Risoluzione rapporto di lavoro (Cons. Stato n. 132/2012) (inviata da R. Staiano)

Redazione 18/01/12
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FATTO
Con il ricorso in epigrafe l’Università degli Studi di Messina ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato accolto il ricorso proposto da un ricercatore universitario e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui l’Università di appartenenza ha dapprima adottato alcune delibere in ordine all’applicazione delle disposizioni di cui al comma 35-novies dell’art. 17 del decreto-legge n. 78 del 2010 (in tema di risoluzione del rapporto con i docenti i quali avessero maturato un’anzianità contributiva pari quaranta anni) e, successivamente, ha disposto il collocamento in quiescenza del docente in questione.
Con l’atto di appello, l’Università degli Studi di Messina ha chiesto l’integrale riforma della richiamata sentenza, articolando in particolare due motivi di gravame, rispettivamente relativi:
1) all’incompetenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio;
2) alla corretta interpretazione ed applicazione delle previsioni di cui al comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112 del 2008 (come sostituito dal comma 35-novies dell’articolo 17 del d.l. 78 del 2009) in tema di facoltà di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con i dipendenti con un’anzianità contributiva pari o superiore a quaranta anni.
Si costituiva in giudizio il ******** il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.
Con ordinanza n. 863/2011 (resa all’esito della camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2011) questo Consiglio accoglieva l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in questione, “tenuto conto dei precedenti della Sezione sulla medesima vicenda (cfr. in particolare ordinanza n. 3235/2010, ord. 3268/2010, ord. 3243/2010), precedenti dai quali non si ravvisano ragioni per discostarsi avuto riguardo in particolare ai criteri di massima di cui si era dotata l’Università di Messina al fine di esercitare la facoltà di risoluzione contrattuale”.
All’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

 

DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio l’appello proposto dall’Università di Messina avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato accolto il ricorso proposto da un ricercatore universitario e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui l’Università appellante ha dapprima fissato parametri in base ai quali esercitare la facoltà di risoluzione di cui al comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112 del 2008 e, in seguito, ha disposto la cessazione dal servizio del ricorrente in primo grado.
2. In primo luogo il Collegio osserva che non può trovare accoglimento il motivo di appello con il quale si chiede la riforma della sentenza in epigrafe a cagione dell’incompetenza territoriale dell’adìto T.A.R. del Lazio.
Giova premettere al riguardo che il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio è stato notificato e depositato ben prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (il deposito del ricorso risale al 4 marzo 2010, mentre la notifica dello stesso è databile ad alcuni giorni addietro).
Pertanto, anche se il ricorso in questione (definito dal T.A.R. con sentenza in forma semplificata) è stato trattato in camera di consiglio e successivamente definito in un momento successivo all’entrata in vigore del ‘codice’ (rispettivamente, in data 13 ottobre e 3 novembre 2010), non può negarsi che esso fosse già ‘pendente’ alla data di entrata in vigore del codice (16 settembre 2010).
Al riguardo il Collegio ritiene che la questione debba essere risolta facendo applicazione dei princìpi affermati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio 7 marzo 2011, n. 1, secondo cui la nuova disciplina in tema di competenza territoriale di cui agli articoli 13 e segg. del c.p.a. (ivi compresi i modi di rilevabilità anche in sede di gravame di cui all’art. 15) sia applicabile soltanto in relazione ai processi instaurati sotto la sua vigenza, dovendosi intendere per ‘instaurati’ i ricorsi per i quali alla data del 16 settembre 2010 fosse intervenuta la prima notifica alle parti necessarie del giudizio, con cui si realizza la proposizione del ricorso (in tal senso: Corte cost., 26 maggio 2005, n. 213).
Conseguentemente, non può ritenersi ratione temporis applicabile la previsione di cui al comma 1 dell’articolo 15 del c.p.a., il quale consente di dedurre l’incompetenza territoriale del Tribunale inizialmente adìto quale specifico motivo di gravame, dovendo – al contrario – trovare applicazione la previgente disciplina di cui al nono comma dell’art. 31, l. T.A.R., a tenore del quale l’incompetenza per territorio non costitui[va] motivo di impugnazione della decisione emessa dal tribunale amministrativo regionale.
3. Nel merito, l’appello è fondato.
Giova premettere che, nella sua originaria formulazione, il comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112 del 2008 stabiliva che “nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi (…)”.
La disposizione in questione è stata modificata dal comma 35-novies dell’articolo 17 del d.l. 78 del 2009, a tenore del quale “per gli anni 2009, 2010 e 2011, le pubbliche amministrazioni (…) possono, a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente, nell’esercizio dei poteri di cui all’articolo 5 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici. (…) Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai magistrati, ai professori universitari e ai dirigenti medici responsabili di struttura complessa”.
Con le delibere impugnate in prime cure, il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione dell’Università hanno adottato criteri generali ai quali attenersi in sede di decisione sulle istanze di trattenimento in servizio.
In particolare, l’Ateneo stabiliva che non si sarebbe avvalso della facoltà di disporre la risoluzione, qualora:
1. il ricercatore fosse l’unico rappresentante del Settore Scientifico Disciplinare nell’area di afferenza nell’ambito dell’intero Ateneo;
2. ricercatore fosse coinvolto in un PRIN (Programmi di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale);
3. il ricercatore fosse titolare nell’ambito dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di metodiche e procedure clinico-diagnostiche di carattere ‘non vicariabile’
La sentenza appellata ha ritenuto, in particolare, che l’operato degli Organi universitari fosse meritevole di censura per non essere stati tenuti in adeguata considerazione i parametri applicativi contenuti nella circolare n. 10/2008 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Funzione Pubblica e per avere l’Università appellante violato le prerogative partecipative del docente appellato, il quale non era stato posto in condizione di interloquire con l’Ateneo nel corso della fase prodromica all’adozione della determinazione espulsiva.
Ora, il Collegio non ritiene nel caso in esame di discostarsi dal proprio orientamento (formatosi sulla materia del trattenimento in servizio di cui all’articolo 16 del d.lgs. 503 del 1992, ma applicabile anche alla materia che ne occupa, per prevalenti ragioni di contiguità sistematica) secondo cui le recenti disposizioni legislative in materia di esodo dei pubblici impiegati – e, segnatamente, dei docenti universitari – devono essere interpretate conferendo prevalenza sistematica alle esigenze generali di contenimento della spesa pubblica espressamente perseguite (in tal senso: Cons. Stato, VI, 24 gennaio 2011, n. 478).
In particolare, poiché nell’ambito del particolare quadro normativo delineato dai decreti-legge numm. 112 del 2008 e 78 del 2010 la regola è rappresentata dal collocamento in quiescenza, mentre il trattenimento in servizio costituisce un’eccezione, è la seconda di tali opzioni a dover essere adeguatamente giustificata sulla base di oggettivi e concreti fatti giustificativi.
Al contrario, la prima delle richiamate opzioni, rivestendo carattere – per così dire – paradigmatico, potrà essere percorsa in tutte le ipotesi in cui il ricorso ad essa non risulti palesemente irragionevole o incongruo.
Ebbene, applicando le coordinate ermeneutiche appena richiamate alle peculiarità del caso di specie, il Collegio ritiene che le delibere del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione impugnate in primo grado restano esenti dalle censure rilevate dai primi Giudici.
Ciò in quanto, se per un verso tali delibere risultavano ispirate a un evidente rigore applicativo (si pensi al criterio dinanzi richiamato sub 1), consistente nell’assenza di professori o ricercatori afferenti al medesimo settore scientifico-disciplinare), per altro verso tale rigore applicativo risultava certamente compatibile con la ratio ispiratrice delle disposizioni della cui applicazione si tratta, non discostandosene in modo significativo, né rendendo del tutto impossibile il trattenimento in servizio del docente interessato.
Né può condividersi la decisione del primo Giudice il quale ha censurato l’error in procedendo che sarebbe stato realizzato dall’Università per essere state violate le prerogative partecipative del prof. C.
A tacer d’altro, si osserva che il decreto rettorale impugnato in prime cure (atto in data 30 dicembre 2009), lungi dal rappresentare la determinazione conclusiva con cui veniva disposto il collocamento in quiescenza del docente, rappresentava – al contrario – l’atto di preavviso espressamente contemplato dal comma 1 del più volte richiamato articolo 72 all’indomani della novella di cui al d.l. 778 del 2009.
Si osserva la riguardo che (anche a prescindere dalla questione – invero, non pacifica – della diretta impugnabilità in giudizio dell’atto di preavviso di cui alla richiamata disposizione), non sembra che il soggetto il quale abbia scelto di adire in via diretta la via giudiziaria avverso tale atto (scegliendo di non interloquire in alcun modo con l’Amministrazione nella fase prodromica all’adozione della determinazione finale) possa poi lamentare la violazione delle proprie prerogative partecipative, ostando a una siffatta possibilità il generale divieto di venire contra factum proprium.
4. Per le ragioni sin qui evidenziate, l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza oggetto di gravame, deve essere disposta la reiezione del primo ricorso.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti..

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza oggetto di gravame, dispone la reiezione del primo ricorso.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione