Risarcimento per equivalente: natura risarcitoria e non sanzionatoria

Redazione 11/11/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3093 del 2009, proposto da: Ministero dei Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
***********, ********** e *************, nella loro qualità di eredi di *******, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. ***********************, con domicilio eletto presso Avv. ********************** in Roma, via Bocca di *****, n. 78;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 02681/2008, resa tra le parti, concernente la sospensione del lavoro di riadattamento immobile per la realizzazione della sede dell’Accademia di Belle Arti e Liceo Artistico di Lecce
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2013 il Cons. ********************* e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato ******** e l’Avv. Sanino per delega dell’Avv. ***************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 8 agosto 1970 l’Avv. **************, in qualità di Presidente dell’Accademia di Belle Arti e Liceo Artistico di Lecce, in virtù di mandato conferitogli dal Consiglio di Amministrazione, conferiva all’Arch. ******************, unitamente ad altri professionisti, l’incarico di redigere il progetto esecutivo dei lavori di riadattamento dell’edificio ex Manifattura Tabacchi a nuova sede dell’Accademia di Belle Arti di Lecce.
2. L’Arch. ******** veniva inoltre incaricato della direzione dei lavori.
3. Titolare della concessione e committente dei lavori era l’Accademia BB.AA. di Lecce.
4. Il progetto dell’opera redatto dal suddetto gruppo di professionisti, insieme con un progetto stralcio per un primo lotto di lavori, riceveva dai competenti uffici tutte le approvazioni di legge.
5. Il primo lotto di lavori comportava, nel complesso immobiliare dell’ex Manifattura Tabacchi, le seguenti operazioni:
a) rimozione delle superfetazioni dalla gran parte degli ambienti storico-monumentali e loro restauro corrente;
b) restauro particolare, con smontaggio e rimontaggio (o ricostruzione), di una limitata parte di ambienti compromessi staticamente (“corridoio gotico” e piano terreno e corrispondente “corridoi barocco” al primo piano);
c) demolizione della magmatica massa di locali industriali che, su Via Manifattura Tabacchi, avvolgevano e, nelle zone di contatto, si innestavano nella parti di cui alla precedente lett. b).
5. Il 28 aprile 1978 veniva ordinata la sospensione dei lavori al fine di consentire la redazione di una perizia di variante.
6. Nel frattempo l’Avv. ******* cessava, in data 27 marzo 1979, dall’incarico di Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Accademia di Belle Arti.
7. La Soprintendenza di Bari, dal canto suo, con nota del 29 novembre 1978, aveva ordinato la sospensione dei lavori (che però, a quella data, erano già cessati), paventando danni al complesso architettonico ed avanzando rilievi sull’operato della direzione dei lavori.
8. A distanza di 11 anni e mezzo da tale atto (anzi quasi 15, se si tiene conto della notifica del provvedimento impugnato), il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, con decreto in data 23 maggio 1990, comunicato in data 29 settembre 1993, ordinava nei riguardi dell’Avv. ************** (coniuge defunto della originaria ricorrente) e dell’Arch. ******************: la sospensione di qualsiasi lavoro nell’immobile che ospita la sede dell’Accademia BB.AA. di Lecce; la realizzazione di opere di consolidamento delle parti restaurabili, con istruzioni al Sovrintendente per i Beni ambientali ed Architettonici di Bari per la eventuale esecuzione d’ufficio; il pagamento di £ 500.000.000 a titolo di risarcimento per asseriti danni al patrimonio artistico-storico del demanio patrimoniale dello Stato.
