Ricorso in cassazione – Esposizione sommaria dei fatti di causa – Onere processuale – Atti eteronomi – Inammissibilità (Cass. n. 3971/2012)

Redazione 13/03/12
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Svolgimento del processo

 

Con provvedimento depositato il 17 febbraio 2010 la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie ha respinto il ricorso proposto dal Dott. G.M. avverso la delibera dell’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bologna in data 21 aprile 2008, con la quale era stata comminata al predetto professionista la sanzione disciplinare della radiazione.

 

G.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, notificando l’atto all’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Bologna, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna e al Ministro della Salute. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

 

Motivi della decisione

 

1.1 Con il primo motivo l’impugnante lamenta violazione del principio del doppio grado di giurisdizione, e conseguente incostituzionalità/inapplicabilità del D.C.P.S. 13 settembre 1949, n. 233, art. 19, e D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 68, nella parte in cui non prevedono un doppio grado di giurisdizione piena, in contrasto con gli artt. 3, 10, 24 e 125 Cost.; 14, quinto comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato con legge n. 881 del 1977; 2 del Protocollo aggiuntivo, n. 7, della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.

 

1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51, artt. 2943 e 2945 c.c., L. n. 241 del 1990, artt. 4, 5, 6, 7 e 8, nonchè vizi motivazionali.

 

Le critiche si appuntano contro il rigetto dell’eccezione di prescrizione quinquennale dell’illecito disciplinare sollevata dall’incolpato, rigetto motivato dalla Commissione con l’assunto che il termine decorrerebbe dalla notizia della conclusione del procedimento penale. Non avrebbe il decidente considerato che il Consiglio dell’Ordine aveva già nel 2002 deliberato l’instaurazione di un procedimento disciplinare a carico del G. e che avrebbe dovuto pertanto comunque procedere nei suoi confronti.

 

1.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, comma 2, lett. a), art. 47, L. n. 241 del 1990, artt. 4, 5, 6, 7 e 8, artt. 24, 25 e 111 Cost., nonchè vizi motivazionali. Sostiene che del tutto apoditticamente la Commissione avrebbe affermato che l’incolpato era stato messo in condizione di difendersi, laddove mai gli erano stati contestati con chiarezza gli addebiti formulati nei suoi confronti.

 

1.4 Con il quarto mezzo prospetta violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 47, dell’art. 111 Cost., e vizi motivazionali. Secondo l’esponente mancherebbe, nel provvedimento impugnato, qualsiasi valutazione, sotto il profilo deontologico, delle condotte che gli erano state ascritte, condotte consistenti nell’aver prescritto a tre medici e a delle società sportive delle medicine, nessuna delle quali era illecita o era stata illecitamente venduta.

 

1.5 Con il quinto motivo l’impugnante denuncia violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, artt. 40 e 47, art. 111 Cost., e vizi motivazionali.

 

Assume che sarebbe stato violato il principio di gradualità e proporzionalità della sanzione inflitta ai fatti contestati.

 

2 Il ricorso è stato in un primo momento avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione dell’artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., con relazione che ne assumeva l’improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Nell’adunanza del 15 giugno 2001 la Corte ne ha tuttavia ordinato la rimessione all’udienza pubblica.

 

3 Va premesso che il collegio ritiene che ai ricorsi avverso le decisioni della Commissione Centrale degli Esercenti le Professioni Sanitarie non possa applicarsi il principio per cui – posto che a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il ricorrente, a pena di improcedibilità, ha l’onere di depositare copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, ove lo stesso espressamente o implicitamente alleghi che la sentenza o la decisione impugnata gli è stata notificata, ma si limiti poi a produrre una copia autentica della stessa, senza la relata di notificazione, l’impugnazione non sfugge alla sanzione dell’improcedibilità, salvo che la produzione non avvenga, entro il termine e con le modalità di cui al comb. disp. dell’art. 369 c.p.c., comma 1, e art. 372 c.p.c., comma 2, (confr. Cass. sez. un. 16 aprile 2009, n. 9005). A ben vedere, infatti, benchè il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 68, stabilisca che la decisione della Commissione è notificata a cura della segreteria, il rinvio al successivo art. 79 chiarisce che la notifica ha luogo con lettera raccomandata. Siamo dunque ben lontani dal modulo della notifica a mezzo posta, in cui l’ufficiale giudiziario scrive la relazione di notificazione sull’originale e sulla copia dell’atto, facendo menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento e presentandola quindi a questo in busta chiusa (L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 3). Il che, in disparte le questioni relative alla individuazione della fase essenziale del procedimento – se cioè vada considerata tale l’attività dell’agente postale (confr. Cass. civ. 14 ottobre 2009, n. 21762; Cass. civ. sez. un. 19 luglio 1995, n. 7821), ovvero quella dell’ufficiale giudiziario (confr. Cass. civ. 21 aprile 2009, n. 9377) – evidenzia l’assoluta disomogeneità delle due fattispecie, disomogeneità che preclude l’applicazione alla notifica di cui al D.P.R. n. 221 del 1950, art. 68, delle disposizioni processuali in materia di notificazione di atti processuali, con i connessi oneri adempitivi, prescritti a pena di improcedibilità. 4 Tanto premesso e precisato, il ricorso proposto è comunque inammissibile per inosservanza del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

 

E’ affermazione assolutamente consolidata nella giurisprudenza di questa Corte che la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo la quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, nè accenni all’oggetto della pretesa, limitandosi ad allegare, mediante spillatura, per intero il libello introduttivo e tutti gli atti successivi.

 

Tale modalità di redazione del ricorso, invero, lungi dal costituire applicazione della disposizione processuale testè richiamata e dei principi in tema di autosufficienza elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, contraddice la lettera e lo spirito della norma, la quale è preordinata ad agevolare la comprensione della materia del contendere, depurandola – alla luce dell’esposizione dei punti salienti degli scritti difensivi delle parti, dell’esito dei gradi precedenti nonchè del tenore della decisione impugnata – delle questioni non più controverse. Di talchè la spillatura, cartacea o elettronica che sia, affidando sostanzialmente ad atti eteronomi l’adempimento di un preciso onere processuale dell’impugnante e rendendo particolarmente indaginosa l’individuazione dei punti oggetto di contrasto e sui quali la Corte è chiamata a pronunciarsi, rende il ricorso passibile della sanzione dell’inammissibilità (confr. Cass. civ. 16 marzo 2011, n. 6279; Cass. sez. un. 17 luglio 2009, n. 16628). 5 Nella fattispecie il ricorrente ha esordito riportando per intero il verbale della sua audizione, avvenuta il giorno 13 ottobre 1998 e poi di seguito quello della riunione del Consiglio in seduta disciplinare del 16 novembre successivo. Ha proseguito riproducendo il contenuto delle comunicazioni dell’organo procedente; delle difese scritte presentate dai suoi avvocati; dei verbali delle sedute; della decisione del Consiglio, del ricorso alla Commissione Centrale; della pronuncia da questa resa, per poi approdare, finalmente alla esposizione delle censure.

 

Ma tale modalità di redazione del ricorso realizza esattamente quell’assemblaggio che la giurisprudenza di questa Corte sanziona con la declaratoria di inammissibilità. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

 

 

P.Q.M.

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla sulle spese.

Redazione