Rinnovo permesso di soggiorno: cause ostative (Cons. Stato n. 2241/2012)

Redazione 02/08/12
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Fatto e diritto

1. L’appellato, già ricorrente in primo grado, è cittadino italiano residente in Italia con permesso di soggiorno “per lavoro autonomo”. Nel settembre 2010, essendo giunto a scadenza il permesso di soggiorno, ne ha chiesto il rinnovo. Con atto in data 24 agosto 2011, la Questura di Frosinone ha rigettato la domanda, con una motivazione riferita ai precedenti penali dell’interessato, i quali consentirebbero, ad avviso della Questura, di formulare un giudizio di pericolosità sociale.
L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Latina, il quale lo ha accolto con sentenza pubblicata il 24 novembre 2011. La decisione è esplicita nel senso che si tratta di accoglimento «per difetto di motivazione, salvi gli ulteriori provvedimenti».
2. L’Amministrazione ha proposto appello. L’interessato, benché ritualmente evocato, non si è costituito.
Questo Collegio, in esito alla camera di consiglio cautelare del 13 aprile 2012, ha emesso l’ordinanza istruttoria n. 1454/2002, con incombenti a carico dell’Amministrazione appellante; ed ha rimesso la trattazione della domanda cautelare alla odierna camera di consiglio del 6 luglio 2012, con avvertimento che «in tale occasione la controversia potrà essere anche definita nel merito ai sensi dell’art. 60, c.p.a.».
L’Amministrazione non ha dato riscontro alle richieste istruttorie.
3. A conclusione dell’odierna camera di consiglio, il Collegio, come già preannunciato nell’ordinanza, ritiene di poter definire la controversia nel merito.
4. Come si è già accennato, il provvedimento impugnato in primo grado è motivato essenzialmente con riferimento ai precedenti penali dell’interessato, i quali dal loro insieme permetterebbero di ravvisare la “pericolosità sociale” del soggetto.
Nell’atto di appello, peraltro, si afferma anche che l’interessato «non risulta svolgere alcuna attività lavorativa stabile e tale da permettergli un adeguato sostentamento»: ma questo aspetto è estraneo alla motivazione dell’atto impugnato e pertanto non può essere preso in considerazione in questa sede.
5. Quanto ai precedenti penali dell’interessato, indicati nel provvedimento della Questura, sono i seguenti: (a) una condanna del Tribunale di Foggia in data 1° giugno 2006 per ricettazione e falsità in scrittura privata; (b) un deferimento all’autorità giudiziaria, nel novembre 2009, per guida sotto l’influenza di alcool; (c) un deferimento all’autorità giudiziaria, in data 16 gennaio 2002, per uso di atto falso.
A questo proposito, assume un certo rilievo la considerazione che nel provvedimento della Questura si afferma che «essere stato condannato per ricettazione rappresenta di per sé solo un motivo ostativo al rilascio e/o rinnovo del permesso di soggiorno»; invece nella sentenza del T.A.R. si legge che «una condanna per ricettazione, peraltro relativa ad un episodio verificatosi oltre dieci anni fa (…) non è riconducibile al catalogo degli illeciti penali di per sé ostativi all’ingresso e al soggiorno ex art. 4 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286».
Ora, nell’atto di appello dell’amministrazione non viene toccata la questione se il reato in parola rientri o meno fra quelli che comportano automaticamente il divieto di rilascio del permesso di soggiorno; sembrerebbe pertanto che l’amministrazione, sul punto, presti acquiescenza a quanto affermato dal T.A.R.. In ogni caso, questo Collegio osserva che a norma dell’art. 4, comma 3, del t.u., le condanne penali che implicano automaticamente il divieto del permesso di soggiorno sono quelle per i reati previsti dall’art. 380, commi 1 e 2, c.p.p. (arresto obbligatorio in flagranza) e la ricettazione non vi rientra. Nello stesso art. 4, comma 3, sono poi elencati altri reati ostativi (in materia di stupefacenti, violazione del diritto di autore, etc.) ma la ricettazione non vi è contemplata.
Si può dunque concludere nel senso che il precedente penale in parola non valeva come causa ostativa, ma poteva solo essere preso in considerazione, insieme ad ulteriori elementi, come indizio di “pericolosità sociale” da stimare discrezionalmente.
6. Ciò posto, si deve condividere quanto giudicato dal T.A.R. circa l’insufficienza della motivazione del giudizio di “pericolosità sociale” espresso dalla Questura.
In proposito va ricordata la giurisprudenza di questa Sezione secondo la quale il giudizio di pericolosità sociale dello straniero, ai fini di cui si discute, non si può esaurire nel richiamo ad episodi relativamente remoti nel tempo; a maggior ragione quando nel frattempo siano intervenuti uno o più rinnovi del permesso di soggiorno e si sia quindi determinata una situazione di ragionevole affidamento.
Nel caso in esame, il deferimento all’autorità giudiziaria, in data 16 gennaio 2002, per uso di atto falso (non seguìto, a quanto pare, da alcun atto della stessa autorità giudiziaria) si può ben considerare relativamente remoto, a questi fini. Altrettanto si può dire della condanna per ricettazione, la quale, pronunciata nel 2006, si riferiva ad un episodio che la sentenza del T.A.R. afferma risalire a «oltre dieci anni fa» (dunque all’inizio del 2001 se non prima): tale circostanza non è smentita nell’atto di appello. L’unico precedente penale recente è dunque costituito dal deferimento all’autorità giudiziaria, nel novembre 2009, per guida sotto l’influenza di alcool; comportamento sicuramente illecito ma non particolarmente significativo.
7. Va ancora considerato che il ricorrente aveva dedotto, in primo grado, di essere coniugato e di essere padre di due figlie minori residenti in Italia. La sentenza del T.A.R. ha osservato, al riguardo, che il ricorrente non aveva dato prova di tali affermazioni, ma che esse non erano neppure state contestate dall’amministrazione. Nell’atto d’appello questo aspetto non è toccato. Il Collegio, nella sua ordinanza istruttoria del 13 aprile 2012, aveva chiesto all’amministrazione di fornire documentati chiarimenti sullo stato di famiglia dell’interessato; i chiarimenti non sono stati dati e tale comportamento omissivo è valutabile ai sensi dell’art. 64, comma 4, c.p.a.. Si può dunque assumere come confermata, limitatamente ai fini della presente decisione, la situazione familiare indicata nel ricorso introduttivo in primo grado.
Ora, la situazione familiare è uno degli elementi che debbono essere presi in considerazione in procedimenti del genere, come previsto dall’art. 5, comma 5, del t.u., come modificato dal d.lgs. n. 5/2007. Vero è che la disposizione citata si riferisce, testualmente, al caso dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare; ma la giurisprudenza di questa Sezione ha affermato che detta disposizione va interpretata nel senso che oggetto della tutela è il nucleo familiare e che pertanto detta tutela va riconosciuta ogni volta che esista un nucleo familiare (s’intende, residente in Italia e convivente) la cui composizione corrisponda alle caratteristiche indicate dalla normativa sul ricongiungimento; non sarebbe infatti ragionevole escludere quella tutela solo perché il nucleo familiare si trova già riunito in Italia senza che sia stato necessario un procedimento di ricongiungimento.
Anche sotto questo profilo, dunque, il provvedimento impugnato in primo grado appare carente di motivazione.
8. In conclusione, l’appello va respinto con conferma delle sentenza appellata, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, non essendovi stata costituzione di controparte.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2012

Redazione