Ricorso per cassazione avverso il decreto di archiviazione: va proposto entro 15 giorni dalla data di effettiva conoscenza (Cass. pen. n. 25019/2013)

Redazione 06/06/13
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Svolgimento del processo

1. Il 7.5.2008 il GIP di Barcellona Pozzo di Gotto disponeva l’archiviazione del procedimento originato da denuncia di B. G. nei confronti di R.D..

Con ricorso depositato il 20.12.12 nell’interesse del B., il difensore avv. *************** enunciava unico motivo di violazione di legge per l’omessa comunicazione alla persona offesa, che ne aveva fatto domanda, della richiesta di archiviazione proposta dalla parte pubblica. Argomentava in particolare che da certificazione della segreteria datata 16.10.12, rilasciata su istanza del medesimo difensore della persona offesa, B. aveva appreso dell’intervenuta archiviazione del procedimento, senza aver prima mai avuto la prescritta comunicazione.

2. Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per l’inammissibilità del ricorso in quanto tardivo.

2.1 Il 17 maggio è pervenuta memoria di replica ex art. 611 c.p.p..

La difesa del ricorrente deduce mancare alcun termine codicisticamente previsto per l’impugnazione e argomenta che in concreto la certificazione della procura, con data 16.10.12, sarebbe stata effettivamente ritirata solo il 20.11.12 come da attestazione in calce all’atto che allega, essendo poi il contenuto del fascicolo stato concretamente conosciuto dalla difesa solo il successivo 5 dicembre. Il termine dei quindici giorni dovrebbe pertanto decorrere dall’effettiva consultazione del fascicolo, indispensabile per le valutazioni di interesse alla proposizione eventuale del ricorso.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile perchè effettivamente tardivo.

Conseguente è pertanto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

3.1 Nell’atto di ricorso lo stesso ricorrente affermava di aver appreso notizia dell’archiviazione con la certificazione del 16 ottobre 2012, mentre il ricorso è stato depositato il 20 dicembre successivo.

Come esposto sub 2.1, nella memoria del 17.5.2013 è stato invece dedotto che solo in data 20.11.12 tale certificazione sarebbe stata materialmente ritirata e quindi conosciuta (con la memoria è prodotta copia di conforme attestazione di segreteria, che per il vero non trova riscontro negli atti, dove è presente solo la certificazione originaria, priva di tale successiva attestazione; sempre agli atti è invece la delega in data 5.12.12 a una collega per la visione del fascicolo, poi concretizzata con richiesta presentata il giorno 6.12.12).

3.2 Risulta tuttavia assorbente il rilievo che anche dando per acquisito che quella certificazione sia stata ritirata il giorno 20.11.12, da tale data decorrevano i termini per impugnare.

Va infatti condiviso e confermato l’insegnamento di questa Corte suprema che il termine del ricorso per cassazione avverso il decreto di archiviazione deliberato de plano, senza la necessaria preventiva comunicazione della relativa richiesta alla persona offesa che lo abbia tempestivamente richiesto, decorre dalla data di effettiva conoscenza dell’esistenza del decreto di archiviazione (per tutte, Sez.2, sent. 44391/2010, tra l’altro in fattispecie del tutto analoga; Sez. 6, sent. 8408/2013).

La conoscenza si ancora al fatto/notizia dell’intervenuta archiviazione, perchè già esso è per sè idoneo a consentire ogni diligente e tempestiva attivazione della persona offesa per l’acquisizione degli ulteriori elementi conoscitivi utili a indirizzare le proprie scelte nel procedimento. La pretesa del ricorrente, volta a collocare la decorrenza del termine al momento di successiva effettiva conoscenza anche del contenuto del provvedimento e alla conseguente rivalutazione degli atti, è manifestamente infondata. Assorbente è la considerazione che, in tal caso, la decorrenza del termine sarebbe lasciata al più assoluto arbitrio dell’interessato (che, con rilievo paradossale ma utile a confermare l’insostenibilità dell’assunto, potrebbe addirittura mai farlo decorrere astenendosi da ogni consultazione), il che risulta strutturalmente e sistematicamente incompatibile con l’intrinseca ratio della previsione di termini che debbono essere osservati a pena di inammissibilità della doglianza.

3.3 Quanto alla durata del termine, va confermata nei quindici giorni indicati dall’art. 585 c.p.p., lett. A), (per tutte: Sez. 6, sent. 47982/12).

Per almeno tre ragioni.

La norma prevede il termine di quindici giorni “per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio”. Ora, anche i provvedimenti adottati de plano sono esito di camera di consiglio: sul punto occorre infatti distinguere tra la camera di consiglio partecipata e quella in cui il giudice provvede su una richiesta senza alcuna partecipazione (in forma orale o scritta) delle parti.

