Ricostruzione della posizione di carriera di un pubblico dipendente (Cons. Stato n. 1778/2013)

Redazione 27/03/13
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FATTO

Con il ricorso in appello in esame il sig. Committante Leonardo ha chiesto l’annullamento della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata, con la quale è stato accolto in parte il ricorso proposto per l’esecuzione della sentenza del Tribunale stesso n. 2711/2009 (con la quale il Comune di Ischia era stato condannato al pagamento delle differenze retributive tra quanto dovuto e quanto percepito per il servizio prestato dal 4/10/1979 al 31/8/1991, oltre interessi e rivalutazione), deducendone la erroneità nella parte in cui non ha riconosciuto la debenza anche delle ulteriori voci reclamate, in particolare degli assegni per il nucleo familiare.

Con la sentenza impugnata, premesso che dal Comune era stata corrisposta al ricorrente solo la somma di € 28.231,87 (inferiore a quanto dovuto e calcolato, dallo stesso Ente, nell’anno 1998), il ricorso è stato ritenuto solo parzialmente fondato, persistendo il mancato adempimento quanto all’obbligo di pagamento per il periodo dall’1/11/1981 al 31/8/1991 delle indennità di rischio e del salario di anzianità, oltre interessi e rivalutazione come per legge, per come tali voci sono collegate alla posizione lavorativa ed all’esperienza professionale acquisita; viceversa nulla è stato ritenuto dovuto per le altre voci reclamate da parte ricorrente, in particolare per gli assegni per il nucleo familiare.

La parte appellante, premesso che è ammissibile l’impugnativa di una sentenza di primo grado che abbia ordinato l’esecuzione del giudicato, risolvendo questioni di merito e pronunciandosi sulla fondatezza della pretesa, a sostegno del gravame ha dedotto i seguenti motivi:

1.- Error in iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento, contraddittorietà, omessa pronuncia su punti decisivi della controversia.

Il T.A.R. ha recepito acriticamente le conclusioni cui è addivenuto il C.T.U. nominato in primo grado, che ha ritenuto non dovute voci retributive previste per legge, oltre che dal C.C.N.L. del comparto Enti Locali, non attribuendo rilievo ai conteggi effettuati dal ragioniere del Comune dell’epoca.

E’ stata posta in essere disparità di trattamento rispetto ad altri dipendenti.

2.- Erroneamente il C.T.U. ha asserito che non possono essere corrisposti gli assegni familiari in assenza di richiesta espressa da presentare ogni anno solare mediante un modulo recante dati quali i componenti del nucleo ed i loro redditi. Detti assegni sono quindi dovuti e su di essi spettano interessi e rivalutazione.

3.- Il Giudice di prime cure erroneamente non ha riconosciuto un altro elemento del salario accessorio, come le indennità di turno.

4.- Il C.T.U. non ha considerato che la sentenza ha fatto sorgere il diritto relativo alla indennità per le ferie non godute, che non poteva essere prevista e corrisposta al tempo in cui il ricorrente era considerato un lavoratore autonomo.

5.- Per festività retribuite spettano maggiorazioni per 180 ore di lavoro annuale.

Alla udienza in camera di consiglio del 4.12.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte appellante, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dall’appellante in epigrafe indicato, di annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui è stato accolto solo parzialmente il ricorso proposto per l’esecuzione della sentenza del Tribunale stesso n. 2711/2009 (con la quale il Comune di Ischia era stato condannato al pagamento delle differenze retributive tra quanto dovuto e quanto percepito in ragione del servizio prestato dal 4/10/1979 al 31/8/1991, oltre interessi e rivalutazione) non riconoscendo la debenza anche delle ulteriori voci reclamate, in particolare degli assegni per il nucleo familiare.

2.- Con il primo motivo di appello è stato dedotto che il T.A.R. avrebbe recepito acriticamente le conclusioni cui è addivenuto il C.T.U. nominato in primo grado, che ha ritenuto non dovute voci retributive previste per legge, oltre che dal C.C.N.L. del comparto Enti Locali, non attribuendo rilievo ai conteggi effettuati dal ragioniere del Comune dell’epoca, (non fatti propri dalla Commissione straordinaria di liquidazione).