9. La sig.ra **************, allora coniuge superstite del defunto Avv. **************, impugnava avanti al T.A.R. Puglia, sezione staccata di Lecce, tale decreto ministeriale deducendo i seguenti motivi di diritto:
1) difetto di legittimazione in capo alla originaria ricorrente, in quanto il decreto impugnato aveva come destinatario l’Avv. *******;
2) violazione degli artt. 12 e 18 della legge n. 689 del 1981: ed infatti, qualificando la richiesta dell’amministrazione come irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, il credito sarebbe in ogni caso prescritto per decorso del termine quinquennale di cui all’art. 28 della l. 689/1981;
3) in via subordinata, violazione dell’art. 2947 cod. civ., e ciò qualora si volesse diversamente considerare l’ordine di pagamento della somma di £ 500.000.000 alla stregua di pretesa risarcitoria iure privatorum avanzata dall’amministrazione in via di autotutela, come speciale forma esecutoria, per la riparazione del danno asseritamene arrecato all’edificio in questione durante l’esecuzione dei lavori diretti dal ricorrente. Poiché i fatti addebitati al ricorrente risalivano al periodo compreso tra il 10 giugno 1972, data di inizio dei lavori, e, al più tardi, il 28 aprile 1978, data dello loro sospensione, e tenuto anche conto della nota n. 8951 del 29 novembre 1978, con la quale la Soprintendenza di Bari contestava alla direzione dei lavori “un modo di operare gravemente dannoso per la tutela del complesso monumentale”, al 29 settembre 1993 (data di notifica del provvedimento impugnato) il credito ex delicto dell’amministrazione si era ampiamente estinto per prescrizione quinquennale ex art. 2947, primo comma, c.c.
4) Violazione dell’art. 59, quarto comma, della legge n. 1089 del 1939, nella parte in cui non ha avvisato il destinatario del provvedimento circa la possibilità di contestare (soltanto) il quantum della sanzione dinanzi al collegio di tre esperti previsto dalla richiamata disposizione;
5) Violazione dell’art. 7 della legge n. 689 del 1981, atteso che, volendo qualificare il provvedimento alla stregua di sanzione amministrativa, la stessa non sarebbe trasmissibile agli eredi di colui che avrebbe materialmente commesso la violazione;
6) Violazione dei principi generali in materia di irrogazione di sanzioni amministrative, dato che il provvedimento impugnato non è stato preceduto dalla tempestiva contestazione degli addebiti, così violando il principio del contraddittorio procedimentale, e comunque non è stata espletata una adeguata e puntuale istruttoria ai fini della quantificazione del preteso danno nella misura di £ 500.000.000;
7) Illogicità manifesta per impossibilità assoluta di esecuzione del provvedimento, atteso che l’Avv. ******* era cessato dall’incarico di Presidente della suddetta Accademia sin dal 27 marzo 1979, sicché, al momento della irrogazione della sanzione, egli si trovava nella assoluta impossibilità di eseguire i lavori di consolidamento richiesti, tenuto anche conto del carattere estremamente generico degli stessi;
8) Erronea presupposizione di fatto e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 59 della legge n. 1089 del 1939. Le demolizioni eseguite erano tutte pienamente conformi alle previsioni del progetto approvato. In ogni caso l’edificio in argomento non risulta ricompreso tra quelli sottoposti a vincolo di tutela.
10. L’amministrazione dei beni culturali si costituiva in giudizio confutando le avverse censure e concludendo per la reiezione del gravame, sostenendo, in particolare, la natura risarcitoria (e non amministrativa) della sanzione irrogata nonché la mancanza di una norma che sottoponga a decadenza (e giammai a prescrizione) l’esercizio di siffatto potere amministrativo.
11. Con ordinanza n. 192 del 1994 il T.A.R. Puglia accoglieva la domanda cautelare proposta dalla ricorrente.
12. A seguito del decesso della sig.ra ******* in data 5 aprile 1995, con atto del 23 aprile 2004 si costituivano volontariamente per la prosecuzione del giudizio gli eredi del ricorrente, e cioè ********, ******* ed *************, al fine di coltivare il gravame proposto dal loro dante causa.
13. Con sentenza n. 2681 del 25.9.2008 il T.A.R. Puglia, sezione di Lecce, accoglieva il ricorso, annullando gli atti impugnati, affermando l’avvenuta prescrizione della pretesa risarcitoria sia ai sensi dell’art. 28 della l. 689/1981 che, in subordine, ai sensi dell’art. 2947 c.c. nonché per difetto di istruttoria, carenza di motivazione ed illogicità.
14. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e ne ha chiesto la riforma, assumendone l’erroneità per aver essa erroneamente affermato l’applicazione, in subiecta materia, dell’art. 28 della l. 689/1981 o dell’art. 2947 c.c. e per aver essa ritenuto, altrettanto erroneamente, l’illegittimità dell’ordine di consolidamento delle parti restaurabili dell’edificio per difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione.
15. Si sono costituiti gli appellati, eredi del defunto Arch. *******, i quali hanno contestato le avversarie censure, chiedendo la reiezione del gravame.
16. Nell’udienza pubblica del 25.10.2013 il Collegio, uditi i difensori della parti, ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

1. L’appello deve essere respinto.
1.1. La questione principale del presente giudizio attiene alla natura della “sanzione” per equivalente prevista dell’art. 59, comma terzo, della l. 1089/1939, la quale prevede che “qualora la riduzione della cosa in pristino non sia possibile, il trasgressore è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa per effetto della trasgressione”, e al conseguente regime giuridico ad essa applicabile.
2. La sentenza impugnata ha ritenuto che la corresponsione di tale somma, imposta nel 1993 dall’Amministrazione all’erede del defunto (e presunto) trasgressore, come si è premesso nella parte motiva in fatto, ai sensi dell’art. 59, comma terzo, della l. 1089/1939, vigente ratione temporis, sia soggetta al termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’art. 28 della l. 689/1981, o comunque, anche laddove si neghi ad essa natura sanzionatoria, alla generale disciplina dell’art. 2947 c.c.
3. Secondo il T.A.R. salentino, se pure non si riconoscesse alla misura di cui all’art. 59 della l. 1089/1939 il carattere di sanzione, con conseguente esclusione della disciplina dettata dalla l. 689/1981, non si potrebbe negare che la natura sostanzialmente risarcitoria di essa non sottostia alla generale disciplina dell’art. 2947 c.c.
4. Ad avviso del primo giudice, infatti, l’orientamento interpretativo seguito da questo Consiglio, secondo cui il potere di irrogare la sanzione riparatoria per equivalente può essere esercitato in ogni tempo, senza essere soggetto a prescrizione o decadenza, deve intendersi, correttamente, nel senso che il potere di accertamento dell’illecito non sia soggetto ad alcun limite temporale, dovendo anzi l’Amministrazione poter sempre verificare la sussistenza dell’illecito, ma non può significare che, una volta accertato l’illecito, l’Amministrazione possa irrogare la sanzione pecuniaria a proprio piacimento, anche a distanza di molti anni dall’accertamento della trasgressione.
5. L’esigenza di stabilità nei rapporti pubblici impedirebbe, come si legge nella sentenza impugnata, che il potere di irrogare la misura riparatoria in oggetto sia procrastinabile sine die, sicché non si comprenderebbe e, quindi, non si giustificherebbe una deroga al principio generale dell’art. 2947 c.c.
6. L’applicazione di un meccanismo privatistico, consistente nella misura risarcitoria, anche se per il raggiungimento di un fine pubblicistico, dovrebbe imporre, anche in subiecta materia, il rispetto delle regole e dei principi civilistici operanti in materia di illecito aquiliano e, primo fra tutti, il termine della prescrizione quinquennale contemplato dall’art. 2947 c.c.
7. Regole pubblicistiche e regole privatistiche, così, si salderebbero e si integrerebbero per formare, nel complesso, il nucleo dei parametri e dei criteri ai quali, nel caso di specie, si deve ispirare l’azione amministrativa.
8. Tale ragionamento e tale conclusione sono invece contestati dal Ministero appellante che, nel ricordare l’orientamento costantemente seguito sul punto da questo Consiglio, deduce in senso contrario, anzitutto, che il potere di irrogare la sanzione è imprescrittibile, proprio alla luce dell’interpretazione offerta da tale orientamento, sicché sarebbe erroneo ogni riferimento all’istituto della prescrizione.
8.1. La sentenza appellata, inoltre, avrebbe trascurato che si versa in ipotesi di illecito permanente e che, quando pure si volesse ritenere prescrittibile il potere di irrogare la sanzione pecuniaria, la prescrizione non decorrerebbe in tutto il tempo per il quale l’illecito permane.
