitare anche la stessa morte, posta l’imprevedibilità delle reazioni del corpo umano ed il giudizio – inevitabilmente solo probabilistico – delle consulenze che, nel procedimento archiviato per l’ipotesi di cui all’art. 589 cpv c.p., hanno decretato la diagnosi di morte c.d. “improvvisa”;
c) che in relazione a tale specifico profilo del danno subito dalla ragazza, le conclusioni della Corte non sono condivisibili poiché esse non ritengono affatto possibile che il delitto di cui all’art. 328 c.p. divenga plurioffensivo in tutti quei casi di specie in cui oltre l’interesse pubblico al buon andamento della p.a. vi sia la concorrenza di un interesse del privato danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto; vi sono infatti diverse sentenze della Suprema Corte in tal senso (si citano tra le più recenti sez. 2 17345/2011 e tra le meno recenti Cass. Sez. 6 32019/2003);
d) che la gravata sentenza, ricopiando testualmente a pag 3 uno dei motivi di appello, sembra aderire all’argomento secondo cui l’imputata avrebbe meritato l’assoluzione perché era prassi consolidata non effettuare il c.d. triage, dunque perché, già in primo grado, era emersa l’insussistenza della prova dell’elemento soggettivo del reato ipotizzato (formula “fatto non costituisce reato”);
e) che, successivamente, richiamando gli esiti dell’altro giudizio formulato sulla ricorribilità anche del delitto di cui all’art. 589 cpv. c.p. ed in particolare delle consulenze medico – legali, ritenendo, come detto, che il non compimento del “triage” non ebbe modo di incidere sulla “vita” della ragazza, ha assolto l’imputata con la formula” il fatto non sussiste”, abbandonando del tutto il motivo di gravame prima richiamato e non articolando alcun argomento per superare la natura “doverosa” dell’atto omesso e la prova (desunta dal numero e contenuto delle telefonate) dell’elemento soggettivo del reato ipotizzato in questo procedimento, come invece entrambe valutate dai giudici di primo grado.
Il ricorso del Procuratore generale è fondato nei sensi e nei limiti verranno di seguito precisati, qui subito segnalando, in punto di diritto:
I) che, essendo irrilevante il fatto che le condizioni di salute del paziente, per cui si è realizzato l’atto omissivo, non siano poi risultate gravi in concreto, e che nessuna terapia sia stata prescritta all’esito del successivo ricovero ospedaliero, tanto più deve operare tale irrilevanza quando, come nella specie, l’evento morte sia praticamente inevitabile, considerato che la funzione dell’intervento del “118” non deve essere limitata ai soli presidi funzionali alla sopravvivenza del paziente, ma anche quelli non meno importanti di una “presenza terapeutica” o “lenitiva del dolore” nella fasi terminali dell’exitus:
II) che il delitto di omissione di atti di ufficio, di cui all’art. 328, comma secondo, cod. pen., integra un delitto plurioffensivo, in quanto la sua realizzazione lede, oltre l’interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto: ne consegue che il soggetto privato assume la posizione di persona offesa dal reato (Cass. pen. sez. 2, 17345/2011 Rv. 250077; Massime precedenti Conformi: N. 1817 del 1995 Rv. 202818, N. 3806 del 1997 Rv. 210306, N. 4316 del 1998 Rv. 211123, N. 5376 del 2003 Rv. 223937);
III) che la connotazione indebita, attribuibile al rifiuto, sussiste quando risulti che l’imputato non abbia esercitata una discrezionalità tecnica ma si sia semplicemente sottratto alla valutazione dell’urgenza dell’atto d’ufficio (Cass. Pen. sezione 6, u.p. 27 settembre 2012, *********), come avvenuto nella specie mediante l’omessa compilazione del protocollo “Triage” da parte dell’infermiera e dalla i convergente e sintonica condotta omissiva del medico addetto al “118”;
IV) che per individuare il carattere indebito del rifiuto è nei poteri del giudice di merito il controllare la discrezionalità tecnica da parte del sanitario (Cass. Pen. sez. 6, u.p. 6 luglio 2011, Romano), con la possibilità di concludere che essa trasmoda in arbitrio, ove, come nella vicenda, il relativo esercizio non risulta sorretto da un minimo di ragionevolezza ricavabile dal contesto e dai protocolli vigenti per il servizio “118”;
V) che l’obbligo di intervento, diretto ad assicurare al paziente l’assistenza sanitaria riguarda tanto la salute fisica che quella psichica e comprende anche la necessità di alleviare le atroci sofferenze di un malato terminale (Cass. Pen. sez. 6, U.P. 24.11.1999 ********* e U.P. 27.6.2000 *******).
3) il ricorso delle parti civili contro il proscioglimento degli imputati D.R. e C. .
Il difensore della parte civile dichiara genericamente di proporre ricorso avverso la decisione assolutoria della corte distrettuale.
Va in proposito preliminarmente osservato che le Sezioni unite della Corte di cassazione (Sentenza n. 6509 del 20 dicembre 2012 – depositata l’8 febbraio 2013) hanno affermato che l’impugnazione della parte civile, nei confronti di una sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche se, come nella specie, non contenga l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti civili.
Tanto premesso l’impugnazione delle parti civili si compone di quattro motivi.
I) inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo dell’esclusione dello schema dogmatico dell’art. 328 cod. pen. di cui ricorrono sia i profili oggettivi che quelli soggettivi nella condotta dell’infermiera D.R. . In particolare si contesta l’adesione fatta dalla corte distrettuale alla teoria della monoffensività del reato in questione e si precisa che nella specie la condotta rientra nella previsione del primo comma dell’art. 328 cod. pen. trattandosi di reato di pericolo, integrato dal rifiuto del compimento di atto dovuto, perché urgente, indefettibile che interessa beni di valore primario, indipendentemente dal nocumento che in concreto possa derivarne.
II) vizio di motivazione e mancata risposta alle censure in appello sul punto della prassi di non compilazione e predisposizione del triage alfanumerico, previsto dalle linee guida e dalla normativa regionale e omessa considerazione della contraria testimonianza del responsabile della centrale operativa 118, dr. B. .
III) per il medico dr. C. , vizio di motivazione per illogicità, considerato che la sua estraneità (assoluzione per non aver commesso il fatto) è esclusa proprio dalla circostanza che l’infermiera gli si era rivolta per ben due volte in relazione alle telefonate degli amici della D. .
IV) violazione di legge in ordine alla decisione di inammissibilità dell’impugnazione delle parti civili avuto riguardo alla giurisprudenza di legittimità.
Rilevano in fatto le parti civili che la D. non ha ricevuto nessuna forma di terapia idonea per combattere la sua malattia infettiva, malattia scambiata inizialmente per leucemia.
Si precisa ai fini del 328 cp la D. ha subito danni che vanno risarciti: non è stata soccorsa in ambulanza, non ha ricevuto conforto materiale e psicologico di personale medico sanitario, non ha usufruito di cure di supporto alla respirazione e alla circolazione, la prima cosa che operatore e medico, avrebbero finalmente fatto, avrebbero misurato la pressione, e di conseguenza avrebbero ‘dato un primo sostegno circolatorio, non ha ricevuto cure lenitive degli atroci dolori, che ha dovuto gratuitamente sopportare, non è stata trasportata dal suo letto verso l’ospedale, su una normalissima barella, come tutti gli altri ammalati, perché le sue amiche, come hanno testimoniato, è andata via di casa avvolta in una coperta, a piedi e sorretta di peso dai suoi amici, con i quali ha dovuto percorrere la strada sino all’ospedale in pieno inverno.
Ritiene il Collegio che i motivi del Procuratore generale, dianzi richiamati, quanto all’infermiera D.R. e quelli delle parti civili, agli effetti civili, per la D.R. ed il medico dr. C., siano fondati.
Tuttavia per effetto della maturata prescrizione dell’illecito (valutati i rinvii disposti in appello) la gravata sentenza va annullata nei confronti di E.D.R. , persona condannata in primo grado ed assolta in appello.
La stessa sentenza della Corte di appello va annullata per la D.R. ed anche nei confronti del C., assolto in entrambi i gradi in ordine alle statuizioni civili, in ordine alle medesime statuizioni, con rinvio per nuovo giudizio avanti al giudice civile, competente per valore.
Ritiene infatti questa Corte che la lettura della gravata sentenza, alla luce delle condivisibili critiche, prospettate dalla parte pubblica (per la D.R.) e per entrambi gli accusati (D.R. e C.) consente di rilevare immediatamente quello che il Procuratore generale ha opportunamente definito una “sovrapposizione di piani”, concettualmente impropria, tra la contestata omissione di un atto dovuto ed urgente, ricompreso nelle competenze della tipica attività di servizio del “118” ed il tema del nesso eziologico tra la condotta omissiva accertata e l’evento tragico della morte della studentessa.
Un corretto approccio a tale realtà, nei termini sviluppati dai ricorrenti sulla doverosità dell’atto omesso (compilazione del triage, funzionale alla classificazione dell’urgenza ai fini della individuazione e dell’approntamento del mezzo di soccorso) avrebbe invece comportato la valutazione del fattore determinante nella fattispecie, e cioè la volontarietà ed irragionevolezza dell’accertato rifiuto della prestazione doverosa.
Si tratta di profili che, come proposti nei ricorsi e ulteriormente sviluppati nella requisitoria del Procuratore generale, non solo non sono stati debitamente oggetto di trattazione ed esame, ma sono stati illogicamente intersecati da dati di assoluta in conferenza quali la prassi omissiva (peraltro negata dal teste B. ) concernente la condotta professionale esigibile.
La maturata prescrizione comporta l’annullamento senza rinvio della decisione per la D.R. .
Per ciò che attiene al medico dr. C. , ritiene la Corte che la decisione della gravata sentenza, ripetendo l’errore metodologico nella valutazione dei due piani della condotta (l’atto formale omesso e l’esito mortale, eziologicamente scollegato), effettuato per l’operatrice del “118”, sia colpita dalla medesima rilevata invalidità, tenuto conto non solo della sua posizione di garanzia di “medico coordinatore”, ma soprattutto della circostanza, evidenziata dal dr. B. , responsabile della Centrale operativa dell’Ospedale di (omissis), che il medico coordinatore (nella specie il dr. C. ) non ha la semplice facoltà ma il ben diverso obbligo in caso di dubbio, manifestato dall’operatore su quale decisione prendere, non solo di dare consigli ma di “avocare le telefonate”.
Orbene nella specie, a prescindere dalle inadempienze della D.R. in ordine alla stesura del Triage, risulta agli atti che l’infermiera, prima di continuare la sua condotta di omissione inerte, si era rivolta al C. per ben due volte: dato di fatto questo che immette il comportamento del medico a pieno titolo nella complessiva azione omissiva attribuita alla sola infermiera.
La gravata sentenza va quindi annullata anche nei confronti del C. in ordine alle statuizioni civili e rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo grado.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di D.R.E. perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla la stessa sentenza nei confronti di D.R.E. e C.A. in ordine alle statuizioni civili e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore.

Redazione