Revoca provvedimento amministrativo: presupposti (Cons. Stato n. 2485/2013)

Redazione 08/05/13
Scarica PDF Stampa

FATTO

Si deve premettere che l’appellante:

— già in servizio dal 6.6.1993 quale agente di Polizia penitenziaria fu inquadrato nei ruoli civili, a causa dei “postumi di intervento in artroscopia T.T. sx per lacerazione parziale del legamento peroneo-gastralgico anteriore con instabilità residua”;

— a seguito della guarigione, ed in ragione dell’accoglimento da parte del TAR Lazio (Sez. I- quater 28.9.2005, n. 7609) di un precedente gravame (n. 13999/02) avverso un pregresso diniego, fu successivamente riammesso in servizio presso il Corpo di Polizia penitenziaria.

Con il presente gravame chiede l’annullamento della sentenza con cui il suo ricorso di primo grado:

_ 1. è stato dichiarato inammissibile nella parte in cui l’atto censurato ha fissato al 16.12.2007 la decorrenza giuridica ed economica della sua promozione alla qualifica di assistente della Polizia penitenziaria, che invece, secondo l’appellante, avrebbe dovuto essere anteposta al momento del diniego annullato e quindi al 6.6.2003;

_ 2. è stato respinto nella parte relativa alle domande:

_2.a. di restitutio in integrum delle differenze stipendiali fra quanto percepito in qualità di agente scelto e quanto gli sarebbe spettato in relazione alla qualifica di assistente di polizia penitenziaria se fosse stato correttamente computato il periodo in cui era indebitamente restato nei ruoli civili, ed altresì, a titolo di risarcimento del danno, quale lucro cessante, delle differenze stipendiali tra quanto percepito per aver prestato la propria attività lavorativa quale collaboratore e quanto avrebbe dovuto percepire, considerando la sua appartenenza al Corpo di Polizia penitenziaria;

_ 2.b. di risarcimento dei danni, pari alle differenze stipendiali fra quanto percepito in qualità di operatore amministrativo e quanto spettantegli in relazione alla qualifica di agente scelto prima, e di assistente poi, per il periodo intercorrente fra la data di decorrenza dalla dispensa dal servizio disposta dal D.M. del 5.2.2003, poi revocato dalla P.A. o, in subordine, dalla data dell’istanza di riammissione in servizio ovvero comunque da quella di effettiva conclusione del procedimento introdotto con l’istanza di riammissione fino all’effettiva riassunzione.

Con un’unica articolata rubrica di gravame l’appellante deduce tre profili sostanziali di censura relativi alla violazione dell’art. 10 e 80 del D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, nonché all’eccesso di potere per difetto di motivazione sotto molti profili.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, la quale ha contestato le argomentazioni dell’appellante e, comunque la sua infondatezza, concludendo per il rigetto del ricorso.

Chiamata all’udienza pubblica,uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

 

DIRITTO

L’appello è infondato.

_ 1. Con il primo motivo si assume l’erroneità della declaratoria di inammissibilità del ricorso in primo grado fondata sul rilievo per cui l’atto lesivo della posizione giuridica del ricorrente non sarebbe stato l’atto gravato, in quanto in toto vincolato, bensì quello antecedente di riammissione in servizio del 15.12.2006 — che nel disporre la “revoca” del decreto di passaggio ai ruoli civili ne fissava la relativa decorrenza — tuttavia non è stato mai impugnato nel termine.

La sentenza, in base al solo nomen juris, avrebbe erroneamente qualificato la riammissione in servizio come “revoca” del provvedimento — che presuppone l’inopportunità e che ha un’operatività irretroattiva e quindi come atto di ritiro adottato per motivi di legittimità ed opportunità – e non come “autoannullamento” che ha effetti ex tunc.

Di qui il suo diritto alla decorrenza dalla data in cui, se egli non fosse stato trasferito nei ruoli civili e se non fosse stato leso dal decreto di riammissione in servizio, sarebbe maturata la sua promozione. La lesione non sarebbe in alcun modo derivata dal decreto del 2006 che né determinava la decorrenza economica, né ricostruiva la carriera dell’appellante.

L’assunto non convince.