8.2. Infine, osserva ancora il Ministero appellante nella memoria di replica in vista della pubblica udienza del 25.10.2013, il giudice di prime cure non avrebbe nemmeno tenuto in conto il principio secondo il quale la prescrizione non può decorrere se non dal momento in cui il diritto o, in questo caso, il potere può esser fatto valere (art. 2935 c.c.), mentre nel caso di specie, allorché la Soprintendenza ordinò la sospensione dei lavori nel 1978, essa non era ancora in grado di stabilire se gli interventi effettuati sull’immobile potessero consentire un ripristino dello status quo ante o solo, invece, la corresponsione del tantundem, come prevede l’art. 59, comma terzo, della l. 1089/1939.
8.3. Tale chiarezza sulla natura degli interventi eseguiti e sull’entità delle misure ripristinatorie da adottarsi si ebbe o si raggiunse solo molto tempo dopo, allorché l’Accademia trasmise la documentazione richiesta e la Soprintendenza di Bari poté eseguire una compiuta istruttoria sulla causa e sulla tipologia degli illeciti e sulla natura e sulla consistenza dei rimedi all’uopo necessari.
9. I motivi di censura non sono condivisibili e devono essere disattesi.
10. Rileva anzitutto sul piano giuridico il Collegio che deve escludersi, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 28 della l. 689/1981, perché la misura dell’art. 59 della l. 1089/1939 ha natura risarcitoria e riparatoria, non già sanzionatoria, come costantemente afferma la giurisprudenza di questo Consiglio, e pertanto non può applicarsi ad essa la disciplina delle sanzioni amministrative.
10.1. In particolare la sentenza di questa Sezione n. 5904 del 20.10.2005 ha evidenziato il “carattere peculiare della sanzione amministrativa di cui all’art. 59 citato che, a differenza delle sanzioni previste dagli articoli 58, 60 e 69 della legge n. 1089 del 1939, che hanno carattere meramente afflittivo e punitivo, ha natura riparatoria e risarcitoria e, pertanto, non rientra nell’ambito della legge n. 689/1981”.
11. Ciò premesso, tuttavia, bene ha rilevato il primo giudice di prime cure che il potere di irrogare la misura ripristinatoria (per equivalente) in oggetto, da parte dell’Amministrazione, non può considerarsi imprescrittibile.
11.1. In via di principio e sul piano della teoria generale del diritto, come questa stessa Sezione ha già rilevato nella già richiamata sentenza n. 5904 del 20.10.2005, è corretto affermare che l’esercizio del potere non è soggetto a prescrizione, ma al più a decadenza, laddove questa sia espressamente prevista dalla legge (art. 2964 c.c.).
11.2. L’Amministrazione, del resto, deve sempre poter accertare che sia stato un illecito a danno del patrimonio artistico e verificarne le conseguenze pregiudizievoli per i beni giuridici che sono affidati alla sua tutela.
11.3. Ma questo potere di accertamento, permanente e inconsumabile, non consegue ex necesse un altrettanto permanente e inconsumabile potere di imporre il risarcimento al danneggiante.
11.4. Se la lesione inferta al patrimonio culturale e artistico della Nazione rientra nella nozione più generale di danno contemplata dall’art. 2043 c.c. (sussunto in una procedura amministrativa di applicazione ex auctoritate della sanzione risarcitoria, in funzione della natura pubblicistica “sensibile” dell’interesse leso), infatti, le misure risarcitorie che ne conseguono, anche se, appunto, adottate dall’Amministrazione nella precipua forma e con i penetranti strumenti dell’autotutela esecutiva, non possono non soggiacere anch’esse ai principi generali dettati dalla disciplina civilistica.
11.5. L’Amministrazione, una volta che abbia accertato l’impossibilità di ridurre in pristino stato il bene e, quindi, l’impraticabilità di una tutela in forma specifica, non può pretendere di far valere illimitatamente la pretesa di richiedere il ristoro della lesione per equivalente, anche a distanza di anni o decenni.
