Rinviata alle Sezioni Unite la questione sull’applicabilità delle norme del decreto sviluppo alla materia fiscale (Cass. n. 23273/2013)

Redazione 14/10/13
Scarica PDF Stampa

Ordinanza

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’Agenzia ricorre per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia Brescia 201/63 /12 del 9 ottobre 2012 che accoglieva l’appello della AOM Rottami spa avverso avvisi di accertamento ires-irap per gli anni 2005, 2006.

2. La contribuente è costituita in giudizio con controricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso la Amministrazione deduce omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) e dunque sembra fare riferimento al testo del citato n. 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, c.d. “Decreto crescita” convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134; in realtà dalla lettura del motivo emerge che viene dedotta “un’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, cioè il vizio previsto nel testo dell’art. 360, n. 5, anteriore alla recente riforma che si applica ai ricorsi avverso sentenze depositate dopo il giorno 11 settembre 2012.

La decisione del ricorso pone dunque il problema della applicabilità o meno ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie delle disposizioni modificative del codice di procedura civile contenute nel D.L. 22 giugno 2012, n. 83, c.d. “Decreto crescita” convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Ci si riferisce, in primo luogo, al “nuovo” n. 5) dell’art. 360 c.p.c., che restringe i vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte ai casi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Anche il limitato intervento consentito dal “nuovo” numero 5) verrebbe poi in molti casi meno ove si applicasse anche alle vicende tributarie il principio (pur esso previsto nella legge 134/2012) della totale insindacabilità del difetto di motivazione in caso di “doppia conforme” cioè ove la decisione di secondo grado sia fondata “sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”.

Il Collegio ritiene che entrambe le disposizioni cui si è accennato trovino applicazione nei ricorsi contro le sentenze del giudice tributario; perchè l’art. 54, comma 3 bis, della citata legge secondo cui “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,” riguarda solo il processo tributario vero e proprio (primo e secondo grado) delineato dalla L. n. 546 del 1992, mentre il giudizio di cassazione, anche ove verta in materia tributaria, non è più “processo tributario” ed è disciplinato dalle disposizioni del codice di procedura civile.

L’espressione “processo tributario” può assumere, infatti, un duplice significato. In senso sostanziale, è processo tributario qualunque controversia in cui si discuta di un rapporto tributario; mentre in senso processuale è “processo tributario” quello in cui si applicano regole procedurali specifiche, proprie appunto del “processo tributario” (le due nozioni normalmente coincidono, ma questa coincidenza non sempre si verifica).

Se si esamina il D.Lgs. n. 546 del 1992, (che la norma esplicitamente richiama) si constata che il processo tributario di primo e secondo grado è un “processo” particolare retto – nei suoi tratti essenziali – da norme specifiche e dettagliate.

Il difensore che pretendesse di gestire un processo tributario di primo o secondo grado utilizzando esclusivamente il codice di procedura civile si troverebbe a mal partito.

Dunque le controversie tributarie, sono nella fase di merito, almeno nella normalità dei casi, gestite con uno strumento processuale specifico: il processo tributario.

Se invece si esamina l’unico articolo del D.Lgs. n. 546 del 1992, che riguarda il giudizio di cassazione si constata che le controversie tributarie non danno luogo ad un “processo tributario” di Cassazione; anche perchè il D.Lgs. (delegato) n. 546 del 1992, si guarda bene dall’enunciare alcuna regola specifica; e ciò in osservanza della Legge delega n. 413 del 1991, art. 30, che non conteneva alcuna delega in proposito (mentre regole specifiche riguardano la procedura di riassunzione della controversia avanti al giudice di merito, cioè una fase compresa nella delega).

Appare cioè assai difficile, per non dire impossibile, parlare di un “processo tributario di cassazione di cui alla L. n. 546 del 1992”, a fronte cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1 a 5. Al ricorso per di una disposizione (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62) che si limita a ribadire: “avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”.

Del resto, il citato art. 62 contiene un rinvio all’art. 360 c.p.c., n. 5, (ed alle disposizioni del codice di procedura civile relative al giudizio di cassazione) che è sempre stato applicato come un rinvio alle norme processuali “comuni” così come via via plasmate dal legislatore e non al testo vigente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 546 del 1992.

La situazione sarebbe ovviamente diversa se fosse legge la proposta elaborata dal CNEL e che contiene una specifica e dettagliata disciplina del giudizio tributario di legittimità, nettamente differenziato rispetto al “comune” giudizio di cassazione. E se esistesse un “processo tributario di cassazione” sarebbe logico consentire il patrocinio avanti alla Corte a quei medesimi soggetti che possono assumere l’assistenza tecnica dei contribuenti avanti ai giudici di primo e di secondo grado (così come sembra prospettare il progetto del CNEL). Ma così oggi non è.

Tuttavia, si deve prender atto che nella dottrina sembra prevalere l’opinione opposta secondo cui la riforma in questione non tocca il processo di cassazione, quando formino oggetto di ricorso sentenze delle Commissioni Tributarie. E sembra opportuno che la soluzione di un problema che coinvolge un così ampio numero di ricorsi venga devoluta alle Sezioni Unite in modo da ottenere una pronuncia vincolante per i collegio ordinari, e che costituisca un sicuro punto di riferimento anche per coloro che debbono redigere ricorsi.

Pertanto il Collegio ritiene di sottoporre al Primo Presidente l’opportunità di rimettere – data la sua importanza – la questione sopra descritta alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

Il Collegio rimette la controversia a S.E. il Primo Presidente affinchè valuti l’opportunità di riemettere alle Sezioni Unite la questione indicata in motivazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile, il 10 ottobre 2013.

Redazione