Come la Sezione ha avuto nodo di ricordare (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 31 maggio 2012 n. 3262), ai sensi dell’art. 21 quinquies l. 7 agosto 1990 n. 241 (introdotto dall’art. 14 l. 11 febbraio 2005 n. 15), i presupposti che, in via alternativa, legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca, in senso tecnico, di un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole da parte dell’Autorità emanante sono rispettivamente;

a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse,

b) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario;

c) mutamento della situazione di fatto.

A quest’ultima ipotesi deve essere ricondotto il caso in esame. La revoca era stata adottata in immediata esecuzione di una sentenza del giudice amministrativo n. 7609/2005. Tuttavia il TAR — nel ritenere illegittima, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, la preclusione ex lege alla riammissione del ricorrente nel Corpo della Polizia penitenziaria — non aveva toccato specificamente la questione dell’effettiva idoneità dello stesso ad assolvere le funzioni proprie del servizio di istituto.

Pertanto il provvedimento con cui si poneva nel nulla il passaggio al ruolo civile non poteva essere configurabile in termini di “annullamento”, in quanto tale fattispecie presuppone l’illegittimità di un atto presupposto, che nel caso non sussiste.

Il transito ai ruoli civili era stato conseguenza non di un atto illegittimo dell’amministrazione, ma da un’infermità invalidante che aveva afflitto il ricorrente.

Per questo, nel caso in esame, è esatta la qualificazione del provvedimento in termini di “revoca” ex art. 21 quinquies cit., in quanto: a) il transito ai ruoli civili era originariamente legittimo siccome conseguente all’inidoneità fisica ai servizi di istituto; b) sennonché, a seguito dell’evoluzione positiva delle condizioni sanitarie del dipendente, detto transito non corrispondeva più alla situazione di fatto dell’interessato, il che appunto giustificava la “revoca”.

In conseguenza ha ragione il primo giudice quando ricorda che:

— la revoca ha per sua natura effetto ex nunc, per cui non può comportare la retrodatazione degli effetti;

— nel caso in esame il termine “revoca” è stato esattamente utilizzato dall’amministrazione, perché “… lo status precedentemente posseduto dal ******* è stato rimosso non già per illegittimità del provvedimento che lo aveva statuito, bensì per la sopravvenienza di una diversa situazione in fatto – la sua guarigione – che ha comportato la sua idoneità, accertata dall’organo dell’Amministrazione a ciò competente, ad assumere la nuova posizione nella Polizia penitenziaria”.

In tale prospettiva, l’esigenza di impugnare tempestivamente il decreto del 2006 derivava in realtà dalla necessità impedire il consolidamento del predetto, relativamente alla fissazione della data di decorrenza della riammissione.

In assenza di disposizioni speciali (che qui non risultano), tale momento aveva comunque rilievo decisivo ai fini giuridici, economici, e di carriera a prescindere dal momento in cui sarebbero stati adottati i conseguenti atti di inquadramento stipendiale e di inserimento in ruolo.

In simile ipotesi, in assenza di una specifica disposizione di legge, non è, infatti, possibile concepire un servizio nella Polizia Penitenziaria utile ai fini dell’avanzamento che possa essere computato antecedentemente alla decorrenza fissata in sede di rientro nel Corpo.

In sostanza, il decreto 2006 avrebbe dovuto essere impugnato nei termini dall’appellante, in quanto la riammissione al 15.12.2006 restava definitivamente fissata — senza alcuna possibilità di successive variazioni — la data della ripresa del servizio a tutti i fini, ivi compresa anche la decorrenza del periodo necessario per maturare il passaggio al ruolo di assistente ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 443 del 1992.

In conclusione, esattamente, dunque, il Tar ha concluso per l’inammissibilità del gravame per la mancata impugnazione dell’atto di rientro.

_2. Nel merito possono essere esaminate congiuntamente le restanti doglianze con cui si sottolinea l’erroneità della sentenza, che si porrebbe in contrasto con quanto affermato precedentemente dallo stesso giudice relativamente alla necessità di “un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 80 del D. Lgs. n. 432/1992”, e poi confermato anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 294 del 13 novembre 2009 dichiarante l’illegittimità costituzionale in parte qua della predetta norma.

Il primo giudice non avrebbe motivato a sufficienza sul fatto che l’amministrazione avrebbe illegittimamente disposto la promozione dell’appellante della qualifica di “assistente di polizia penitenziaria” solo a decorrere dal 16.12.2007, pregiudicandogli così la possibilità di essere ammesso già nel corso del 2008 allo scrutinio per la promozione alla qualifica di “assistente capo” per cui occorrono ulteriori cinque anni di servizio. Erroneamente il primo giudice avrebbe anche ritenuto privo di responsabilità il comportamento dell’amministrazione, che avrebbe preteso le dimissioni del signor C. dai ruoli civili per adottare la riammissione in servizio.

