Rientro dello straniero: devono passare cinque anni dall’espulsione (Cass. pen. n. 28465/2013)

Redazione 02/07/13
Scarica PDF Stampa

Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza emessa in data 19 agosto 2011, depositata in cancelleria il 19 agosto 2011, il Tribunale di Terni applicava a I. A. ex art. 444 cod. proc. pen., per il reato di resistenza e lesioni personali nonché per il reato di cui all’art. 13 comma 13 D.L.vo n. 286/98, la pena di mesi nove di reclusione.
l 2. – Avverso il citato provvedimento è insorto tempestivamente il Procuratore generale territoriale chiedendone l’annullamento per violazione di legge perché il fatto rubricato ai sensi dell’art. 13 c. 13 d.lgs. 286/98 non è più previsto dalla legge come reato e in subordine sospendere il procedimento onde inviare gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Osserva in diritto

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
3.1 – Com’è stato ripetutamente affermato da questa Corte, devono escludersi ricadute sulla fattispecie in esame, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE e della sopravvenuta decisione della Corte di giustizia U.E., 28/04/ 2011, El Dridi, nel senso prospettato dal ricorrente, pur alla luce di tale ultima decisione che ha affermato che ai giudici penali degli Stati della Unione spetta disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, tenendo anche debito conto del principio della applicazione retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. E’ stato rilevato che l’unico profilo di contrasto della fattispecie in contestazione con le disposizioni della direttiva rimpatri in astratto ipotizzabile è quello relativo alla durata del divieto di reingresso alla luce dell’art. 11 paragrafo 2 della direttiva stessa, laddove prevede che “la durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni; può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale”.
La durata del divieto superiore a cinque anni previsto dalla normativa interna è in via generale incompatibile con siffatta disposizione, tanto che tra le modifiche introdotte dalla legge n. 129 del 2011, al ñne di adeguare la disciplina interna alla direttiva europea, è stato previsto al comma 14 dell’art. 13 T.U. imm. che il divieto di reingresso di cui al precedente comma 13 opera per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, fatti salvi casi specificamente indicati. Pertanto l’art. 13 nella parte in cui fissa in dieci anni la durata del divieto di reingresso nel territorio dello Stato per lo straniero che ne sia stato espulso – contrasta con la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del consiglio, che ha acquisito diretta efficacia nell’ordinamento nazionale a partire dal 24 dicembre 2010, secondo cui la durata del divieto di ingresso non può superare i cinque anni. Nel caso di specie, il ricorrente ha fatto rientro nel nostro territorio dopo quattro anni e nove mesi dall’intervenuta espulsione, con il che non può essere fondatamente sostenuto che si versi in un caso di contrasto con la direttiva e di conseguente intervenuta abolitio criminis. Occorre per vero osservare che prima della L. n. 189 del 2002 la normativa prevedeva la durata del divieto di rientro sul territorio nazionale, successivamente all’emissione del provvedimento di espulsione, per cinque e non per dieci anni. Sul tema rileva comunque anche la più recente normativa comunitaria e la giurisprudenza formatasi nel suo alveo. Si veda in proposito Cass., Sez. 1, 20 ottobre 2011, n. 8181, rv, 252210, ***************, e Sez. 1, 13 marzo 2012, n. 12220, rv. 252214, Zyba. La massima estrapolata è la medesima: “Il rientro nel territorio dello Stato dello straniero espulso che non abbia una speciale autorizzazione non è più previsto come reato, ove avvenga oltre il quinquennio dall’espulsione, perché la norma incriminatrice, ponendo un divieto di rientro per un decennio, deve essere disapplicata per contrasto con le disposizioni della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea, che hanno acquistato efficacia diretta e che prevedono che il divieto di reingresso non possa valere per un periodo superiore a cinque anni”. È da ritenersi pertanto incontestabile che, nella peculiare fattispecie sottoposta all’esame del Collegio, la sentenza impugnata è esente da censure nella parte in cui ha ritenuto che la condotta dell’imputato integrasse, anche sotto questo profilo, il reato contestato.
Per quanto sovra espresso non si ritiene di dover inviare gli atti alla Corte di Giustizia.
4. – Nulla perle spese essendo stato il gravame proposto da parte pubblica

per questi motivi

rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 23 aprile 2013

Redazione