Revoca delle funzioni per il giudice di pace “in guerra” con il legale patrocinante nello stesso foro (Cass. n. 10413/2013)

Redazione 06/05/13
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Svolgimento del processo

Il Consiglio Superiore della magistratura con provvedimento del 24 ottobre 2007 ha deliberato la revoca del ********** dalle funzioni di giudice di pace, poi effettivamente irrogata dal Ministro della Giustizia con Decreto 19 novembre 2007, condividendo il parere del Consiglio giudiziario costituto presso la Corte di appello di Venezia, che aveva accertato una sequela di esposti, querele e denunce tra detto funzionario onorario e l’avv. L.M., attestanti comportamenti animosi e non conformi ai caratteri di indipendenza ed equilibrio del magistrato; nonchè comportamenti palesemente inadeguati sul piano professionale ammessi dallo stesso C., in occasione della mancata concessione di un decreto ingiuntivo richiesto dall’avv. B..

L’impugnazione del C. è stata respinta prima dal TAR Lazio, e poi dal Consiglio di Stato che con sentenza dell’1 dicembre 2011, pur dando atto che l’incolpato aveva in realtà proposto una sola querela nei confronti dell’avv. L.M., ha confermato che le due vicende avevano avuto un riflesso negativo sulla credibilità ed affidabilità delle funzioni giudiziali svolte dal magistrato.

Per la cassazione della sentenza quest’ultimo ha proposto ricorso per un motivo; cui resiste il C.S.M. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il ricorso il ********, deducendo violazione dell’art. 111 Cost. e art. 362 cod. proc. civ., addebita alla decisione impugnata di non essersi attenuta ai limiti propri della giurisdizione di legittimità attribuitale, per avere invece, sostituito la propria motivazione a quella del C.S.M.: mentre infatti detto organo gli aveva contestato comportamenti illegittimi nell’esercizio delle funzioni, concludendo che gli stessi erano risultati lesivi dei doveri di diligenza e correttezza nei confronti degli avvocati e delle parti privati, il C.S. aveva modificato tale giudizio; e facendo leva su comportamenti esterni alle funzioni, aveva giustificato il provvedimento di revoca invocando effetti pregiudizievoli per la credibilità ed il decoro delle funzioni medesime: mai menzionati nella delibera consiliare.

E ciò dopo avere dato atto che non sussisteva da parte di esso incolpato la serie di querele addebitategli, per averne invece proposto una soltanto.

Il ricorso è inammissibile.

Il ricorrente ha infatti trascritto nell’atto di impugnazione le motivazioni con cui il CSM ha giustificato il provvedimento di revoca, fondandolo sull’assenza di carattere di indipendenza ed equilibrio, nonchè violazione dei doveri di diligenza e di correttezza nei confronti degli avvocati e delle parti private: ricavate da una serie di comportamenti illegittimi e/o non professionali in occasione di una lunga vicenda intercorsa con l’avv. L.M. (articolatasi in esposti,querele e denunce), nonchè di un decreto ingiuntivo (chiesto e) non concesso agli avv. B. e G. per ragioni riconosciute dallo stesso C. “abnormi”.

Ora, l’ampia motivazione della decisione del C.d.S., è rimasta contenuta proprio nell’ambito della statuizione di revoca sia sotto il profilo fattuale, avendo il giudice amministrativo esaminato esclusivamente le vicende suddette, confermandone la sussistenza e la gravità anche per la mancanza di contestazione e/o per le ammissioni del C. in merito a ciascuna di esse; sia con riguardo al medesimo giudizio negativo che ne aveva tratto la delibera impugnata concordando espressamente anche la decisione di appello sui riflessi negativi che la “sorta di guerra personale” instaurata con il L. M. e quindi la “sconveniente situazione di conflitto con un avvocato avente lo studio nello stesso foro in cui il giudice onorario esercitava le proprie funzioni” avevano prodotto in relazione ai doveri di detto giudice nei confronti del foro e delle parti privati (pag. 14 e 16). E concludendo la disamina dei due comportamenti con il medesimo giudizio del CSM “che tutto ciò rende fondato nella specie, l’apprezzamento del C.S.M. circa la sopravvenuta mancanza in capo all’interessato,dei necessari caratteri di indipendenza e di equilibrio che devono caratterizzare il comportamento anche del magistrato onorario”: senza la possibilità di configurare in tali giudizi alcun diretto apprezzamento, da parte del giudice amministrativo, del pubblico interesse posto a base del provvedimento impugnato.

Nell’ambito di detta motivazione il riferimento “agli effetti pregiudizievoli per la credibilità ed il decoro delle proprie funzioni” (pag. 11) va inserito anzitutto nella risposta, data dal giudice di appello, alle censure con cui il C. intendeva giustificare il proprio comportamento processuale in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo intercorso con l’avv. L.M., nonchè la sua scelta di addivenire ad una soluzione transattiva: attribuita dalla sentenza impugnata proprio al verosimile timore, da parte del ricorrente, del prodursi di detti effetti pregiudizievoli, e perciò affatto priva di collegamento con le diverse ragioni, appena riferite, che hanno indotto il giudice amministrativo a condividere il provvedimento di revoca. Ed utilizzata esclusivamente al fine di dimostrare all’incolpato l’inconsistenza della doglianza avanzata in merito al comportamento coerente con tale scelta, che invece era proprio quello di concludere rapidamente detta vicenda giudiziaria senza procrastinarla ulteriormente. Mentre la circostanza che il Consiglio di Stato, pur dando dato atto che il ricorrente si fosse limitato a presentare una sola querela nei confronti di detto avvocato, abbia egualmente escluso la configurabilità del vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti da lui addebitata al provvedimento di revoca, si risolve nella denuncia di un error in iudicando senza involgere profili di giurisdizione, neppure sotto l’aspetto del cosiddetto eccesso di potere giurisdizionale: invocabile soltanto sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nelle ipotesi di accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale, e non al modo del suo esercizio (Cass. sez. un. 19594/2012; 9943/2011; 16537/2008; 3615/2007; 10828/2006).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore del Ministero in complessivi Euro 5.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2013.

Redazione