Con sentenze della V Sezione del Consiglio di Stato (per tutte, con la sentenza n. 3470/2011) è stato ritenuto che la sentenza di cui è stata chiesta l’esatta esecuzione condannava l’Amministrazione senza limitare o escludere in alcun modo determinate voci o elementi della retribuzione dall’ammontare complessivamente dovuto, da parametrare alla corrispondente retribuzione dei dipendenti di ruolo svolgenti le medesime mansioni presso l’Amministrazione convenuta; in caso di instaurazione di rapporto di pubblico impiego nullo per violazione di norme imperative il trattamento economico va determinato ex art. 2126 c.c., non mediante paga oraria ma mediante stipendio mensile lordo iniziale rapportato alle funzioni svolte comprensivo della indennità integrativa speciale, della 13^ mensilità e degli altri elementi accessori e continuativi della retribuzione (buoni pasto, premi di produzione), nonché della indennità di fine rapporto.

Contrariamente a quanto affermato dal C.T.U. il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto pienamente validi i conteggi effettuati nel 1998 da detto ragioniere comunale.

E’ stata posta in essere quindi disparità di trattamento rispetto ad altri dipendenti che, a fronte di identici provvedimenti giurisdizionali, hanno visto riconoscersi anche le voci retributive non riconosciute all’appellante, come assegni familiari, indennità di turno, ferie non godute, ecc..

2.1.- La Sezione osserva al riguardo che detto C.T.U. non ha preso in considerazione i conteggi effettuati dal ragioniere comunale perché non era stata prodotta la documentazione in base alla quale i conteggi erano stati effettuati e perché la Commissione straordinaria di liquidazione non aveva ammesso alla massa passiva di liquidazione le relative somme.

La Sentenza di questa Sezione n, 3470/2011, cui l’appellante fa riferimento, premesso che “il punto di riferimento per la liquidazione delle retribuzioni e delle somme a titolo previdenziale è rappresentato dagli emolumenti corrisposti ai dipendenti di ruolo del Comune addetti alle stesse mansioni nel periodo corrispondente di lavoro”, ha affermato il principio che “… le prestazioni lavorative rese non possono essere retribuite mediante l’attribuzione di una paga oraria, ma mediante uno stipendio tabellare mensile lordo iniziale rapportato alle funzioni svolte” comprensivo della indennità nonché degli altri elementi accessori e continuativi della retribuzione indicati dall’appellante.

I condivisibili principi sopra affermati sono stati tenuti ben presenti dal C.T.U. nominato in primo grado per provvedere alla ottemperanza al giudicato di cui trattasi, che ha evidenziato che oggetto del mandato era quello di “definire quanto dovuto al ricorrente in ragione di altri elementi accessori e continuativi della retribuzione nei periodi interessati”.

E’ tuttavia evidente che per procedere alla concreta quantificazione delle somme concretamente spettanti in relazione a detti elementi accessori, in quanto eventuali, era necessario acquisire gli indispensabili riscontri probatori circa l’effettivo svolgimento di determinate funzioni o mansioni cui sono legati da parte del titolare dell’interesse leso, sul quale gravava l’onere della specifica deduzione e della prova del diritto ad ogni competenza accessoria che presuppone l’effettività della prestazione in quanto dovuta per l’effettivo svolgimento di attività o per essere essa particolarmente disagiata, dannosa o pericolosa.

Invero l’art. 49, del d.lgs. n. 29/1993 che, al primo comma, dispone chiaramente che “il trattamento fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi” e, al terzo comma, che i medesimi contratti collettivi “definiscono secondo criteri obiettivi di misurazione, trattamenti economici accessori”, collegati alla produttività individuale collettiva nonché all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate, dannose o pericolose.

