Riconosciuti l’indennizzo per il contagio da epatite per il pazienze in emodialisi (Cass. n. 9148/2013)

Redazione 16/04/13
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Svolgimento del processo

p.1. Il Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione contro E.C., nella qualità di erede del defunto P.B., avverso la sentenza del 25 luglio 2006, con la quale la Corte d’Appello di Cagliari, in funzione di Giudice del Lavoro, in accoglimento dell’appello della C. ed in riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Cagliari in funzione di giudice del lavoro il 28 luglio 2004, ha accolto la domanda della medesima intesa ad ottenere nella detta qualità l’assegno una tantum previsto dall’art. 2, comma 3, della legge 25 febbraio 1992 n. 210 ed ha condannato il ricorrente alla sua corresponsione con gli interessi legali dal centoventunesimo giorno dalla presentazione dell’istanza in via amministrativa.

p.2. Detta domanda era stata proposta dalla C. con ricorso al Tribunale del 1 agosto 2001, adducendosi: che il proprio coniuge P.B., affetto da insufficienza renale cronica trattata fin dal 1974 con dialisi, aveva contratto a causa di detta terapia dapprima l’epatite B e, quindi, una epatopatia cronica virale HVC, che ne aveva determinato il decesso il (omissis) ; che il Ministero aveva respinto la domanda amministrativa diretta ad ottenere la corresponsione dell’indennizzo ai sensi della detta normativa.

p.3. Il Tribunale, sulla base della consulenza esperita, per quanto ancora interessa, aveva rigettato la domanda reputando che le patologie epatitiche contratte dal de cuius fossero state contratte verosimilmente per il tramite del trattamento dialitico, ma che il contagio avvenuto attraverso tale tipologia di trattamento non fosse riconducibile alla fattispecie legale giustificativa dell’indennizzo richiesto, relativa all’emotrasfusione.

p.4. La Corte territoriale, sulla base delle risultanze dell’espletamento di una nuova consulenza tecnica d’ufficio, ha ribaltato l’esito del giudizio considerando invece il contagio da emodialisi ricompreso nella suddetta fattispecie.

p.5. L’intimata non ha resistito al ricorso.

 

Motivi della decisione

p.1. Il Collegio, preliminarmente, rileva che, inerendo ad impugnazione di una sentenza resa dal giudice del lavoro e della previdenza ed assistenza, il ricorso avrebbe dovuto assegnarsi alla Sezione Lavoro di questa Corte. Tuttavia, la congiunta considerazione che una rimessione al Primo Presidente del ricorso perché lo assegni a quella Sezione ritarderebbe, in conflitto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, l’esame del ricorso, nonché dell’assoluta ininfluenza dell’assegnazione alla Sezione Lavoro ai fini del rito processuale da seguirsi in questa sede di legittimità, che non presenta scostamenti da quello da seguire dalle sezioni ordinarie soprattutto ai fini della decisione, induce a dar corso alla decisione.

p.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione di legge in relazione agli artt. 7,1 comma e II comma lett. a) nonché 112 e 114 D.lgs. 112 del 31.3.1998; art. 360 n. 3 c.p.c”.

Sulla premessa che si tratterebbe di questione formulabile per la prima volta in questa sede di legittimità, perché si tratterebbe “di accertare non già l’effettiva titolarità del rapporto sostanziale per cui è causa (questione, questa, che attiene al merito e sarebbe ormai preclusa dalla mancata tempestiva proposizione nei precedenti gradi di giudizio) bensì di accertare – ai fini della verifica della ritualità dell’instaurazione del contraddittorio – l’astratta coincidenza fra le parti in causa (attore e convenuto) e coloro che secondo la legge regolatrice del rapporto controverso – sono destinatali della sentenza”, vi si sostiene, con corredo di corrispondente quesito di diritto, che il Ministero non sarebbe stato legittimato passivo all’azione, perché tale sarebbe stata la Regione Sardegna. Ciò, perché in relazione ai giudizi, aventi ad oggetto istanze di riconoscimento dell’indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992, presentate in via amministrativa in data precedente il 1 gennaio 2001 ovvero il 21 febbraio 2001 e non ancora definite a quelle date, la legittimazione passiva alla successiva azione giudiziaria sarebbe stata delle Regioni.

p.2.1. L’assunto è fondato innanzitutto sull’allegazione che nella fattispecie si tratterebbe di “un caso in cui – come si evince dal ricorso introduttivo – l’istanza è stata infruttuosamente presentata dall’interessato in sede amministrativa in epoca anteriore al 1.1.01 (data a decorrere dalla quale l’esercizio delle funzioni in materia transita alla regione), e non definita all’epoca del suddetto transito (pag. 2 del ricorso di primo grado, punti da 5 a 7)”.