11.6. Concluso il procedimento di accertamento e verificata l’impossibilità di conseguire il ripristino, infatti, essa ha il potere-dovere di far valere la pretesa risarcitoria per equivalente nei confronti del danneggiante, la cui responsabilità si iscrive nella categoria della responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c.
11.7. Tale potere-dovere di far valere la pretesa risarcitoria, chiedendo al trasgressore di corrispondere allo Stato “una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa per effetto della trasgressione” (art. 59, comma 3, l. 1089/1939), è esercitabile nel termine di cinque anni decorrente dall’avvenuto accertamento dell’illecito e dalla constatazione dell’impossibilità di ridurre la cosa in pristino stato.
11.8. Ammettere che questa pretesa risarcitoria possa essere fatta valere sempre, senza limiti di tempo, significa riconoscere all’Amministrazione uno statuto di ius speciale, quanto al regime risarcitorio, che deroga alle regole civilistiche, anche quando manca una norma che consenta tale deroga e una ragione che tale deroga giustifichi.
12. In senso contrario non vale osservare che, essendo il potere sanzionatorio di cui all’art. 59, comma terzo, della l. 1089/1939 esercitato in surroga del potere ripristinatorio, sempre esercitabile, al pari di quest’ultimo può essere esercitato senza termine.
12.1. Non vi è dubbio che l’Amministrazione debba e possa sempre accertare, a tutela dei beni artistici, il danno, più o meno irreversibile, loro arrecato e imporre all’autore dell’illecito il ripristino dello status quo ante.
12.2. Ma, laddove questo non sia più possibile e ciò sia stato accertato all’esito di una compiuta e attenta istruttoria, all’Amministrazione non resta che far valere, nei confronti del danneggiante, una misura risarcitoria per equivalente; quest’ultima, una volta accertati i relativi presupposti, costituisce l’oggetto di un rapporto obbligatorio a carattere patrimoniale che è distinto dalla funzione pubblica di tutela che si manifesta nel momento presupposto dell’accertamento, il quale soltanto, per tale sua natura (e per il carattere materiale di permanenza dell’illecito), rimane imprescrittibile.
12.3. Questa pretesa, proprio per la natura dell’illecito perpetrato riconducibile allo schema dell’art. 2043 c.c., non sfugge al regime giuridico proprio di questo e, quindi, anche alla disciplina della prescrizione quinquennale.
13. Non vi è un tertium genus tra natura sanzionatoria o risarcitoria della misura in questione: se si nega che la misura per equivalente, contemplata dall’art. 59, comma terzo, della l. 1089/39, abbia natura sanzionatoria, escludendo l’applicazione della disciplina della l. 689/81, è giocoforza riconoscere che essa abbia natura risarcitoria e alle regole risarcitorie debba integralmente sottostare.
14. Ragionare in termini diversi, riconoscendo alla misura in oggetto un carattere sui generis che sfugge ad un preciso inquadramento giuridico e si colloca in una terra di nessuno tra il modello, da un lato, dell’illecito amministrativo, regolato dalla l. 689/81, e quello, dall’altro, dell’illecito civile, disciplinato dall’art. 2043 c.c., significa ammettere un istituto anticipite, sottoposto ad una disciplina ibrida, finendo paradossalmente per ammettere l’imprescrittibilità di tale risarcimento, con un regime giuridico ben più severo di quello applicabile se per ipotesi se ne ammettesse la natura sanzionatoria, dato che in questo caso esso si prescriverebbe nel termine dei cinque anni previsti dall’art. 28 della l. 689/81.
15. Ma tra la natura sanzionatoria pecuniaria “a regime di diritto pubblico” e quella risarcitoria della misura (peraltro comunque sanzionatoria sul piano dei principi del diritto civile, come complemento del precetto del neminem laedere) tertium non datur e, pertanto, una volta affermata la natura risarcitoria della pretesa in oggetto, deve ribadirsi la sua prescrittibilità nel termine dei cinque anni previsto dall’art. 2947 c.c.