Aggiungasi che la retroattività della collocazione nel ruolo può esplicare effetti con riguardo alle competenze retributive aventi carattere fisso e continuativo, ma non nei confronti di quelle aventi carattere accessorio che presuppongono l’effettiva prestazione dell’attività lavorativa, tra cui il compenso sostitutivo delle ferie e dei riposi settimanali non goduti.

Infatti l’effetto ripristinatorio del giudicato non può giungere a fare ritenere verificato un accadimento che non si è mai verificato e il diritto alla retribuzione, in virtù del principio di sinallagmaticità, è quindi subordinato al concreto svolgimento della prestazione lavorativa (Consiglio di Stato, sez. III, 25 giugno 2012, n. 3716).

In conclusione, in caso di ricostruzione della posizione di carriera di un pubblico dipendente, ai fini della corresponsione degli emolumenti non percepiti durante il periodo di interruzione del servizio illegittimamente disposta dall’amministrazione, le somme attribuibili per il detto periodo sono dovute in virtù dell’effetto ripristinatorio e, per quanto giuridicamente e materialmente possibile, restitutorio della sentenza di annullamento dell’atto interruttivo del rapporto di servizio.

Coerente con la natura restitutoria del credito così insorto è che dalle somme dovute siano sottratti quegli emolumenti che presuppongano l’effettiva prestazione del servizio (evenienza che non può farsi rientrare nella fictio juris di ricostruzione “ex post” degli effetti di un rapporto di impiego ipotizzato come operante anche durante il periodo di interruzione), quali ad esempio gli straordinari o corrispettivi legati all’effettiva presenza o alla valutabilità della qualità del lavoro (Consiglio Stato, sez. VI, 20 marzo 2007, n. 1315).

Pertanto solo se le pretese del ricorrente fossero state assistite da idonea prova circa la effettiva prestazione della attività lavorativa poteva essere riconosciuto il relativo diritto.

Ma nel caso che occupa il C.T.U. ha chiaramente affermato che, quanto alla presenza in servizio e alla effettiva durata delle prestazioni lavorative, non è stata reperita agli atti alcuna certificazione documentale supportante i conteggi dell’attuale appellante ed i conteggi effettuati dal ragioniere comunale condivisibilmente non sono stati considerati idonea prova per il fatto stesso che la Commissione straordinaria di liquidazione non aveva ammesso la liquidazione di quanto vantato dal deducente, a prescindere dalle motivazioni.

Non sussiste quindi alcuna disparità di trattamento con altri dipendenti destinatari di provvedimenti giurisdizionali simili a quello ottenuto dall’attuale appellante, essendo verosimile che sia stato loro attribuito il diritto a voci retributive come quelle invano richieste dall’appellante perché idoneamente provate.

La censura in esame non è quindi suscettibile di positiva valutazione.

3.- Le svolte considerazioni escludono anche che possano essere accolte le ulteriori richieste contenute nell’atto di appello relativamente alle voci contrattuali accessorie come indennità di turno, ferie non godute e festività retribuite, anche esse correlate alla effettiva presenza in servizio a alla effettiva durata delle prestazioni lavorative, stante il mancato reperimento agli atti del Comune di certificazioni documentali supportanti i conteggi effettuati dall’attuale appellante.

3.1.- Non è quindi condivisibile la tesi dell’appellante, svolta con il terzo motivo di appello, che il Giudice di prime cure erroneamente non ha riconosciuto un altro elemento del salario accessorio, come le indennità di turno, che dal mese di gennaio 1983 al mese di dicembre 1985 venivano corrisposte mensilmente in misura fissa ai dipendenti che come il ricorrente erano inseriti in strutture che comportavano erogazioni di servizi di almeno 11 ore.

Tale circostanza non è invero idonea a dimostrare la sussistenza del relativo diritto, non essendo stata reperita del C.T.U. idonea documentazione comprovante lo svolgimento di detta prestazione lavorativa, che (trattandosi di indennità giornaliera spettante al personale impiegato in turni di lavoro, variabili per durata e articolazione), non coincide con l’ordinaria giornata di lavoro, ma va commisurata ad una unità di misura diversa, rapportata alla durata del turno svolto (non avendo di regola carattere fisso, mensile e continuativo ed essendo invece legata al reale svolgimento dei turni).

