Risarcimento da ritardo procedimentale (TAR Basilicata, Potenza, n. 469/2012)

Redazione 23/10/12
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FATTO

Il ricorrente dichiara di essere affittuario del suolo nonché soggetto a suo tempo designato quale futuro gestore dell’impianto di carburanti che avrebbe dovuto insediarsi alla via Foggia e da eseguirsi in parte su suolo demaniale e in parte su suolo di proprietà dell’azienda sanitaria locale n. 1, comportante una variante al p.r.g. Tale impianto avrebbe determinato il contestuale trasferimento di un altro sito già esistente nel territorio comunale di Melfi (via Tartaglia). A sostegno di tale progetto vi sarebbe stato un accordo commerciale tra la società A.P.I. e l’odierno ricorrente. A seguito dell’istanza, il 28/1/08, la commissione consiliare, riunitasi presso la sala giunta del comune, esprimeva all’unanimità parere favorevole a tale insediamento e rinviava all’ufficio tecnico del comune la valutazione di eventuali problematiche legate a tale installazione. Il 30/4/98 la citata commissione, riunitasi nuovamente, dopo aver preso atto dei rilievi formulati dall’u.t.c. richiedeva al ricorrente le autorizzazioni necessarie. Questi trasmetteva tutta la documentazione e in particolare l’atto di concessione demaniale, il contratto di locazione sottoscritto con l’azienda sanitaria locale n. 1, proprietaria di parte dei terreni interessati all’insediamento, il parere favorevole del dipartimento regionale assetto del territorio e l’autorizzazione dell’azienda sanitaria locale n.1 alla trasformazione del terreno di proprietà USL ceduto in locazione. In data 1/2/09, stante l’inerzia del comune, il ricorrente chiedeva chiarimenti senza ricevere riscontro. Quasi tre anni dopo l’avvio del procedimento l’u.t.c. inviava al Presidente della Commissione Consiliare un nuovo parere favorevole a tale insediamento. Però, nonostante l’insussistenza di qualsiasi impedimento, il comune avrebbe continuato a procrastinare i tempi del procedimento. Nel 2003 il comune indiceva una conferenza di servizi che si concludeva all’unanimità, il 22/7/03, con autorizzazione al comune di Melfi ad adottare la variante al p.r.g. necessaria per installare il nuovo distributore di carburante. Il 2/9/03 anche l’ufficio della Protezione Civile dava parere favorevole e il ricorrente inviava pure l’autorizzazione regionale per le nuove realizzazioni idrauliche. L’A.P.I. inoltrava un nuovo sollecito il 30/9/04. Incredibilmente però, in data 26/9/06, a quasi nove anni di distanza dall’inizio del procedimento (10/12/97) il comune inviava all’API preavviso di rigetto spiegando che mancava la titolarità dell’area e del parere dell’Autorità di Bacino Puglia e stante il contrasto con le norme vigenti in materia di rete distributiva carburanti. Non avendo inviato tale preavviso al ricorrente questi assume di non aver potuto partecipare al procedimento. Il 17/3/09 veniva comunque sollecitata la definizione del procedimento confutando le argomentazioni del Comune, ma senza esito.

Col presente gravame, notificato l’8/6/09 e depositato il 2/7/09, si deduce quanto segue:

1.-mancata comunicazione di avvio del procedimento, dell’unità organizzativa responsabile e del responsabile dello stesso: violazione e falsa applicazione di legge (l. n. 241/90, artt. 4, 5 e 7).

Sarebbe stata omessa la comunicazione in epigrafe sia nei riguardi del ricorrente e sia dell’a.p.i.;

2.- mancata conclusione del procedimento amministrativo -violazione e falsa applicazione di legge (art. 2 l. n. 241/90).