15.1. Ciò risponde, dal lato attivo del rapporto giuridico, anche ad un principio di efficienza dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 97 Cost., impedendo che l’Amministrazione rimanga inerte per lungo tempo nel richiedere il ristoro per equivalente, nonché, dal lato passivo, ad un elementare principio del diritto di difesa (art. 24 Cost.), sul piano processuale, e del principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), evitando ingiustificate disparità di trattamento tra il danneggiante “comune” e quello dei beni artistici, che si vedrebbe esposto altrimenti, in giudizio o fuori dal giudizio, ad una perenne pretesa risarcitoria.
16. L’Amministrazione può certo, ai sensi del più volte citato art. 59, determinare ex se il danno, come prevede la disposizione, e imporne il pagamento all’autore dell’illecito, ma nel far ciò, oltre a rispettare i limiti interni previsti dalla normativa di settore, incontra anche i limiti esterni che la generale disciplina dell’illecito aquiliano pone.
17. Non vi è ragione, in conclusione, per disconoscere che la prescrizione quinquennale si applichi anche alla misura dell’art. 2947 c.c., posto che l’autotutela esecutiva riconosciuta all’Amministrazione riguarda certo l’an, il quomodo e, in certi limiti, il quantum delle misure adottabili, quantum contestabile nelle forme e nei modi dell’art. 59, comma quarto, della l. 1089/1939, ma non il quando, se essa invochi e adotti il rimedio risarcitorio nella sua fase esecutiva, equivalente ad una condanna.
18. L’exordium praescriptionis si colloca, ai sensi dell’art. 2935 c.c., nel giorno dal quale il diritto o, nel caso di specie, la pretesa risarcitoria può essere fatta valere che, per quanto qui rileva, coincide con quello nel quale l’Amministrazione ha concluso il procedimento, accertando l’impossibilità di ottenere il ripristino del bene.
19. Esso può nel caso di specie situarsi, al più tardi e a tutto concedere, nel 1988, come si evince dalla nota della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, ********* e Storici di Bari del 1.2.1988, n. 1791, mentre il provvedimento in questione è stato notificato ad oltre cinque anni di distanza, il 29.9.1993.
20. L’applicazione dell’art. 2947 c.c., attesa la natura risarcitoria della misura in questione, comporta che, essendo la richiesta risarcitoria pervenuta alla moglie del presunto trasgressore, Avv. *******, oltre il termine di cinque anni decorrente, a tutto concedere, dal 1988, la pretesa dell’Amministrazione si sia prescritta, sicché i provvedimenti impugnati, in quanto illegittimi perché adottati in violazione dell’art. 2947 c.c., correttamente sono stati annullati dal primo giudice.
21. La radicalità di tale motivo, che induce il Collegio a ritenere consumato il potere di imporre la misura risarcitoria per equivalente prevista dall’art. 59, comma terzo, della 1089/1939, esime il Collegio dall’esame degli ulteriori motivi di appello, da ritenersi assorbiti, in quanto irrilevanti ai fini del decidere, stante la radicale estinzione della pretesa risarcitoria per equivalente per il decorso del termine quinquennale di prescrizione.
22. Il Collegio osserva infine, quanto all’ordine di consolidamento, pure contestato in prime cure dai ricorrenti, che i provvedimenti impugnati sono viziati da eccesso di potere per illogicità e carenza di motivazione anche nella parte relativa all’ordine di consolidamento delle parti restaurabili, dato che essi, come ha rilevato il primo giudice accogliendo il VII motivo del ricorso in prime cure, non precisano esattamente né la natura delle opere da eseguire, a ciò non bastando lo stringato rinvio per relationem contenuto nei provvedimenti, né appaiono corredati da elaborato progettuale, mettendo i destinatari, eredi del defunto Arch. *******, nell’impossibilità di eseguirli.
23. L’appello, in conclusione, deve essere rigettato, meritando piena conferma la statuizione annullatoria del primo giudice.
24. Ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c. le spese del presente grado di giudizio, attesa la novità e la difficoltà della questione interpretativa sin qui esaminata, devono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2013

Redazione