Ai fini dell’attribuzione al dipendente in questione del beneficio dell’ indennità di turno, non è, infatti, sufficiente la mera appartenenza a strutture che comportino un’erogazione continuativa di servizi, occorrendo invece l’effettiva partecipazione ad una turnazione, che presuppone la prestazione di lavoro differenziato nelle presenze sul posto di lavoro, in relazione proprio alla necessità di assicurare determinati servizi per un periodo di tempo eccedente quello corrispondente al normale orario di lavoro.

3.2.- Neppure può essere accolto il quarto motivo posto a base del gravame in esame con cui è reclamato il diritto alla indennità per le ferie non godute.

Al riguardo ha affermato il deducente che esse, pur non rientrando tra gli elementi retributivi del salario accessorio, riguardano un compenso che deve essere corrisposto per legge se ne sussistono i presupposti ed il C.T.U. non ha considerato che la sentenza ha fatto sorgere il diritto relativo ad essa, che non poteva essere prevista e corrisposta al tempo in cui il ricorrente era considerato un lavoratore autonomo. Secondo l’appellante il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato avrebbe prodotto la conseguenza che spetta il diritto del compenso ex art. 36 della Costituzione ed art. 2109 del c.c. per il periodo di riposo, che è irrinunciabile e, nell’ipotesi in cui non possa essere usufruito, deve essere compensato con una indennità. Per il periodo che interessa è precisato nel gravame che il congedo ordinario annuale corrisponde a 30 giornate lavorative, comprensive delle due giornate aggiuntive ex art. 1 della l. n. 937/1977, cui bisogna sommare 4 giornate di riposo.

Ma, rileva il Collegio, esula la prova che il ricorrente non abbia potuto fruire delle ferie per improrogabili esigenze di servizio dell’amministrazione, posto che comunque, a prescindere dalla natura del pregresso rapporto di lavoro del deducente, manca qualsivoglia atto dal quale risulti che le ferie siano state negate o che sia stato imposto di non fruirne (sulla necessaria rilevanza del rigoroso accertamento di tale condizione, ai fini della corresponsione del compenso sostitutivo, cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6229 e 21 aprile 2008, n. 1765, nonché Sez. V, 21 settembre 2005, n. 4942).

3.3.- Neppure può la Sezione valutare favorevolmente la tesi di cui al quinto motivo di appello che la festività retribuita deve essere riconosciuta giornata festiva da computarsi a parte rispetto al periodo di congedo ordinario annuale e che spettano maggiorazioni per 180 ore di lavoro annuale, nonché, quanto al lavoro straordinario, che i c.d. “pinetini” svolgevano sistematicamente lavoro supplementare che sarebbe facilmente quantificabile in base alle ordinanze di servizio emesse dal Sindaco.

Invero anche con riferimento alla voce del salario accessorio in questione, che pure è legata alla concreta prestazione del servizio, non è possibile riconoscere il relativo diritto in assenza di idonee prove documentali agli atti del Comune.

4.- Con il secondo motivo di gravame è stato asserito che la sentenza n. 2711/2009 della cui esecuzione si tratta, nell’accogliere le richieste formulate dall’appellante, avrebbe stabilito il diritto di questi a vedersi corrisposte le somme “latu sensu” qualificabili come retribuzione, comprensive di tutti gli assegni ed indennità che avrebbe dovuto percepire al momento della prestazione se il rapporto di lavoro subordinato fosse legittimamente qualificato come tale.

Il C.T.U. ha asserito che non possono essere corrisposti gli assegni familiari in assenza di richiesta espressa da presentare ogni anno solare mediante un modulo recante dati quali i componenti del nucleo ed i loro redditi.