La condotta del comune sarebbe contraddittoria, illogica e manifestamente ingiusta dato che l’amministrazione non solo non avrebbe concluso, colpevolmente, il procedimento amministrativo nei termini di legge ma, a distanza di quasi 10 anni dal suo inizio, ha comunicato l’impossibilità di procedere all’adozione della variante al p.r.g. a causa dell’incomprensibile carenza della titolarità dell’area e della mancanza del parere dell’Autorità di Bacino Puglia divenuto obbligatorio, però, soltanto dopo il 30/12/05, pertanto assolutamente irrilevante per un procedimento che avrebbe dovuto essere già da lungo tempo concluso. Si richiama poi la giurisprudenza che supera la pregiudiziale amministrativa e quella che si occupa del danno conseguenza di un “non provvedimento”. Ora, il ricorrente, premesso che egli e l’a.p.i. hanno presentato regolarmente nel corso degli anni numerose richieste di sollecito a concludere il procedimento, ritiene che sarebbe indubbio che, nella fattispecie, gli sarebbe stato negato un bene della vita che aveva diritto di ottenere (la variante al p.r.g. per l’attività di distribuzione carburanti) non foss’altro per tutte le autorizzazioni e pareri favorevoli acquisiti negli anni tanto da non esservi più spazio per una valutazione discrezionale comunale. Anche a voler ritenere insussistente la probabilità di conseguimento del bene della vita la perdita di chance, non potrebbe negarsi una responsabilità del comune per violazione degli obblighi imposti a presidio dell’affidamento del privato. Vi sarebbe cioè il danno da mero ritardo per violazione degli obblighi di correttezza procedimentale a carattere extracontrattuale. Quanto al danno emergente si calcola per locazione e concessione d’uso dei terreni una spesa pari a euro 16.571,00 più euro 20.000 per spese tecniche di progettazione degli impianti. Il lucro cessante (pari a euro 71.445,00 per ogni anno di mancato esercizio) tocca il mancato utile nel caso l’attività fosse stata operativa. Il dies a quo del risarcimento sarebbe l’1/5/00, cioè un anno e mezzo dopo la presentazione dell’istanza di variante.

Il comune intimato non si è costituito. Con ordinanza collegiale n. 189/12 è stata disposta istruttoria cui il comune di Melfi non ha dato riscontro.

Alla pubblica udienza del 20 settembre 2012 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

DIRITTO

Il Tribunale ritiene di non dover rinnovare l’ordine istruttorio a suo tempo rivolto al Comune (e, allo stato, rimasto ineseguito) in quanto, sulla base di una più approfondita disamina della vicenda esposta e comunque a prescindere dai dubbi inerenti la legittimazione ad agire del ricorrente in quanto soggetto non coincidente con la società che a suo tempo presentò l’istanza di insediamento del nuovo impianto di carburante, il ricorso appare infondato.

In primo luogo vanno dichiarati inammissibili le censure mosse col primo motivo e col terzo motivo atteso chè con le medesime si muovono tipici rilevi di illegittimità a carico dell’attività amministrativa senza però impugnare alcun atto o provvedimento amministrativo.

La domanda risarcitoria principale, basata sull’assunto secondo cui l’istante avrebbe avuto diritto al bene della vita (e cioè al provvedimento cui aspirava), non ha pregio sia per la sua genericità e sia perché incentrata su una impostazione non condivisibile della questione.

Infatti il ricorrente, pur mettendo a più riprese in evidenza presunte prolungate inerzie ascrivibili alla condotta del comune non dà dimostrazione della spettanza del bene della vita al cui riconoscimento aspira sia pur nelle forme del risarcimento per equivalente. Infatti, ai fini del riconoscimento della citata spettanza, non è sufficiente far riferimento alla mera esistenza di “autorizzazioni e pareri favorevoli ottenuti nel corso degli anni dalle più svariate amministrazioni e dai più disparati uffici competenti, tanto da non esservi più spazio per una valutazione discrezionale da parte del comune di Melfi” ma occorre evidenziare la concreta fattispecie procedimentale venuta a maturazione fino allo stadio di “diritto” al provvedimento favorevole. Inoltre, individua detto bene non già nell’accoglimento della istanza (presentata dall’API) di autorizzazione a trasferire l’impianto di distribuzione carburanti e lubrificanti di via Tartaglia in Melfi nella nuova ubicazione di via Foggia, sempre in Melfi (con concentrazione dell’impianto API sito in Muro Lucano) bensì nella variante al p.r.g. necessaria per l’accoglimento della citata istanza (e che costituisce un distinto procedimento ancorchè collegato a quello principale) atteso chè l’area prescelta ricadeva, nello strumento urbanistico vigente, in zona tipizzata come “verde urbano”.

Ciò chiarito, occorre anzitutto precisare che l’iniziale istanza del 4/12/97 dell’a.p.i. rivolta ad ottenere l’autorizzazione all’installazione dell’impianto nel sito di via Foggia veniva successivamente (istanza prot. n. 0087 del 4/1/99) in qualche modo sostituita con altra ad analogo oggetto ma questa volta recante richiesta di autorizzazione in deroga al p.r.g. che, sull’area de qua, aveva stabilito una destinazione a verde pubblico. Occorre ricordare che da subito (gennaio 1998) l’amministrazione aveva fatto presente all’a.p.i. l’esigenza di acquisire tutte le altre autorizzazioni e pareri di competenza di altre amministrazioni che il ricorrente (cointeressato con l’a.p.i. al buon esito della procedura) solo all’inizio del 1999 dichiarava di avere conseguito (concessione dell’area demaniale e locazione dell’area di supposta proprietà dell’Azienda Sanitaria). Successivamente, a seguito di chiarimenti intercorsi fra Comune e Regione, veniva avviata la procedura di variante mediante ricorso alle procedure di cui alla legge regionale n. 23/99 (conferenza di localizzazione). Occorre pure specificare che, con istanza del 30/9/04 l’API, considerato che in data 22/7/03 si era tenuta la conferenza che autorizzava il comune ad adottare la variante, chiedeva all’amministrazione di continuare l’iter urbanistico fino alla definitiva approvazione della variante.