La sua illustrazione prosegue, poi, con una serie di argomentazioni, che si sforzano di dimostrare l’assunto ripercorrendo la vicenda normativa in materia, a partire dalla l. n. 59 del 1997 e dall’art. 114 del d.lgs. n. 112 del 1998, nonché dall’art. 7 di tale d.lgs., e, quindi, evocando il D.P.C.M. 26 maggio 2000, quanto agli artt. 3, comma 1, e 2 n. 4, l’Accordo Governo/Regioni dell’8 agosto 2001 ed in fine il D.P.C.M. 8 gennaio 2001.

p.2.2. Il Collegio osserva che la questione posta nel motivo è ammissibile, ancorché prospettata per la prima volta in questa sede di legittimità.

Lo è sulla base del principio di diritto secondo cui “Il difetto di legittimazione attiva o passiva, da valutarsi in base allo schema normativo astratto al quale si riconduce il diritto fatto valere in giudizio, è questione che, pur risultando decisiva per l’esistenza della titolarità di tale diritto (e, dunque, afferendo in senso lato al merito), è rilevabile anche in sede di legittimità alla duplice condizione che non si sia formata sulla sua esistenza cosa giudicata interna (per essere stato il punto ad essa relativo oggetto di discussione e poi di decisione rimasta priva di impugnazione) e che la questione emerga sulla base dei fatti legittimamente prospettati davanti alla Corte di cassazione e, dunque, nel rispetto dei limiti entro i quali deve svolgersi l’attività deduttiva della parti negli atti introduttivi del giudizio di cassazione”. (da ultimo così Cass. n. 23568 del 2011, dove si trova ampia analisi dello stato della giurisprudenza della Corte ed anche si rafforza l’argomentazione al lume di Cass. sez. un. n. 26019 del 2008, in punto di limiti del c.d. giudicato implicito dopo l’arresto di cui a Cass. Sez. Un. n. 24483 del 2008).

p.2.3. Il motivo è, tuttavia, inammissibile, perché si fonda su un atto processuale, il ricorso introduttivo della lite, riguardo al quale non si fornisce l’indicazione specifica nei termini di cui alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (inaugurata da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e subito avallata da Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e di seguito da Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 con specifico riferimento all’onere per gli atti processuali): infatti, pur indicando la parte del ricorso introduttivo della lite da cui risulterebbe quanto allegato, non assolve completamente a quanto richiesto dalla norma, in quanto non precisa se e dove sarebbe esaminabile l’atto di cui trattasi ed in particolare non dice se esso sia esaminabile, perché prodotto, agli effetti del secondo comma n. 4 dell’art. 369 c.p.c., nel fascicolo del ricorrente oppure se si sia inteso fare riferimento (come ammesso da Cass. sz. Un. n. 22726 cit.) alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice d’appello (per il che si sarebbe dovuto fornire anche precisazione di dove in esso l’atto sarebbe stato rinvenibile, tenuto conto che esso sarebbe stato, in ipotesi, presente nel fascicolo d’ufficio di primo grado se acquisito dal giudice d’appello).

p.2.4. Il motivo sarebbe stato, comunque, ove lo si fosse potuto esaminare, privo di fondamento, al lume del principio di diritto, enunciato a composizione del contrasto anzitempo esistente in seno alla Sezione Lavoro della Corte, da Cass. sez. un. n. 23358 del 2011 nel senso che “In tema di controversie relative all’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210 in favore di soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio, sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute, in quanto soggetto pubblico che, analogamente, decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale”. Alle motivazioni di questa decisione, che si fa ampio carico delle argomentazioni su cui si fonda il motivo – redatto prima di essa – è sufficiente far rinvio.

p.3. Con il secondo motivo si deduce “violazione di legge in relazione all’art. 1, comma 1, e 3, della l. 210/92”, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

Il motivo è concluso dal un quesito di diritto che pone alla Corte la questione del se sia indennizzabile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1, primo e secondo comma della l. n. 210 del 1992, il danno da epatite irreversibile cagionato da trattamento dialitico.

p.3.1. Il motivo è infondato.