Ma il diritto ad essi assegni è sorto solo dopo detta sentenza e prima di essa non potevano essere richiesti; comunque il relativo diritto sorgerebbe per la sola sussistenza delle condizioni di legge, avendo la richiesta solo funzione di avvio della procedura che l’Ente è tenuto ad espletare e che sfocia in un accertamento dichiarativo. Comunque alla consulenza tecnica di parte erano allegati i certificati di stato di famiglia storici e copie delle dichiarazioni dei redditi ed essi sarebbero stati consegnati al C.T.U., che, tuttavia, non ha fatto cenno ad essi.

Detti assegni sarebbero quindi dovuti e su di essi spetterebbero interessi e rivalutazione.

4.1.- Osserva la Sezione che il diritto alla percezione degli assegni familiari in favore degli assicurati sorge in capo a questi ultimi per la sola sussistenza delle condizioni di legge, avendo la richiesta finalizzata ad ottenerli la mera funzione di atto di avvio della procedura amministrativa che l’ente debitore è tenuto ad espletare e che sfocia in un accertamento avente natura non costitutiva ma dichiarativa del diritto, i cui effetti retroagiscono al momento in cui sono venute ad esistenza le condizioni normativamente previste (Cassazione civile, sez. lav., 2 settembre 2008, n. 22051).

E’ quindi da valutare irrilevante la mancanza di documentazione circa la esistenza di richiesta espressa da presentare ogni anno solare mediante un modulo recante dati quali i componenti del nucleo ed i loro redditi, posta dal C.T.U. di primo grado a giustificazione del mancato riconoscimento in capo al ricorrente del relativo diritto.

La sentenza che ha sul punto recepito le conclusioni del C.T.U. va quindi riformata e per l’effetto, in accoglimento, sullo specifico punto, dell’appello, va riconosciuto che per il periodo dall’1.11.1981 al 31.8.1991, al giudicato della sentenza della quale è chiesta l’ottemperanza non è stato dato seguito con riferimento al pagamento degli assegni familiari, oltre ad interessi e rivalutazione, persistendo il mancato adempimento al riguardo da parte del Comune di Ischia.

5.- L’appello deve essere conclusivamente in parte respinto ed in parte accolto, nei limitati termini di cui in motivazione, e deve essere riformata la prima decisione.

Deve, quindi, il Collegio, rilevata la parziale palese elusività degli atti posti in essere dall’Amministrazione intimata relativamente al pagamento degli assegni familiari al ricorrente nella misura concretamente spettante, imporre al Comune di Ischia, in persona del Sindaco in carica, un termine per dare corretta esecuzione alla sentenza di cui trattasi nei termini di cui in motivazione, scaduto il quale (Cons. St., Sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 41), in mancanza di provvedimenti che concretino esatto adempimento del giudicato, il procedimento di ottemperanza assume contorni simili ad una esecuzione forzata ex art. 2932 c.c. ed il Giudice amministrativo assume pienezza di poteri per la concreta esecuzione del giudicato, in via diretta o tramite un Commissario, restando l’Amministrazione esautorata dai suoi originari poteri, con possibilità per il Giudice di sovrapporre agli atti posti in essere dalla Amministrazione le proprie concrete determinazioni, ovvero di appropriazione in via confermativa.

Nell’ipotesi in cui l’Amministrazione non provveda a tanto entro detto termine il Collegio nomina sin d’ora un Commissario ad acta, nella persona Prefetto di Napoli, con facoltà di delega, perché provveda, in via sostitutiva, nell’ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni, adottando tutte le determinazioni e tutti gli atti ritenuti opportuni e necessari per l’integrale esecuzione del giudicato.

A tal fine il Commissario ad acta è autorizzato ad emettere, in nome e per conto di detta Amministrazione, ogni atto necessario per la concreta esecuzione del giudicato de quo.

6.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate, oltre che nella parziale reciproca soccombenza, il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, in parte respinge ed in parte accoglie l’appello in esame e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie parzialmente il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. e dichiara l’obbligo del Comune di Ischia di provvedere alla integrale ottemperanza alla sentenza di che trattasi nei limitati termini e con le modalità di cui in motivazione.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012

Redazione