Risarcimento danni: è subordinato al provato esito favorevole del procedimento (Cons. Stato n. 3533/2013)

Redazione 01/07/13
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FATTO e DIRITTO

Si deve premettere, per una complessiva comprensione della presente vicenda che:
— l’appellante I., in esito ad una procedura comparativa, il 9 novembre 1999, aveva ottenuto il rilascio di una concessione per l’esercizio dell’attività di raccolta ed accettazione delle scommesse ippiche, in Taranto, alla via Lucania n. 90;
— in esito dell’accoglimento dell’istanza dell’agenzia ippica ***************** & ********* di sospensiva dell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 2022 del 10 dicembre 1999, il Ministero delle finanze gli richiese la possibilità d’individuare un’altra sede;
— l’appellante, che prima aveva chiesto invano l’autorizzazione al differimento cautelativa dell’apertura dell’agenzia, fu autorizzato a trasferirsi nella sede presso i locali siti alla via Unicef n. 12 in Taranto;
— con successiva decisione n. 4547 del 18 marzo 2003, la Sez. VI del Consiglio di Stato annullò definitivamente gli atti impugnati;
— la ******à controinteressata, a seguito di detto giudicato, intimò l’AAMS, nel frattempo succeduta al Ministero delle finanze nella gestione del gioco, affinché assicurasse il rispetto della sua zona di raccolta delle scommesse ippiche, dato anche che la nuova sede dell’agenzia concessa al sig. I., di via Unicef n. 12, rientrava nel perimetro di sua spettanza.
Con il presente gravame l’I. impugna la sentenza del TAR con cui è stato respinto il suo ricorso diretto al riconoscimento del risarcimento dei danni che l’interessato avrebbe subito a causa dell’omessa previsione, nel bando di concorso, dei diritti di esclusiva a favore di terzi nella città di Taranto.
In particolare richiede il ristoro rispettivamente:
— per il lucro cessante, connesso al mancato esercizio dei restanti anni di durata della concessione commisurati alla media degli utili per un totale di € 141.139,00 conseguiti nel periodo di esercizio 2001-2004;
— per danno emergente, pari a € 60.000,00 per l’acquisto e la rimozione delle attrezzature;
per un totale complessivo di € 1.100.000,00, oltre a rivalutazione ed interessi sino al soddisfo.
L’interessato assume in sostanza che l’AAMS avrebbe ignorato le sue deduzioni circa l’impossibilità di un trasferimento immediato della sua agenzia per continuare a svolgere l’attività a suo tempo concessa.
La decisione impugnata, in sintesi, è affidata alle considerazioni per cui:
— il ricorrente era stato parte necessaria nel giudizio di cognizione proposto dalla ***************** & ********* – il cui contenzioso si era appuntato sulla zona di raccolta – ed in quella sede il sig. I. non gravò mai, con ricorso incidentale, la pretesa erronea formulazione del bando sul punto dianzi indicato, così prestandovi concreta acquiescenza;
— egli avrebbe invece dovuto far constare in quel giudizio l’omessa considerazione nel bando dei diritti dei pregressi concessionari UNIRE;
— tale omissione integrava una sostanziale acquiescenza a quel provvedimento e dimostrava la sua chiara volontà d’accettarne gli effetti e l’operatività;
— che, in base al principio dell’autonomia dal giudizio impugnatorio, la proposizione di un’azione risarcitoria non può aggirare l’ostacolo della decadenza dall’obbligo di impugnare, che costituisce un’effettiva acquiescenza idonea, come tale, ad estinguere ogni posizione soggettiva rispetto al provvedimento reputato lesivo;
— l’assunto, per cui il danno sarebbe derivato dall’omessa indicazione, da parte della P.A. concedente, dell’area messa a concessione che sarebbe coincisa con la zona riservata con la precedente concessione rilasciata alla ***************** & *********, era smentito “per tabulas” dalla nota ministeriale prot. n. 10855 del 2 febbraio 2000, che lo stesso ricorrente aveva versato agli atti in primo grado, dove la zona de qua è esattamente indicata e che non era stata contestata tempestivamente dal sig. I..
L’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio per l’Agenzia dei Monopoli e, con memoria per la discussione, ha prospettato l’inammissibilità, e comunque l’infondatezza del gravame, per la mancata tempestiva impugnazione della nota del 2.2.2000, con cui il ricorrente era stato informato del fatto che la sede della ricevitoria dell’appellante di via UNICEF coincideva con l’area riservata alla controinteressata.
Entrambe le parti hanno versato in giudizio delle memorie tardive che sono state parimenti stralciate dal fascicolo.
Chiamata all’udienza pubblica di discussione la causa, uditi i patrocinatori delle parti, è stata ritenuta in decisione dal Collegio.
L’appello è infondato.
__ 1.§. Per ragioni di economia espositiva devono essere esaminate unitariamente entrambe le rubriche di gravame in quanto attengono ad un nucleo sostanzialmente unitario di censura.