La nota del 26/9/06 del Sindaco di Melfi allegata al gravame ha poi chiuso in via definitiva il procedimento col rigetto dell’istanza (e non pertanto adottando un preavviso di rigetto ex art. 10 bis della la legge n. 241/90 come sostenuto in ricorso), specificando che la variante al p.r.g. approvato nel 1992 (alla cui adozione la conferenza di servizio del 22/7/03 aveva autorizzato il comune) non sarebbe stata adottata in dipendenza della carenza di titolarità dell’area e del parere dell’Autorità di Bacino della Puglia nonché del contrasto con le norme vigenti in materia di rete distributiva di carburanti. Quanto al primo profilo era infatti emerso che la particella di cui al foglio 76 n. 231 presa in locazione il 3/2/98 dall’Azienda Sanitaria USL n. 1 di Venosa per installarvi l’impianto de quo era risultata in realtà non essere in proprietà dell’Azienda e che solo con delibera di G.R. n. 176/06 era stato nominato un commissario ad acta incaricato di provvedere al trasferimento di tale terreno nel patrimonio di detta azienda (tale questione, secondo la nota del 17/3/09 del ricorrente sarebbe stata risolta dal citato commissario). Quanto al secondo profilo, con atti e delibere del 2004 e del 2005 l’Autorità di Bacino della Puglia prima negava il parere all’installazione dell’impianto e poi approvava il Piano Stralcio che sottoponeva l’area demaniale ex alveo del torrente Melfia (p.lla 1046, foglio 76) presa in concessione con atto del Ministero delle Finanze dell’1/2/99 al vincolo PAI definito come “Area ad alta pericolosità idraulica con alta probabilità di inondazione-classificazione R4- Rischio molto elevato”. Quanto al terzo profilo, va anzitutto chiarito che nel corso della vicenda in esame la disciplina di legge relativa agli impianti di distribuzione di carburanti è più volte cambiata atteso chè, a seguito del D.L. n. 32/98 era applicabile all’a.p.i. l’art. 3 co. 1 che fino al 31/12/99 subordinava l’autorizzazione per nuovi impianti o per il trasferimento di quelli in esercizio alla chiusura di almeno 3 impianti preesistenti. Poi, da un lato la L.R. n. 20/03 stabiliva che le domande in corso di istruttoria all’atto dell’entrata in vigore delle norme in questione dovessero essere riproposte adeguandole alla nuova normativa e, dall’altro, l’approvazione del relativo piano regionale (delibera di G.R. n.1071 del 3/5/04) stabiliva, per il posizionamento dei nuovi impianti di distribuzione carburanti nei centri abitati, la distanza minima di 600 metri nel percorso stradale più breve. Anche queste due ultime sopravvenienze, puntualmente riportate nell’atto sindacale di chiusura del procedimento, impedivano il rilascio dell’autorizzazione all’impianto.

Da tutto quanto sopra esposto risulta quindi che, a conclusione del procedimento, le condizioni di fatto e di diritto tali da far considerare maturata una piena aspettativa qualificata al rilascio dell’autorizzazione de qua in favore del ricorrente non può dirsi venuta ad esistenza sotto il profilo giuridico; anzi, secondo quanto statuito dal Sindaco con la nota predetta – che faceva presente la decisione di non procedere all’adozione della variante al p.r.g. (e, di conseguenza, al rilascio dell’autorizzazione all’impianto)- la domanda di provvedimento favorevole è stata rigettata.

