Risarcimento per diffamazione: il danno lo può decidere solo il giudice della causa (Cass. n. 20593/2012)

Redazione 22/11/12
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Svolgimento del processo

L’avv. G.S. ha proposto domanda di risarcimento dei danni per diffamazione contro G.D.M. poiché questi – nel corso del processo penale promosso a suo carico davanti al Tribunale di Nola – aveva inviato alla Procura della Repubblica di Nola, al Presidente del Tribunale di Nola ed al Pretore di S. Anastasia, lettere con cui attribuiva al S. – che aveva sporto la denuncia nei suoi confronti – comportamenti maniacali ed in particolare manie di persecuzione, tendenze alla denuncia facile, ed altre espressioni ritenute offensive.
Il D.M. ha resistito alla domanda, proponendo domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Nola ha respinto sia la domanda attrice, ritenendo insussistente l’illecito, sia la domanda riconvenzionale.
Proposto appello dal S., a cui ha resistito il D.M., la Corte di appello di Napoli ha ritenuto sussistente l’illecito, ma lo ha considerato non punibile, ai sensi dell’art. 598 cod. pen., sul rilievo che le espressioni usate dal D.M., pur se oggettivamente offensive, erano attinenti alla propria difesa nel processo penale ed erano state indirizzate solo alle autorità interessate dal processo medesimo. Il S. propone due motivi di ricorso per cassazione.
Resiste il D.M. con controricorso, illustrato da memoria.

 

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 598 cod. pen. e 111 Cost., il ricorrente afferma che la norma in oggetto dispone la non punibilità delle espressioni offensive contenute negli scritti difensivi, ma non esclude l’illiceità del comportamento, né la colpevolezza dell’autore; tanto è vero che dispone che di tali espressioni si possa chiedere la cancellazione e che all’offeso possa essere attribuita una somma in risarcimento del danno non patrimoniale. Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 2697 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché vizi di motivazione, sul rilievo che il D.M. non ha mai eccepito, nel corso del processo, il suo diritto all’immunità e non ha mai chiesto l’applicazione dell’esimente, sicché la Corte di appello – provvedendo d’ufficio – è incorsa in violazione del principio dispositivo ed in ultra petizione.
2.- I due motivi – che debbono essere congiuntamente esaminati perché connessi non sono fondati, pur se deve essere modificata la motivazione della sentenza impugnata.
3.- Va premesso che non è stata proposta impugnazione avverso il capo della sentenza di appello che ha qualificato i fatti ed il comportamento del D.M. come attività difensiva, svolta mediante gli scritti presentato dalla parte o dal suo difensore nel processo penale.
La circostanza che la fattispecie rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 598, 1 comma, cod. pen. e sia in quanto tale coperta dall’esimente ivi prevista è perciò questione coperta da giudicato e non più discutibile.
4.- Se così è, la domanda del ricorrente di risarcimento dei danni avrebbe dovuto essere dichiarata fin dall’inizio improponibile, poiché la competenza a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale per le offese contenute negli scritti presentati nei procedimenti dinanzi alla autorità giudiziaria, scriminabili ai sensi dell’art. 598 cod. pen., spetta solo al giudice della causa nell’ambito della quale furono scritte le frasi offensive, il quale è l’unico idoneo a valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui a cui furono rivolte (Cass. Pen. Sez. 6, 30 settembre 2005 n. 39934; Cass. Pen. Sez. 5, 8 febbraio 2006 n. 6701; Idem, 9 maggio 2008 n. 36627).
Trattasi di principio consolidato, che trova testuale riscontro anche nella disposizione dell’art. 89, 2 comma, cod. proc. civ., secondo cui il potere di assegnare una somma in risarcimento dei danni non patrimoniali alla parte offesa da espressioni sconvenienti od offensive pronunciate nel corso della causa spetta al giudice investito della cognizione della causa medesima.
In questo senso deve essere corretta la motivazione della sentenza impugnata, che va confermata nel dispositivo.
5.- Entrambi i motivi debbono essere rigettati.
6.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo in relazione al valore della domanda risarcitoria, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Redazione