Rimborso IRPEF: locazione di immobili soggetti a vincolo storico-artistico (Cass. n. 19251/2012)

Redazione 07/11/12
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Fatto

G.C.G.G. impugnò il silenzio- rifiuto opposto dall’Amministrazione delle Finanze a tre istanze, rispettivamente concernenti gli anni 1995, 1996 e 1997, con le quali egli, in data 17 febbraio 2000, aveva chiesto il rimborso delle quote di IRPEF erroneamente pagate sul reddito reale e non su quello catastale ridotto prodotto dalla locazione di immobili soggetti a vincolo storico-artistico.
La Commissione tributaria provinciale di Torino, riunite le impugnazioni, dichiarò inammissibili i ricorsi per decadenza dal termine utile a proporli in relazione alle istanze concernenti gli anni 1995, 1996 ed il primo acconto riguardante l’anno 1997, e rigettò nel merito il ricorso riguardante gli altri versamenti afferenti all’anno 1997: ritenne sul punto che la disciplina speciale stabilita dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, che ragguaglia il reddito dei fabbricati d’interesse storico alla minore delle tariffe d’estimo previste per gli immobili della zona censuaria nella quale è collocato l’immobile in questione, ha rilievo residuale, trovando applicazione per i soli immobili d’interesse storico non locati e non censiti in catasto.
A seguito di appello del contribuente, la Commissione tributaria regionale ha confermato la sentenza di primo grado.
Ricorre G.C.G.G. per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, affidando il ricorso a due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il ricorrente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Diritto

