Risarcimento del danno da occupazione illegittima degli immobili (Cass. n. 4357/2013)

Redazione 21/02/13
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Svolgimento del processo

Con ricorso del 31 gennaio 1994 C.T.E. convenne in giudizio G.M. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al tardivo rilascio di un immobile.

A sostegno della sua domanda adduceva di aver ottenuto dal Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1280/1989, la cessazione del rapporto di locazione alla data del 31 maggio 1990 e la fissazione dell’esecuzione per il giorno 10 giugno 1990, relativamente al proprio appartamento sito in via (omissis).

Segnalava che detto appartamento era stato rilasciato nel novembre 1994 e avanzava pertanto richiesta risarcitoria di L. 98.000.000.

Si costituiva G.M. contestando il fondamento della domanda e chiedendone il rigetto.

Il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda risarcitoria nella misura di L. 33.000.000, oltre accessori.

Avverso tale pronuncia ha proposto appello G.M..

C.T.E. ha resistito al gravame e spiegato a sua volta appello incidentale.

La Corte distrettuale ha respinto l’appello incidentale con il quale veniva chiesta la condanna del C. a seguito dell’inadempimento degli obblighi previsti dagli artt. 1575 e 1576 c.c.; ha accolto l’appello principale negando che alla proprietaria dell’immobile locato fosse dovuto alcun risarcimento per il ritardo nel rilascio del medesimo immobile; in parziale riforma dell’impugnata sentenza, che ha confermato nel resto, ha rigettato la domanda proposta da C.T..

Quest’ultima propone ricorso per cassazione con tre motivi.

Parte intimata non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

Il primo motivo si articola in due censure:

a) con la prima si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “violazione, falsa applicazione di norme di diritto (art. 1591 cod. civ., in relazione, quantomeno, all’art. 2697 c.c., e all’art. 115 cod. proc. civ.)”;

b) con la seconda “omessa o contraddittoria motivazione in merito a un punto decisivo della controversia, ossia la dimostrazione del maggior danno da ritardata restituzione del bene locato”.

Il motivo non può trovare accoglimento sotto nessuno dei due descritti profili, alla luce delle considerazioni che seguono.

Con il profilo sub a) il ricorrente, in sintesi, si duole che il giudice d’appello abbia negato rilevanza, ai fini dell’accertamento del maggior danno, agli elementi presuntivi.

L’assunto è totalmente infondato, perchè prescinde dalla motivazione della sentenza la quale, puntualmente, afferma un principio opposto a quello invocato nel ricorso (e nel quesito).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di responsabilità del conduttore per il ritardato rilascio di immobile locato, il maggior danno di cui all’art. 1591 cod. civ. va provato in concreto dal locatore secondo le regole ordinarie, rientrando, quindi, tra i mezzi di prova consentiti anche quelli per presunzioni, sempre che queste ultime presentino i requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., comma 1, e permettano di ritenere dimostrato il fatto ignoto, con l’ulteriore specificazione che le presunzioni sono da considerare gravi, precise e concordanti, sia quando il fatto da provare segue a quelli noti in modo necessario secondo logica, sia quando ne derivi nella normalità dei casi, cioè secondo quanto in genere suole accadere (Cass., 23 gennaio 2006, n. 1224).

In applicazione di detto principio la prova del suddetto maggior danno non emerge quindi automaticamente dal raffronto fra il potenziale canone ricavabile e quello corrisposto dall’inquilino, ma richiede la specifica dimostrazione di un’effettiva lesione del patrimonio del locatore, non desumibile neppure dalla comunicazione di tre contratti di locazione relativi ad appartamenti dalle caratteristiche compatibili con quelle che presentava l’immobile locato al G..

Nè il ricorrente ha dato prova di una specifica e seria proposta di nuova locazione valutabile dal giudice come prova idonea dell’effettiva lesione del patrimonio del locatore.

La Corte d’Appello nell’impugnata sentenza ha quindi correttamente ritenuto che mancavano gli elementi presuntivi per il risarcimento del maggior danno.

Il profilo sub B), prospettato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile in quanto privo della chiara indicazione del fatto controverso.

Infatti, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (ed entro il 4 luglio 2009) ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero l’indicazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Il motivo è comunque infondato in quanto la sentenza è correttamente motivata ed immune da vizi logici o giuridici.

Con il secondo motivo si denuncia “Violazione, falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 431 del 1998, art. 6 in relazione alla L. n. 61 del 1989, art. 1 bis)”.

Il motivo deve essere accolto.

In tema di locazione di immobili urbani la norma contenuta nella L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 6, che ha introdotto una determinazione prestabilita e forfettaria del risarcimento del danno da occupazione illegittima degli immobili nella misura massima del 20% del canone di locazione, con esclusione di ogni altro risarcimento previsto dall’art. 1591 cod. civ. (salvo che nel periodo successivo alla scadenza del termine di sospensione dell’esecuzione stabilito ope legis o di quello giudizialmente fissato per il rilascio dell’immobile, in base alla sentenza n. 482 del 2000 della Corte costituzionale) è una norma eccezionale, di efficacia temporanea e destinata ad agevolare la transazione verso il nuovo regime pattizio delle locazioni e, come tale, avente efficacia retroattiva ed immediatamente applicabile ai giudizi in corso (Cass., 28 maggio 2003, n. 8502).

La presente causa è iniziata il 31 gennaio 1994 e quindi la L. n. 431 del 1998, intervenuta nel corso di essa, è alla stessa applicabile.

Per tali ragioni la Corte d’Appello non poteva negare il risarcimento del danno da occupazione illegittima dell’immobile, nella misura massima del 20% del canone di locazione, con esclusione di ogni altro risarcimento previsto dall’art. 1591 c.c..

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “Omessa o contraddittoria motivazione in merito a un punto decisivo della controversia, ossia il diritto, da parte del proprietario di un immobile locato in regime di c.d. equo canone, a vedersi riconosciuta la maggiorazione del 20% sul canone corrisposto”.

L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo.

In conclusione, deve essere rigettato il primo motivo, accolto il secondo con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rimessione della causa per nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione perchè quantifichi – facendo applicazione del precetto di cui alla L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 6, comma 6, – il credito della C.T.. Si dichiara assorbito il terzo motivo. La Corte d’appello di Venezia provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo.

Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Redazione