__ 1.§.1. Con il primo motivo l’appellante chiede l’annullamento della decisione del TAR che avrebbe erroneamente affermato la sussistenza di un’effettiva acquiescenza alla planimetria della zona ed alla formulazione asseritamente erronea del bando. Al contrario l’appellante deduce che:
a) non avrebbe avuto alcun interesse all’annullamento del bando di assegnazione, in quanto era risultato vincitore ed assegnatario della concessione
b) la pronuncia non avrebbe accertato, come prescrive la giurisprudenza in materia di efficacia delle rinunce tacite ad un diritto, la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, derivanti da fatti certi e non da altre presunzioni, per cui sia evidente che il fatto ignoto cui si risale, rappresenti l’unica conseguenza logicamente possibile del fatto noto. L’appellante non avrebbe manifestato alcuna volontà abdicativa, per cui erroneamente il giudice avrebbe sostituto un fatto ignoto ad un comportamento (l’omessa proposizione di gravame incidentale).
La giurisprudenza amministrativa del C.G.A. avrebbe affermato che il risarcimento non sarebbe per nulla condizionato dalla tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo.
_____ 1.§. 2. Con il secondo motivo si lamenta che il giudice avrebbe omesso di considerare che la rinuncia, per non essere nulla, deve riguardare un diritto già esistente nel patrimonio del rinunciante. La rinunzia sarebbe l’espressione tipica dell’autonomia negoziale privata; e, in caso di eventuali risarcimento dei danni, può ritenersi valida alla condizione che risulti accertata, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche cause e circostanze, l’abdicazione rispetto alla lesione di diritti determinati ed obiettivamente determinati. Per la Corte di Cassazione, il diritto al risarcimento del danno non può rientrare nell’oggetto di transazioni quando il diritto è accertato successivamente.
__ 1.§.3. Tutti i profili devono essere respinti.
L’art. 30 c.p.a. II co. del Codice del processo amministrativo riconduce la risarcibilità degli interessi legittimi come riconducibile all’alveo generale proprio dell’art. 2043 c.c., ponendo quindi a fondamento della responsabilità della P.A.:
— il mancato o l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa: per cui è sempre necessario l’accertamento della natura antigiuridica della condotta dell’Amministrazione;
— un «danno ingiusto», e quindi l’accertamento di giudiziale di una lesione economicamente valutabile, che abbia un carattere manifestamente iniquo, in quanto direttamente conseguente all’illegittimità dell’attività provvedimentale;
— un diretto ed immediato nesso di causalità tra la colpa efficiente dell’Amministrazione ed il nocumento patrimoniale.
Dunque si ha danno risarcibile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., soltanto in presenza di un evento ingiusto, consistente nella lesione di un interesse legittimo giuridicamente meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, all’illegittimità del provvedimento impugnato (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 2 aprile 2012 n. 1957).
Certamente nel nuovo quadro del c.p.a. la tempestiva proposizione dell’azione di annullamento non può costituisce un fattore preclusivo dell’ammissibilità della domanda risarcitoria, ma tale circostanza comunque continua a rilevare sul piano della sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento illecito o illegittimo dell’Amministrazione e la produzione del danno.
Il codice del processo ha infatti cristallizzato, all’art. 30, III co. secondo periodo, il principio, di cui all’art. 1227 II co. c.c., per cui in ogni caso resta escluso «il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti».
Nella valutazione dell’attribuibilità del nocumento, ha un rilievo comunque determinante il comportamento del danneggiato che abbia omesso di esperire puntualmente i rimedi che l’ordinamento gli ha messo a disposizione per contrastare gli atti o i comportamenti eventualmente lesivi.
Ora nel caso il mancato esperimento del ricorso incidentale avverso il bando di assegnazione delle concessioni da parte del ricorrente ha implicato la decadenza, alla luce della norma processuale amministrativa su ricordata, da tutte le pretese connesse al procedimento, comprese quelle risarcitorie.
In una specie come quella in esame deve, in sostanza, essere negata sia la sussistenza sia di un danno risarcibile, sia di un diretto nesso di causalità tra nocumento lamentato ed attività amministrativa (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV 24 maggio 2011 n. 3110; Consiglio di Stato Sez. IV 26 marzo 2012 n. 1750).
Nel quadro della valutazione del comportamento complessivo della parte appellante, inoltre, l’omessa tempestiva attivazione degli strumenti di tutela – e ciò a maggior ragione una volta avuta la comunicazione del 2.2.2000 che la sua sede coincideva con quelle di altra concessione – non dà luogo solo una preclusione di rito, ma concerne anche un dato valutabile come fatto oggettivo in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.
