Risarcimento del danno, comportamento del danneggiato, aggravamento del danno, eccezione in senso stretto (Cass. n. 25607/2013)

Redazione 14/11/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Verona A. B., premesso che era stato assunto, quale operaio edile, il 7 gennaio 2004 dalla D. s.r.l. con contratto a tempo determinato, poi trasformato a tempo indeterminato, quale operaio edile e di essere stato licenziato per giustificato motivo oggettivo con telegramma ricevuto in data 8 aprile 2005, confermato da successiva lettera, deduceva la nullità del licenziamento in quanto intimato in periodo di malattia e comunque l’illegittimità dello stesso e chiedeva la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro, con le conseguenti statuizioni ex art. 18 St. lav.
Il Tribunale adito, in accoglimento del ricorso, dichiarava illegittimo il licenziamento e ordinava la reintega del ricorrente nel posto di lavoro, condannando la società al risarcimento del danno pari alle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra.
Su impugnazione della società, la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza depositata il 27 agosto 2010, per quanto ancora rileva in questa sede, confermava le predette statuizioni, ad eccezione di quella relativa alle retribuzioni, che escludeva per il periodo successivo al 29 settembre 2005, data in cui il datore di lavoro aveva proposto al lavoratore l’assunzione presso un cantiere edile di Messina, proposta che non aveva avuto alcun riscontro.
Determiriava poi la Corte anzidetta l’importo della retribuzione mensile cui aveva diritto il lavoratore in € 2.068,03.
Per la riforma di questa sentenza la società D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il lavoratore, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a due motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. Con il primo motivo del ricorso principale, la società D., denunziando violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deduce che la sentenza impugnata è errata laddove ha ritenuto che il datore di lavoro fosse venuto meno all’obbligo di repechage, non assegnando al lavoratore un’altra sede di lavoro.
Come era infatti emerso dalla prova testimoniale la società aveva proposto al A. B. di lavorare presso un altro cantiere – in Sicilia secondo un teste, a Pordenone secondo un altro teste – ma tale proposta era stata rifiutata.
3. Il motivo non è fondato.
La Corte territoriale, con valutazioni di merito non sindacabili in questa sede, ha attribuito rilevanza, più che alla prova testimoniale, al contenuto della lettera trasmessa il 7 aprile 2005 dalla società D. al lavoratore, con la quale gli venne comunicato che il medesimo sarebbe stato tenuto “in considerazione per eventuali futuri lavori”, escludendo che tale lettera costituisse una proposta di una nuova sede di lavoro, proposta che viceversa venne formulata a distanza di cinque mesi, con lettera del 29 settembre 2005, “verosimilmente dopo l’intervento del legale del lavoratore”, ma con l’indicazione di una sede di lavoro non attiva (” …. in un cantiere che stiamo per aprire a Messina”) e, quindi, inidonea all’impiego del dipendente.
Sul punto la sentenza impugnata merita pertanto conferma.
4. Con il secondo motivo la ricorrente principale, nel denunziare la violazione dell’art. 2697 cod. civ. nonché vizio di
motivazione, rileva che, pur essendo a carico del datore di lavoro l’onere della prova circa l’impossibilità di impiego del dipendente nell’ambito dell’organizzazione aziendale, il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e allegazione della possibilità di repechage. A tale onere il A. B. è venuto meno.
5. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata non indica, tra i motivi d’impugnazione dedotti dall’allora appellante, la questione che la società ricorrente propone con la censura in esame e, conseguentemente, non affronta tale argomento.
La ricorrente, d’altra parte, non deduce di avere proposto, in sede di appello, questa questione né tanto meno prospetta i termini in cui essa è stata sollevata. Da qui l’inammissibilità del motivo.
6. Con il primo motivo del ricorso incidentale è denunziata violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 324 e 2909 cod. civ.
Si deduce che, a norma dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ. (“Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”), la sentenza impugnata ha escluso il risarcimento del danno per le retribuzioni successive alla lettera della società D. del 29 settembre 2005, sul rilievo che l’azienda ha offerto la possibilità di assumere il lavoratore in un cantiere asseritamente in procinto di essere aperto a Messina, proposta questa non accolta dal lavoratore.
Si aggiunge che al riguardo la società non aveva sollevato alcuna eccezione in primo grado, né, tanto meno, nel giudizio di appello, onde la Corte territoriale, trattandosi di una eccezione in senso stretto, non avrebbe potuto rilevare d’ufficio la questione.
Non solo dunque la sentenza impugnata era incorsa nel vizio di ultrapetizione, ma aveva deciso su una questione sulla quale si era formato il giudicato, per non essere stata sul punto la sentenza di primo grado oggetto di gravame.
7. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 cod. civ. nonché omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si afferma che la sentenza impugnata è errata anche nel merito, per non avere considerato che la proposta di nuova assunzione aveva carattere transattivo ed operava ex nunc, comportando la perdita delle mensilità e dei contributi pregressi.
Inoltre era stata offerta al lavoratore una sede di lavoro ad oltre mille chilometri di distanza, proposta questa non ragionevole e troppo onerosa per il lavoratore che escludeva la mancanza di ordinaria diligenza da parte del medesimo.
8. Il primo di detti motivi è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che in tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dellevento dannoso (di cui al primo
comma dell’art. 1227 cod. civ.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché, mentre nel primo caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso, la seconda di tali situazioni forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. 25 maggio 2010 n. 12714; Cass. 2 marzo 2012 n. 3240 e, in precedenza, Cass. 2 aprile 2001 n. 4799; Cass. 29 luglio 2003 n. 11672).
Nella specie la sentenza impugnata, d’ufficio, in applicazione dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ., senza che al riguardo fosse stata sollevata alcuna eccezione, ha ritenuto che l’offerta della società, peraltro in un cantiere inattivo (” …… che stiamo per aprire a Messina”), fosse idonea ad “arrestare il danno”, non considerando che la relativa questione, in quanto eccezione in senso stretto, avrebbe dovuto essere proposta dalla parte.
La sentenza impugnata, in accoglimento del motivo in esame, assorbito il secondo, deve pertanto sul punto essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale nell’attenersi al principio sopra indicato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Trieste.
Così deciso in Roma in data 12 giugno 2013.

Redazione