L’integrale esecuzione del giudicato derivante dall’annullamento dell’atto di diniego avrebbe imposto una ricorrenza a partire dalla data di presentazione dell’istanza di ammissione o comunque da quella di comunicazione del provvedimento di rigetto, causando così un incomprensibile ritardo nella progressione in carriera con notevoli danni sotto il profilo del lucro cessante: differente stipendiali e tutti i compensi e le altre indennità collegati alle mansioni.

Entrambi i capi di doglianza vanno respinti.

In primo luogo, quanto all’asserita responsabilità dell’amministrazione, si deve rilevare che il diniego annullato dal Tar era comunque stato emesso sulla base dell’interpretazione letterale di una norma di legge, solo successivamente dichiarata incostituzionale.

Si deve escludere una qualsiasi violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 7609/2005, dato che l’annullamento del primo diniego era stata dichiarata in linea di principio, cioè facendo salva la successiva verifica delle effettive condizioni di salute dell’interessato.

Il successivo provvedimento con cui è stato posto nel nulla il suo passaggio ai ruoli civili era derivato non da un’illegittimità specifica di tale transito, ma dalle conseguenze di un’infermità invalidante guarita solo successivamente, e soprattutto dall’applicazione di una norma di legge all’epoca cogente.

Inoltre la decorrenza del provvedimento di riammissione (adottato il 15.12.2006) era stata correttamente fissata al 15.2.2006, ancorandolo così al momento preciso del riconoscimento dell’idoneità fisica al servizio della ricorrente espresso dalla competente commissione medica.

Il che esclude dunque sul piano della colpa anche la sussistenza di una semplice negligenza dell’amministrazione.

I restanti profili delle presenti censure non tengono conto che l’art. 10 del D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 443, nel disciplinare le promozioni ad agente scelto e ad assistente, prevede che gli agenti rispettivamente interessati abbiano comunque “..prestato cinque anni di effettivo servizio, “ivi compreso il periodo di frequenza del corso…”.

Sulla scia della giurisprudenza formatasi in relazione a tutte le disposizioni con identica formulazione di quella in esame — che utilizzano cioè l’espressione letterale “servizio effettivo” — deve affermarsi che, in tali ipotesi, la prescrizione di un’anzianità minima necessaria di permanenza in una determinata qualifica è prevista come condizione necessaria di carattere oggettivo per conseguire l’avanzamento nel Corpo.

La prestazione lavorativa in un determinato profilo, per aver giuridico rilievo, deve essere realmente effettuata per la durata prestabilita e non può essere mai computata figurativamente, in quanto la fattispecie “servizio effettivo” (qualificata da un aggettivo particolare) ha la finalità di garantire il naturale incremento di professionalità che, in uno specifico quadro organizzativo ed ordinamentale, è normalmente legato all’espletamento delle attività e delle mansioni connesse alla qualifica inferiore (arg. ex Consiglio di Stato sez. V 20 aprile 2012 n. 2313; Consiglio di Stato sez. IV 09 luglio 2011 n. 4135 ; Consiglio Stato sez. V 09 febbraio 2010 n. 623; Consiglio Stato sez. IV 24 aprile 2009 n. 2618).

Pertanto legittimamente l’amministrazione, una volta fissata la decorrenza giuridica dell’immissione nei ruoli della polizia penitenziaria, ai fini del computo del periodo per l’avanzamento nel grado ha tenuto conto solo dei periodi di servizio prestati presso la polizia penitenziaria ed ha escluso il tempo concernente le sue prestazioni nei ruoli civili.

Tali rilievi in definitiva confortano, quanto meno la mancanza dell’elemento soggettivo costitutivo della colpa di cui all’art. 2043 c.c.

Entrambi i motivi vanno dunque respinti.

_ 3. Per le considerazioni esposte, l’appello è infondato in tutti i suoi motivi ed, in conseguenza, la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata.

Le spese del presente giudizio, in relazione alla particolarità delle questioni trattate e dalla natura di lavoro delle medesime, possono tuttavia essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

_ 1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto;

_2. spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013

Redazione