Vi si censura la sentenza impugnata perché avrebbe erroneamente ritenuto compresa la fattispecie nell’ambito della tutela di cui all’art. 1, comma 3, della 1. n. 210 del 1992 sull’assunto che la previsione in esso contenuta, là dove dispone che “i benefici di cui alla presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti postrasfusionali”, ancorché nella fattispecie, come sarebbe emerso dalla c.t.u. di appello, il contagio fosse derivato non da una trasfusione eterologa bensì dal reinserimento nel corpo del de cuius, come è tipico della pratica della emodialisi, del suo stesso sangue, che si sarebbe infettato per contatto con sangue etcrologo nel c.d. “rene artificiale”, prima della reimmissione.

In pratica si sostiene che la norma dell’art. 1, comma 3, sarebbe applicabile solo nel caso di contagio determinato da trasfusioni di sangue eterologo.

p.3.2. Ora, il Collegio non ignora che il motivo sarebbe fondato sulla base dell’unico precedente che risulta nella giurisprudenza di questa Corte e particolarmente della Sezione Lavoro, che, successivamente alla proposizione del ricorso, ha così statuito: “L’art. 1 della legge n. 210 del 1992 – che prevede l’erogazione di un indennizzo da parte dello Stato a favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue – mira a tutelare il rischio che il donatore sia affetto da una infezione che venga trasmessa al donatario attraverso una trasfusione, nozione che, pertanto, non ricomprende la cosiddetta autotrasfusione ovvero la circolazione extracorporea del sangue, dovendosi escludere che il soggetto a cui venga iniettato il proprio sangue rischi di contrarre infezioni nuove rispetto a quelle di cui è portatore. Né può ritenersi ammissibile una interpretazione analogica della normativa – che si fonda su specifici presupposti e consente l’attribuzione di benefici economici con onere per le pubbliche risorse – non potendosi invocare, in senso contrario, l’orientamento espresso dalla Conferenza Stato-Regioni, le cui linee guida non costituiscono fonte normativa idonea a modificare la legge formale. (Nella specie, relativa ad un caso di contagio HCV da parte di paziente emodializzato, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha pure rilevato che, ove si ipotizzasse che una patologia fosse stata cagionata in ragione dell’insufficiente “pulizia” della macchina per emodialisi dalle sostanze lasciate da altro paziente, la fonte del risarcimento andrebbe individuata nella responsabilità contrattuale che lega l’azienda ospedaliera al paziente e non nella legge n. 210 del 1992)” (Cass. n. 17975 del 2008).

Tale principio di diritto è stato affermato dalla Sezione Lavoro sulla base della seguente motivazione: “La L. n. 210 del 1992 prevede la corresponsione di indennizzi a favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o da trasfusioni di sangue. Per trasfusione deve intendersi il passaggio di sangue da una ad altra persona, o direttamente o previa raccolta e conservazione del sangue e somministrazione dello stesso o di un suo derivato ad un utilizzatore. Non rientra nel concetto di trasfusione il prelevamento del sangue da un soggetto e l’iniezione dello stesso sangue nella stessa persona (autotrasfusione ovvero circolazione extracorporea). In questo caso, manca a tacer d’altro il rischio che la legge ha inteso tutelare, vale a dire il rischio che il donatore sia affetto da una infezione la quale viene trasmessa al donatario. Un soggetto che riceve il suo sangue non può essere soggetto a rischio di contrarre nuove infezioni rispetto a quelle di cui è portatore. Ove si ipotizzi che la macchina destinata a ripulire il sangue dell’emodializzato sia sporca per altre sostanze lasciate da altro paziente, la fonte del risarcimento del danno non sarà la L. n. 210 del 1992, ma la responsabilità contrattuale per danni che lega l’azienda ospedaliera al paziente. 9. L’accoglimento della domanda attrice comporta una estensione della legge, secondo il tenore delle parole adoperate dal legislatore, oltre il contenuto della stessa e quindi una interpretazione analogica, che è inammissibile in quanto trattasi di normativa che attribuisce benefici a valere su risorse pubbliche e sulla base di determinati presupposti.