Pertanto, se del tutto esattamente il TAR ha concluso — sul piano processuale — rilevando l’oggettiva acquiescenza del ricorrente, nondimeno la mancata tempestiva impugnazione incidentale del bando e della nota del 2.2.000 (con cui gli era stato comunicato che pure la sede della ricevitoria di via UNICEF era ubicata nell’area riservata alla ********), rileva anche sul piano sostanziale (arg. ex Consiglio di Stato, Sez. IV 24 maggio 2011 n. 3110 già citata).
Vanamente l’appellante assume oggi che non avrebbe avuto interesse a contestare tempestivamente l’omessa considerazione del bando sui diritti dei pregressi concessionari dell’ex-UNIRE, perché al contrario egli avrebbe dovuto comunque gravare l’erroneità del bando, sia pure nei limiti del suo interesse.
Il risarcimento del danno non consegue, infatti, alla lesione di qualunque “interesse di fatto” o “di un interesse illegittimo”, e, in ogni caso, non è una conseguenza automatica e costante di un qualunque annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo.
Il ristoro, essendo conseguenza giuridicamente necessaria della lesione di un “interesse legittimo” o di un diritto, resta sempre e comunque subordinato alla dimostrazione che il procedimento, nel singolo caso, avrebbe dovuto avere un esito favorevole al richiedente.
Ma qui è evidente, al contrario, che ci si trova di fronte al singolare tentativo dell’appellante di recuperare, sul piano risarcitorio, gli effetti di un contenzioso che l’aveva visto soccombente.
Qualora il giudice – come qui — abbia escluso la spettanza definitiva del bene al soggetto che introduce la pretesa risarcitoria, deve escludersi che la parte soccombente nel predetto giudizio possa essere ristorata di danni – che in via di mero fatto – si sono verificati in conseguenza del venir meno degli indebiti effetti a lui favorevoli verificatisi medio tempore in virtù dell’illegittima determinazione adottata dalla P.A. in violazione delle regole di diligenza, imparzialità, correttezza e buona amministrazione.
In tale ipotesi manca dunque un “danno ristorabile” in senso tecnico, dato che il nocumento giuridicamente risarcibile – conseguente all’illegittimità del bando poi annullato – poteva semmai essere configurato in favore della ******** controinteressata vittoriosa, e non certo nei riguardi dell’appellante, il quale aveva invece indebitamente potuto lucrare sul rilascio di una concessione illegittima, che gli aveva consentito di conseguire utili netti per una media annua dallo stesso dichiarata di € 70.000,00.
In sostanza, se il bando fosse stato ab origine corretto, l’I. forse non avrebbe mai conseguito, neanche per un giorno, la ricevitoria, né in via Lucania, né in via Unicef.
Al riguardo, del tutto singolarmente, l’appellante, vuoi nell’appello, vuoi nella memoria, non si è premurato di chiarire in punto di fatto se, quando e perché abbia interrotto o cessato definitivamente l’attività di ricevitoria, ovvero se l’abbia eventualmente proseguita in altro esercizio. Il che appare comunque rilevante ai fini delle presenti conclusioni.
L’illegittimità della concessione ottenuta infatti non gli ha procurato alcun danno, ma anzi — finché è durata — gli ha consentito un consistente guadagno, poi venuto meno solo in conseguenza della decisione di questo Giudice.
Dunque, deve escludersi la configurabilità, in favore della parte soccombente nel precedente giudizio, di un danno giuridicamente risarcibile conseguente al ristabilimento della legittimità delle concessioni, ristabilimento dovuto alla sentenza del giudice dichiarativa dell’illegittimità del provvedimento.
Per conseguenza, deve anche respingersi il secondo profilo del primo motivo, in quanto la presa d’atto della mancata introduzione del ricorso incidentale nel precedente giudizio non solo costituisce un fatto comunque incidente sul piano processuale, ma è un elemento rilevante sul piano del merito stesso della pretesa.
In ragione della specificità della relativa disciplina, le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione delle concessioni per le ricevitorie delle scommesse ippiche appaiono del tutto estranee ad ogni paradigma di tipo para-negoziale: per cui deve escludersi che, in tali ipotesi, si possa comunque genericamente configurare una “responsabilità precontrattuale” o “extra-contrattuale” o addirittura una responsabilità oggettiva “sui generis” (che l’ordinamento riconosce solo in tassative specifici casi: es. artt. 2049-2054 c.c.).
Dato che, come visto la richiesta risarcitoria di € 1.100.000,00 deve essere disattesa, risultano in ogni caso del tutto inconferenti ed irrilevanti nel presente ambito processuale, i richiami (pure astrattamente condivisibili se riferiti a diverse fattispecie) ai presupposti per la valutazione dell’acquiescenza e della rinuncia giudiziale di cui al secondo motivo.
In conclusione l’appello deve essere respinto, con la conseguente conferma della sentenza appellata, sia pure con le ulteriori integrazioni della motivazione di cui sopra.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
___ 1. respinge, con le integrazioni della motivazione di cui in sopra, l’appello come in epigrafe proposto.
___ 2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che sono liquidate in € 5.000,00 oltre all’IVA ed alla CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2013

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