Occorre allora esaminare l’altra domanda risarcitoria, quella con la quale, sostanzialmente, si chiede il risarcimento per il cd. ritardo procedimentale. In questo caso, in via generale, il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l’amministrazione ha adottato un provvedimento, di regola a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel dato procedimento. Tale tipologia di tutela risarcitoria, nella fattispecie (così come sopra ricostruita, con la precisazione che il procedimento si è chiuso col definitivo atto di arresto procedimentale costituito dalla nota sindacale del 26/9/06) sarebbe quindi da ritenere applicabile anche all’ipotesi di un provvedimento amministrativo non impugnato (e quindi “legittimo”) sfavorevole per il privato ma adottato con ritardo; in altri termini si ipotizza che il privato abbia subito danni per non aver ottenuto il tempestivo esame della propria istanza e per non aver conosciuto, entro i termini previsti, l’inaccoglibilità della stessa. In astratto al collegio una siffatta domanda non appare di per sé inappropriata atteso chè il tempo è un bene della vita e che pertanto il ritardo nel ricevere un provvedimento sfavorevole possa avere effetti pregiudizievoli anche di natura patrimoniale. A sostegno di tale possibilità di tutela milita infatti il nuovo art. 2 bis della legge n. 241/90 (come modificata dalla legge n.68/09 che stabilisce che le pp.aa. sono tenute a risarcire il danno ingiusto cagionato “in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. Tale disposto normativo rieccheggia altresì il tenore testuale dell’art. 30 (azione di condanna) comma 4 del codice del processo amministrativo laddove, ai fini della decorrenza del termine di decadenza, richiama proprio tale inciso dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Tale riferimento non è casuale atteso chè, nella fattispecie, il ricorrente non riesce a dimostrare in ricorso né la colpa né il dolo dell’amministrazione. Il collegio condivide infatti quell’opinione giurisprudenziale (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 6/7/2011 n.416 che ritiene che, sia prima dell’avvento del codice del processo amministrativo, sia dopo la sua entrata in vigore, il danno da ritardo risulta risarcibile unicamente quando venga provata da parte ricorrente o la colpa ovvero il dolo dell’amministrazione. Non è cioè sufficiente l’inosservanza del termine procedimentale per far considerare sussistente il danno.

Ma, oltre a ciò, sussistono ulteriori ragioni per disattendere la domanda in esame. Una è costituita dal fatto che, anche con riferimento alla domanda risarcitoria in esame, si chiede il ristoro del danno inteso nella sua pienezza e cioè sia il danno emergente costituito dall’onere sopportato per la locazione dei terreni dell’ASL e per la concessione di quelli demaniali nonché le spese di progettazione degli impianti e sia il mancato utile connesso alla mancata realizzazione tempestiva dell’impianto in termini commerciali. Non è stato chiesto, quindi, il mero danno che può subirsi per effetto di una illegittimità procedimentale sintomatica di una modalità comportamentale non improntata alla regola della correttezza, ma l’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita, costituito dalla richiesta di autorizzazione alla installazione dell’impianto.

Il collegio, quindi, nel caso di specie è impossibilitato ad attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla mera violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse finale: ciò, per rispetto sia del principio della domanda, sia di quello dispositivo cui il processo risarcitorio deve conformarsi (cfr. Cons. St., IV, n.248/08). E’ evidente che ricollegare anche al ritardo procedimentale, ai fini risarcitori, un pregiudizio patrimoniale pieno (danno emergente e lucro cessante) finisce per porre sullo stesso piano la domanda in esame a quella proposta in via principale ed in precedenza esaminata con inevitabile estensione delle medesime considerazioni svolte in punto di accertamento della spettanza del bene della vita.

L’altra ragione da segnalare a sostegno della reiezione della domanda “de qua” è costituita dal fatto che le spese asseritamente sostenute dal ricorrente (nella sua veste di futuro gestore del realizzando impianto e nell’interesse comunque dell’API) sono del tutto sprovviste di prova: mancano cioè prove documentali capaci di certificare in modo inequivoco ed oggettivo l’avvenuto esborso dei canoni locativi e concessori non potendo considerarsi tali dei meri prospetti riepilogativi di tali spese. Pari inidoneità inficia poi le spese progettuali, anch’esse prive di vera e propria prova documentale relativa all’avvenuto pagamento delle stesse, tali non potendosi ritenere le due dichiarazioni sostitutive esibite da altrettanti tecnici incaricati che neppure fanno menzione di precisi importi. Per di più, il tecnico incaricato del progetto urbanistico ed architettonico dell’impianto dichiara di essere stato incaricato dall’A.P.I. e non dal ricorrente. Alla luce di quanto sopra esposto, non può poi a maggior ragione trovare spazio di valutazione la perizia volta a dimostrare il mancato utile che si sarebbe potuto realizzare dalla gestione della stazione di servizio in caso di realizzazione della stessa durante l’arco temporale compreso fra il 1999 e il 2009.

Conclusivamente il ricorso va rigettato. Nulla va disposto per le spese stante la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima)

pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2012

Redazione