10. Le linee guida eventualmente approvate dalla conferenza Stato- Regioni non costituiscono fonte normativa atta a modificare la legge formale e pertanto di esse non può tenersi conto per estendere la portata della legge oltre il suo tenore letterale e ideologico. Trattasi di linee da utilizzare de iure condendo onde venire incontro ad aspettative, peraltro comprensibili, degli emodializzati.

11. Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato”.

Questo Collegio, peraltro, senza necessità di prendere posizione sulla condivisibilità dell’orientamento interpretativo espresso dalla Sezione Lavoro (che, per la verità, sarebbe stata più che dubbia, atteso che esso omise di considerare le conseguenze sull’esegesi del comma 3, dell’art. 1, della pronuncia di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, che aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede che i benefici previsti dalla legge stessa spettino anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti”, e la lettura delle cui motivazioni avrebbe dovuto suggerire una diversa esegesi della norma o altrimenti di prospettare questione di costituzionalità della stessa), ritiene, però, esso sia stato superato proprio da sopravvenienze normative verificatesi successivamente alla pronuncia le 2008 per effetto di pronunce di incostituzionalità di natura additiva della Corte Costituzionale, le quali hanno fatto assumere alla norma dell’art. 1, comma 3, della L. n. 201 del 1992 un significato che ora, letto alla luce delle addizioni, consente all’interprete di pervenire ad una soluzione opposta a quella della Sezione Lavoro e ciò anche mantenendo la struttura motivazionale che Essa usò nell’affrontare il problema esegetico in allora.

La circostanza che alla diversa interpretazione si pervenga ora sulla base delle sopravvenienze normative che si verranno esponendo esclude, d’altro canto, l’opportunità di una rimessione alle Sezioni Unite, dato che non ci pone in contrasto con il suddetto precedente, ma in continuità con esso.

p.3.3. Ciò premesso si osserva che Corte Costituzionale n. 28 del 2009 ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3,della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni), nella parte in cui non prevede che i benefici riconosciuti dalla legge citata spettino anche ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti da epatite contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue”.

Il Giudice delle Leggi, per pervenire alla declaratoria di illegittimità, della quale era investito sotto il riflesso che l’art. 1, comma 3, contrastava “con l’art. 3 della Costituzione per l’irragionevole disparità di trattamento che essa determina tra i soggetti che abbiano contratto l’epatite a seguito di somministrazione di emoderivati, ai quali non è riconosciuto alcun indennizzo, e coloro che abbiano contratto l’infezione da HIV per la medesima ragione, ai quali la legge, invece, accorda il beneficio” nonché per “la violazione degli artt. 2, 32 e 38 della Costituzione dal momento che non vi sarebbero ragioni per cui la tutela della salute e l’assistenza sociale correlata siano escluse per i soggetti che subiscano danni irreversibili derivanti da epatiti contratte a seguito di somministrazione di derivati del sangue”, ha osservato quanto segue:

