Richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato: la dichiarazione consolare non è condizione di ammissibilità (Cass. pen. n. 2828/2013)

Redazione 18/01/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Asti ha dichiarato inammissibile la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato avanzata da B. I.. Lo stesso Tribunale ha respinto pure l’opposizione proposta contro il provvedimento in questione.

2. Ricorre per cassazione l’interessato. Si espone che la domanda era accompagnata da ampia documentazione attestante la risalente permanenza in Italia, la residenza, la richiesta di cittadinanza, la costituzione di un nucleo familiare. Il provvedimento impugnato, si assume, non ha preso in esame le questioni dedotte.

Inoltre, la dichiarazione consolare non è condizione di ammissibilità della domandata e può essere surrogata da dichiarazione sostitutiva. Il diritto invocato va riscontrato alla stregua della situazione patrimoniale ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 79 e 96, senza discriminazioni nei confronti dell’extracomunitario.

3. Il ricorso è infondato; non riscontrandosi il vizio di violazione di legge.

Il provvedimento impugnato espone che l’art. 79 del richiamato D.P.R. richiede che il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione Europea correda l’istanza con certificazione consolare che attesta la verità di quanto dichiarato in ordine al redditi prodotti all’estero. Inoltre, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, la dichiarazione consolare deve specificare quali sono gli elementi concreti acquisiti, tali da confortare l’asseverazione.

Nel caso di specie l’autorità consolate tunisina si è limitata a dichiarare che la certificazione è veridica “per quanto a conoscenza”. In conseguenza non vi sono elementi di giudizio affidabili quanto ai rediti all’estero, con la conseguenza che la domanda non può essere accolta.

A tale riguardo è sufficiente rammentare che la giurisprudenza costituzionale, con la sentenza n. 219 del 1995, in relazione alla previgente disciplina della materia ha ritenuto l’irragionevolezza intrinseca della disciplina dell’onere documentale perchè il legislatore, se da una parte nella sua discrezionalità può individuare in termini analoghi per il cittadino e per lo straniero la situazione reddituale che definisce la condizione di non abbienza come presupposto per la spettanza del beneficio, non può però rinunciare solo per lo straniero a prevedere una qualche verifica e controllo che non siano legati unicamente all’eventualità, meramente ipotetica e casuale, che all’autorità consolare già risultino elementi di conoscenza utili a valutare l’autocertificazione del presupposto. Si è pertanto ritenuto che l’autorità consolare, se vuole rendere una attestazione utile in favore dell’interessato, non può più limitarsi a raffrontare rautocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi) ha (non certo l’obbligo, ma) l’onere (implicito nella riferibilltà ad essa di un atto di asseveramento di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell’autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti. Il principio in questione, sebbene espresso con riguardo alla previgente disciplina, pone un’enunciazione di carattere generale che orienta senz’altro pure l’interpretazione della legislazione vigente; con la conseguenza che il provvedimento impugnato si rivela conforme alla legge.

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione