Rientro dello straniero espulso (Cass. pen., n. 28614/2013)

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Massima

Il rientro oltre il quinquennio nel territorio dello Stato dello straniero espulso, pur non potendo più essere punito come delitto ai sensi del comma 13 dell’art. 13 del D.lgs. 286/1998 perché in contrasto con quanto disposto dalla direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea, integra l’illecito contravvenzionale sussidiario previsto dall’art. 10 bis del D.Lgs. 286/1998.

 

1. Questione

Il Tribunale applicava allo straniero, ex art. 444 cod. proc. pen., per il reato di resistenza e lesioni personali nonché per il reato di cui all’art. 13 comma 13 D.lgs. n. 286/98, la pena di mesi nove di reclusione.

Avverso il citato provvedimento è insorto tempestivamente il Procuratore generale territoriale chiedendone l’annullamento per violazione di legge perché il fatto indicato ai sensi dell’art. 13 comma 13, del D.lgs. 286/1998 non è più previsto dalla legge come reato e in subordine sospendere il procedimento onde inviare gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Infatti, il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato, in quanto com’è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, devono escludersi ricadute sulla fattispecie in esame, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE e della sopravvenuta decisione della Corte di giustizia U.E., 28/04/ 2011, E. D., nel senso prospettato dal ricorrente, pur alla luce di tale ultima decisione che ha affermato che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria ai risultato della direttiva 2008/115, tenendo anche debito conto del principio della applicazione retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.

 

2. Orientamenti giurisprudenziali

La presente pronuncia ritiene che il fatto ascritto al lavoratore straniero non sia più previsto dalla legge come reato. In data 25.12.2010, infatti, ha acquistato diretta efficacia nell’ordinamento interno italiano la Direttiva Comunitaria in materia di immigrazione n. 115/2008, per scadenza del termine di adeguamento. La Corte di Giustizia della Comunità Europea con la nota pronuncia 28.04.2011 nella causa El Dridi ha accertato, con l’autorità che le è propria in materia, l’incompatibilità del diritto interno italiano in materia di immigrazione con detta Direttiva. Tra le disposizioni di quest’ultima, qui interessa quella di cui all’art. 11, paragrafo 2, secondo cui “la durata del divieto di ingresso è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera i cinque anni”. E’ di tutta evidenza, allora, come si ponga in insanabile contrasto con la vincolante Direttiva Europea la normativa italiana di cui all’art. 13 del D.lgs. 286/1998, che pone il divieto di reingresso per dieci anni e, comunque, per un tempo non inferiore ai cinque anni. Sul punto, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza succitata nel procedimento C-61/11 PPU – avente a oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d’appello di Trento nell’ambito del procedimento a carico di H.E.D. -, ha affermato, al punto 61, che ai giudici degli Stati dell’Unione spetta “disapplicare ogni disposizione del D.lgs. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115”. Tra le disposizioni della direttiva vi è quella di cui all’att. 11, paragrafo 2, secondo la quale “la durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera i cinque anni”, con la quale contrasta la disposizione dell’art. 13 del D.lgs. 286/1998, che fissa la durata del divieto in dieci anni e quella del precedente comma 13, che prevede una sanzione penale per lo straniero espulso che faccia rientro nel territorio dello Stato.

Nella specie il limite massimo di durata del divieto di reingresso nel territorio dello Stato è stato superato in rapporto alla data del decreto prefettizio di espulsione. Consegue a tale rilievo la disapplicazione dell’art. 13 del D.lgs. 286/1998, perchè non compatibile con l’assetto ordinamentale conseguente alla diretta applicabilità della direttiva comunitaria.

Di recente, la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, costantemente affermato che il reato di reingresso non autorizzato nel territorio dello Stato dello straniero espulso ha natura permanente, perchè è diretto a impedire l’illegale rientro e l’illecita permanenza nel territorio dello Stato, e dunque la continuità della condotta antigiuridica protratta nel tempo. In coerenza con tale affermazione si è ritenuto che la disciplina applicabile, in caso di modificazioni legislative in peius, non è quella del momento di inizio della condotta che, perdurando, legittimamente ricade sotto il regime meno favorevole della normativa sopravvenuta (Sez. 1, n. 10716 de 02/03/2010, dep. 19/03/2010, Altin, Rv. 246517; Sez. 1, n. del 01/10/2008, dep. 31/10/2008, P.M. in proc. Gjika, Rv 241433; Sez. 1, n. 43028 del 07/11/2007, dep. 21/11/2007, P.G. in proc. Mazlami, Rv. 238115; Sez. 1, n. 27399 del 18/06/2003, dep. 25/06/2003).

 

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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