“2. – La questione è fondata. L’art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 210 del 1992 riconosce una misura di sostegno economico in favore dei soggetti che abbiano subito danni a seguito di taluni interventi terapeutici. In particolare, è previsto un indennizzo in favore di coloro che siano stati contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati, nonché in favore degli operatori sanitari che a causa del contatto con sangue e derivati siano stati contagiati dalla medesima infezione. Il comma 3 dell’art. 1 della legge n. 210 citata riconosce, altresì, l’indennizzo in favore di coloro che abbiano subito danni irreversibili da epatite contratta a seguito di trasfusione. Con la sentenza n. 476 del 2002 questa Corte ha riconosciuto analogo beneficio anche in favore degli operatori sanitari che in occasione del servizio e durante il medesimo abbiano riportato danni permanenti conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatite. Dunque, dalla disciplina complessiva del 1992 emerge che, mentre l’indennizzo è sempre riconosciuto nel caso di soggetti che abbiano contratto infezioni da HIV, siano esse derivate dalla somministrazione di sangue ovvero di emoderivati, ai soggetti che abbiano contratto l’epatite il beneficio è concesso solo nel caso in cui la malattia sia conseguita a trasfusione, ovvero, se si tratta di operatori sanitari, nelle ipotesi di contatto con il sangue o suoi derivati. Resta priva di tutela, invece, l’ipotesi, oggetto del giudizio a quo, in cui l’infezione da epatite sia conseguita alla somministrazione di emoderivati. Dunque, con riguardo a tale caso, si interrompe il parallelismo con la disciplina prevista a favore dei soggetti affetti da infezione da HIV (sentenza n. 476 del 2002). Come già riconosciuto da questa Corte, il beneficio previsto dell’art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 210 del 1992 consiste in una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua degli artt. 2 e 38 della Costituzione, a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996). Esso trova il proprio fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari fino ad allora predisposti in questo specifico settore (sentenza n. 476 del 2002), e come tale si impone anche a favore di coloro che, allo stato dell’attuale legislazione, ne siano irragionevolmente esclusi, nonostante che ricorra la medesima ratio ora indicata. Il mancato riconoscimento dell’indennizzo a favore di coloro che abbiano contratto l’epatite a seguito di somministrazione di emoderivati non trova alcuna ragionevole giustificazione, dal momento che, del tutto immotivatamente, tale fattispecie resta priva di tutela”.

Ebbene, la pronuncia di incostituzionalità n. 28 del 2009 ha ormai fatto assumere alla norma del comma 3 dell’art. della l. n. 210 del 1992 un contenuto che, ammettendo la spettanza del beneficio nel caso di contagio da emoderivati e, quindi, con riguardo ad una fattispecie che prescinde dal concetto stesso di “trasfusione”, rende pienamente possibile come interpretazione costituzionalmente orientata ed anzi doverosa sul piano costituzionale, senza bisogno di sollevare una nuova ennesima questione di costituzionalità (tenuto conto che sovente la Consulta sanziona con l’inammissibilità ordinanze di rimessione di questioni incidentali che non praticano l’interpretazione costituzionalmente orientata, se possibile), un’esegesi della norma nel senso di comprendere una fattispecie di contagio da emodialisi, che si presenta con elementi di molto maggiore contiguità rispetto a quella originaria della norma, prima della declaratoria di incostituzionalità e che anzi quella contiguità presentava già con riferimento alla fattispecie introdotta in via additiva da Corte cost. n. 476 del 2002.

Si aggiunga che indurrebbe allo stessa conclusione l’ulteriore intervento, sia pure mirato sul comma 1 dell’art. 1 di cui a Corte costituzionale n. 107 del 2012, che nel dichiarare “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro i quali abbiano subito le conseguenze previste dallo stesso articolo 1, comma 1, a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia”, ha ulteriormente evidenziato che l’impianto generale della legge n. 210 del 1992, alla luce dev’essere letto alla luce dei principi costituzionali e, dunque, in modo da assegnare alle fattispecie astratte il massimo significato possibile.

In base alle considerazioni svolte, il motivo risulta allora infondato sulla base del seguente principio di diritto: “L’art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992, a seguito della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 28 del 2009, dev’essere interpretato, alla luce del complessivo significato che la norma ha assunto, anche per effetto della combinazione della nuova additiva con la precedente di cui a Corte Costituzionale n. 476 del 2002, ed alla stregua del criterio di esegesi che impone di intendere le norme in modo conforme a Costituzione, nel senso che il rischio per cui prevede l’indennizzo comprende anche l’ipotesi in cui il contagio sia derivato dalla contaminazione del sangue proprio del contagiato durante un’operazione di emodialisi, a causa di una insufficiente pulizia della macchina per emodialisi dalle sostanze ematiche lasciate da altro paziente, con la conseguenza che al contagiato compete l’indennizzo di cui alla norma”.

p.4. Il ricorso è conclusivamente rigettato.

p.5. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Redazione