1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente, in relazione al solo versamento del primo anticipo dell’anno 1997, ha denunciato la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, chiedendo alla Corte di pronunciarsi in ordine alla seguente questione: “ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il termine di decadenza entro il quale deve essere formulata la domanda di rimborso, qualora il reddito totale del contribuente sia composto da vari redditi e non soltanto da quello che non si ritiene soggetto a tassazione, decorre dalla data dei singoli versamenti o da quella della presentazione dei redditi?”.
2.- Questa Corte, quanto alla decorrenza del termine di decadenza per la presentazione di domanda di rimborso previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ha ormai reiteratamente affermato, in generale, che il termine, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo, oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poichè subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell’obbligazione o della sua misura (come nel caso di pagamenti effettuati a seguito di pronunce giudiziali non definitive). Il termine decorre, invece, dal giorno del versamento dell’acconto, qualora quest’ultimo, già nel momento in cui fu eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge, in base alla quale venne versato: in questi casi, l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorgono sin dal momento in cui avviene il versamento (Cass. civ., 12 gennaio 2009, n. 359; in termini, Cass. 2 dicembre 2008, n. 28559; Cass. 5 novembre 2008, n. 26535; Cass. 26 febbraio 2008, n. 3621; Cass. 10 gennaio 2004, n. 198 e, più recente, Cass. 23 febbraio 2011, n. 4369).
3.- Si deve ritenere, nel nostro caso, che sin dal momento in cui avvenne il versamento dell’acconto, vi fossero interesse e possibilità di ottenere il rimborso, per le considerazioni che seguono con riguardo all’esame del secondo motivo di ricorso.
4.- Col secondo motivo di ricorso, anch’esso proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma relativo agli altri versamenti riguardanti l’anno 1997, il contribuente ha lamentato la violazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, formulando il seguente quesito di diritto: “ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 2, il reddito di un immobile soggetto a vincolo storico-artistico, è da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d’estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene ad un canone superiore, anche se la locazione è ad uso diverso dall’abitativo?”.
4.1.- Questa sezione ha già rimarcato che la L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2 non modifica alcuna disposizione del testo unico delle imposte sui redditi e non s’inserisce nel contesto di quel testo unico in tema di determinazione del reddito imponibile per gli immobili, locati o non: si tratta di una disposizione del tutto autonoma, anche rispetto a quella contenuta nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 34.
4.2.- Ancora, sotto il profilo dell’interpretazione sistematica, si è evidenziato che il 2 comma dell’art. 11 segue un comma (il 1 della norma), che regola la modifica del comma 2, art. 129 del suddetto testo unico delle imposte sui redditi, concernente la determinazione del reddito imponibile per i fabbricati “dati in locazione”.
In particolare, la presenza dell’inciso “in ogni caso” nel comma 2, art. 11, necessariamente implica che la disposizione in questione sia dettata a completamento della norma dettata dal comma 2, art. 129.
Una diversa opzione interpretativa non riconoscerebbe senso logico all’intervento del legislatore: è indubbio che la norma speciale dettata dal comma 2, art. 11, L. n. 413 del 1991 per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico riguarda la determinazione del reddito di tali immobili, ove non locati; e allora, l’inciso “in ogni caso” perderebbe ogni utile significato, qualora la disposizione in questione fosse riferita esclusivamente alla determinazione del reddito degli immobili non locati: non sarebbe contemplato ogni caso, ma soltanto un caso.
4.3.- Va dunque ribadito, come ripetutamente affermato da questa Corte (Cass., 18 marzo 1999 n. 2442; Cass., 11 giugno 1999 n. 5740; Cass., 13 luglio 1999 n. 7408; Cass., 2 agosto 2000 n. 10135; Cass., 19 ottobre 2001 n. 12790. Più recenti, Cass. 18 giugno 2009, n. 14149; Cass. 15 maggio 2008, n. 12235; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4251; Cass. 23 maggio 2005, n. 10860), che, in tema di imposte sui redditi, la L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 2, là dove stabilisce che “in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”, deve essere inteso come norma recante l’esclusiva ed esauriente disciplina per la fissazione dell’imponibile rispetto agli edifici d’interesse storico od artistico, da compiere sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d’estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore.
4.4.- D’altronde, la disciplina ha superato indenne il vaglio della Consulta, la quale, con la sentenza n. 346 del 28 novembre 2003, dopo aver premesso che “le disposizioni legislative che accordano agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie possono essere ritenute lesive del canone di ragionevolezza… nei soli casi della palese arbitrarietà o irrazionalità” e che “ciò vale a maggior ragione quando, come nella specie, la questione di costituzionalità sia diretta a limitare e non ad ampliare l’ambito del beneficio e risulti, quindi, sollevata in malam partem”, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 2, affermando che “nessun dubbio può sussistere sulla legittimità della concessione di un beneficio fiscale relativo agli immobili di interesse storico o artistico, apparendo tale scelta tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2”.
Secondo la Corte delle leggi, poi, “la norma impugnata… non è nemmeno illegittima, con riferimento sempre al canone di ragionevolezza, nella parte… in cui prevede che il reddito imponibile sia in ogni caso determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato, e perciò anche quando l’immobile di interesse storico o artistico sia locato” in quanto:
– “una volta esclusa… la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili, la censura di irragionevolezza, risulta priva di consistenza, in uno con quella, ad essa connessa:, di violazione del principio di eguaglianza, essendo l’una e l’altra basate sull’erroneo presupposto della sostanziale omogeneità della due categorie di beni”;
– il riferimento alle tariffe d’estimo, censurato dal rimettente, trova una “non irragionevole giustificazione nell’obiettiva difficoltà, evidenziata anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, di ricavare per gli immobili di cui si tratta dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni (così Cassazione 29 settembre 2003 n. 14480)”. Quest’ultima considerazione, secondo la Corte Costituzionale, “comporta l’infondatezza della questione anche sotto il differente parametro dell’art. 53 Cost.”.
4.5.- In linea con le valutazioni della Consulta si sono poste altresì, da ultimo, le sezioni unite di questa Corte: nel ritenere che in materia di tassazione ai fini lei degli immobili di interesse storico o artistico, è applicabile esclusivamente la regola stabilita dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, convertito con L. n. 75 del 1993, come interpretato dalla L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 6, anche al cospetto di interventi di restauro e di risanamento conservativo o interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di ristrutturazione urbanistica, le sezioni unite hanno ribadito che il regime di tassazione degli immobili in questione, ai fini delle imposte sui redditi, non è ispirato ad una regola di agevolazione, bensì ad una regola di specialità, ossia all’istituzione di un regime tributario sostitutivo di quello ordinario (Cass., sez. un., 9 marzo 2011, n. 5518).
5.- Deriva da quanto precede che:
– quanto al primo acconto concernente l’anno 1997, da esso decorreva il termine di diciotto mesi stabilito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (nel testo applicabile ratione temporis), perchè l’acconto, allorchè fu versato, già non era dovuto nella misura del versamento;
– quanto agli altri versamenti concernenti l’anno 1997, il reddito dell’immobile, soggetto a vincolo storico-artistico, va calcolato con riferimento alla più bassa delle tariffe d’estimo della zona censuaria nella quale si trova l’immobile.
Il primo motivo va in conseguenza respinto, mentre va accolto il secondo, con l’affermazione del seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi, la L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 fissa l’esclusiva ed esauriente disciplina per la determinazione dell’imponibile rispetto agli edifici di interesse storico od artistico, da ragguagliare sempre alla più bassa delle tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato, di guisa che, ai fini dell’applicazione di siffatto regime impositivo, da ritenere di carattere speciale e non meramente agevolativo, non assumono rilevanza la destinazione, abitativa o non abitativa, dell’immobile soggetto a vincolo, nè la circostanza che il medesimo sia locato a terzi, nè la categoria catastale nella quale lo stesso sia classificato”.
La sentenza impugnata va in conseguenza cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, affinchè, adeguandosi al suddetto principio di diritto, ridetermini, in relazione agli importi IRPEF versati successivamente al primo acconto in relazione all’anno 1997, il quantum dovuto.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte:
– rigetta il primo motivo di ricorso;
– accoglie il secondo motivo di ricorso;
– cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 10 ottobre 2012.

Redazione