Risarcimento del danno patrimoniale comprensivo di IVA, per i lavori non eseguiti “a regola d’arte” (Cass. n. 8199/2013)

Redazione 04/04/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30/4/2007 la Corte d’Appello di Trento, rigettato quello in via principale proposto dal sig. P.F. – titolare dell’omonima impresa individuale -, in parziale accoglimento del gravame interposto in via incidentale dai sigg. **** ed altri e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Trento 7/3/2006 rideterminava in aumento l’ammontare della somma che il primo, nella qualità, era stato dal giudice di prime cure condannato a pagare a questi ultimi a titolo di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di infiltrazioni di acqua verificatesi nel loro appartamento; con rigetto altresì della domanda di manleva formulata nei confronti della società Assicurazioni Generali s.p.a..

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il P., nella qualità, propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi i sigg. F.E. ed altri nonchè la società Assicurazioni Generali s.p.a..

Motivi della decisione

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia “omessa e comunque insufficiente” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 4 motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

nonchè “omessa e comunque insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi sono inammissibili, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c., e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

Essi recano quesiti di diritto formulati in termini invero difformi dallo schema al riguardo delineato da questa Corte, non recando la riassuntiva ma puntuale indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione, a tale stregua appalesandosi astratti e generici, privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064), risolvendosi in buona sostanza in una richiesta a questa Corte di vaglio della fondatezza delle proprie tesi difensive.

Tanto più che nel caso risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’”accertamento tecnico preventivo d.d. 28/09/01″, alla “memoria d.d. 30/10/01″, all’”atto di citazione d.d. 04/03/02”, alla “comparsa di risposta d.d. 22/04/02”, alle “prove orali”, alla C.T.U., alla sentenza di primo grado, all’”atto di citazione d.d. 12/06/06″, alla “perizia d’ufficio”, alle “deposizioni testimoniali”, agli “interrogatori formali”, alle “perizie di parte”, alla relazione del “CTP arch. B., alle deposizioni dei “testi P.B. e B.E.”, all’”elaborato” dell’”ing. M.”, al “primo accesso, in occasione dell’accertamento tecnico preventivo”), di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).

A tale stregua il ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso- apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo essere questa Corte viceversa posta in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, il 3 e il 4 motivo non recano la prescritta “chiara indicazione” secondo lo schema e nei termini delineati da questa Corte – delle relative “ragioni”, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica della medesima, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), a fortiori non consentita in presenza di formulazione come detto nella specie altresì violativa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

Con il 5 motivo il ricorrente denunzia “violazione ed errata applicazione delle norme che regolano l’assoggettamento ad IVA delle indennità risarcitorie liquidate”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “assenza di ogni motivazione” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito l’abbia erroneamente condannato al versamento dell’IVA, “in assenza di una prova documentale (fattura)”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

E’ inammissibile quanto al denunziato vizio di motivazione, stante la mancanza del prescritto momento di sintesi ex art. 366-bis c.p.c..

E’ infondato quanto alla restante censura.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, poichè il risarcimento del danno patrimoniale si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare, il risarcimento comprende anche l’IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta allorquando il prestatore d’opera sia come nella specie tenuto D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 18 ad addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente (v. Cass., 27/1/2010, n. 1688; Cass., 14/10/1997, n. 10023. Cfr. anche, da ultimo, Cass., 12/3/2013, n. 6111).

Trattandosi di onere futuro e certo al tempo liquidazione del danno, il pagamento dell’Iva concorre invero a determinare il complessivo esborso necessario alla reintegrazione patrimoniale conseguente al fatto illecito subito (cfr. Cass., 2/4/2009, n. 8035).

Orbene, nel prevedere la corresponsione dell’I.V.A. sull’ammontare liquidato a titolo di risarcimento dei danni (al tasso previsto dalla legge vigente al riguardo), del suindicato principio la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuno dei controricorrenti, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Redazione