In altri termini, anche per i provvedimenti de plano parrebbe più adeguato valorizzare l’aspetto camerale senza contraddittorio piuttosto che ritenerli provvedimenti adottati “senza procedimento alcuno” (Sez. 2, seni. 28613/2007). Nè la natura di decreto, piuttosto che di ordinanza, che caratterizza il singolo provvedimento potrebbe avere alcun rilievo specifico, afferendo tale distinzione vuoi all’intensità dell’obbligo di motivazione vuoi a scelta formale discrezionale del legislatore, piuttosto che a discriminare il rito, partecipato o meno. Del resto lo stesso art. 127 c.p.p., che disciplina il “procedimento in camera di consiglio”, prevede al nono comma l’ipotesi di adozione del provvedimento de plano.

In secondo luogo, espressamente in questo caso la violazione configurabile, e dedotta, è quella dell’art. 127 c.p.p., commi 1 e 5, (ex art. 409 c.p.p., comma 6, e art. 410 c.p.p.: ex SU sent. 2/1996), sicchè è ragionevole che il termine rilevante sia quello previsto per tale rito.

Da ultimo, proprio l’articolata disciplina dei termini indica nei quindici giorni il termine usuale quando non disposto diversamente in ragione di peculiarità del provvedimento da impugnare (Sez. 6, sent. 1663/2000; Sez.2, sent. 28613/2007).

3.4 Non ignora la Sezione che, come segnalato con la relazione dell’Ufficio del massimario presso questa Corte con data 26.3.2013, sul punto vi è anche un indirizzo difforme.

Secondo Sez. 5, sent. 1508/2011 la nullità di cui all’art. 127 c.p.p., in quanto insanabile, potrebbe esser fatta valere con ricorso per cassazione senza l’osservanza dei termini di cui all’art. 585 c.p.p..

Deve tuttavia rilevarsi che la motivazione della sentenza si risolve nella mera affermazione del principio, senza confronto con la maggioritaria diversa giurisprudenza e, specialmente, nulla dice sul punto, da ritenersi invece essenziale sul piano sistematico, se esista comunque un termine dalla conoscenza dell’atto entro il quale la patologia debba essere eccepita ovvero se non esista alcun termine, sicchè solo la maturazione della prescrizione del reato ipotizzato potrebbe far venir meno l’interesse (e la legittimazione) a proporre l’eccezione. Appare evidente che tale ultima soluzione apparirebbe del tutto asistematica (Sez. 2, sent. 28613/2007), a fronte del principio consolidato in materia processuale che anche la nullità assoluta ex artt. 178 e 179 c.p.p., non può più essere fatta valere dopo il decorso dei termini per l’impugnazione (per tutte, Sez. 5, sent. 7557/1999). E se ciò vale per la fase processuale, manifestamente irrazionale apparirebbe una soluzione diversa per la fase delle indagini.

Delle altre sentenze che sembrano sostenere questo diverso indirizzo, anche Sez. 1, sent. 18666/2008 e Sez. 2, sent. 46274/2003 non hanno affrontato tali questioni.

Neppure risulta convincente l’ulteriore argomentazione (Sez. 3, sent. 3618/1997), secondo cui l’inapplicabilità del termine ex art. 585 c.p.p., troverebbe giustificazione nella mancata previsione di un obbligo di notificazione del decreto di archiviazione alla persona offesa, attesa la natura giurisprudenziale dell’interpretazione analogica che sorregge il principio di impugnabilità del provvedimento, in questo caso. Infatti, proprio l’origine giurisprudenziale, e non normativa, della previsione dell’impugnabilità del provvedimento, determina l’assoluta coerenza dell’applicazione analogica, sempre nella medesima via giurisprudenziale, della pertinente disciplina che, oltretutto, nessun effetto negativo discriminante comporterebbe per l’interessato: da un lato, la notifica del provvedimento come forma legale di conoscenza da cui far decorrere il termine è certamente meno “garantista” della previsione di un’effettiva conoscenza dell’esistenza del provvedimento da impugnare; dall’altro, come già prima accennato, l’applicazione dei “normali” termini per l’impugnazione di provvedimento camerale costituirebbe “chiusura” assolutamente coerente al sistema.

Da ultimo, il termine di dieci giorni, indicato invece da Sez. 3, sent. 24063/2010, risulta affermato come “termine ordinario”, senza che tuttavia sia contestualmente indicata la fonte normativa dell’assunto.

3.5 Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto che il ricorso per cassazione avverso il decreto di archiviazione, la cui adozione non sia stata preceduta dalla notificazione della richiesta del pubblico ministero alla persona offesa che abbia tempestivamente dichiarato di voler essere informata, deve essere proposto entro quindici giorni dalla data di effettiva conoscenza dell’esistenza di tale decreto.

Risultando il ricorso de quo proposto fuori termine, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., si impone la dichiarazione di inammissibilità anticipata sub 3.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Redazione