Responsabilità professionale del notaio (Cass. n. 2071/2013)

Redazione 29/01/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20/7/2010 la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame interposto dal sig. B.F. nei confronti della pronunzia Trib. Roma n. 24072/2004, di condanna al pagamento di somma in favore dei sigg.ri G.M. e C.L. a titolo di risarcimento dei danni dai medesimi sofferti in conseguenza di compravendita di immobile sito nel Comune di (omissis), in relazione al quale risultavano iscritte formalità pregiudizievoli e trascritto un pignoramento dal predetto, nella sua qualità di notaio, non rilevati. Con rigetto altresì, per decorsa prescrizione, della domandata manleva da parte delle chiamate compagnie assicuratrici *************** s.p.a. e S.I.A.D. s.p.a..
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il B. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso il G. e la C., che hanno presentato anche memoria, nonchè, con separato controricorso, le compagnie assicuratrici Allianz s.p.a. (già *************** s.p.a.) e U.G.F. Assicurazioni s.p.a. (già *************** e poi Meie Aurora s.p.a.).

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2703 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c.; nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito non abbia considerato che nel caso trattavasi di mera autenticazione di scrittura privata, sicchè non era tenuto ad “effettuare accertamenti circa l’esistenza di eventuali pregiudizialità sull’immobile”.
Lamenta al riguardo che “il legislatore ha voluto porre un distinguo tra la scrittura privata e l’atto pubblico, prevedendo che soltanto quest’ultimo sia redatto con le richieste formalità, da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli, fede nel luogo dove l’atto è formato, in modo tale da assumere piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta”, e che pertanto, mentre “nell’ipotesi di redazione di un atto pubblico, il notaio non può limitarsi a registrare ciò che le parti dichiarano, ma deve indagare la loro volontà (cfr. art. 47, L. n.) e accertare la sussistenza o meno di eventuali vizi dell’atto (cfr. art. 28, L. n.)”, allorquando come nella specie trattisi di “scrittura privata” il notaio viceversa “attesta semplicemente che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza”.
Si duole non essersi tenuto invero conto che “dal tenore della normativa vigente in materia, appare di tutta evidenza che le prestazioni a cui è tenuto il notaio si differenzino notevolmente nell’ipotesi di autentica di scrittura privata rispetto a quella di redazione di un atto pubblico”, risultando pertanto “chiaro che la corte territoriale ha errato nel non dare alcun rilievo al fatto che le parti abbiano fatto ricorso al notaio solo per l’autenticazione delle firme di una scrittura privata di compravendita” e “nel ritenere responsabile il notaio”, giacchè l’omessa verifica delle formalità pregiudizievoli “è stata giustificata dalla scelta operata dalle parti stesse. In altri termini, i sig.ri G., decidendo di redigere essi stessi l’atto di compravendita de quo, si sono assunti il rischio che sull’immobile potessero gravare formalità pregiudizievoli”.
Il motivo è infondato.
Superato l’orientamento formatosi sotto la previgente codificazione che – in assenza di espresso e specifico incarico al riguardo – escludeva il relativo obbligo per il notaio rogante, si è da epoca ormai risalente da questa Corte affermato che ove richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare il medesimo è tenuto al compimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, e in particolare all’effettuazione delle c.d. visure catastali e ipotecarie, allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà (v. Cass., 28/7/1969, n. 2861, e, più recentemente, Cass., 24/9/1999, n. 10493; Cass., 18/1/2002, n. 547).
La sussistenza di tale obbligo è stata dalla giurisprudenza di legittimità dapprima argomentata dal combinato disposto di cui all’art. 2913 c.c., e art. 28 ***** in ragione della funzione pubblica del notaio (v. Cass., 1/8/1959, n. 2444), ovvero da quello di cui al D.P.R. n. 640 del 1972, artt. 4 (secondo cui alle domande di voltura debbono essere acquisiti i certificati catastali) e 14 (che fa obbligo al notaio di chiedere la voltura), in base al quale il notaio è tenuto ad espletare attività di verifica catastale ed ipotecaria volta ad accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile, da tenersi distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell’atto (v. Cass., 23/7/2004, n. 13825).
Successivamente, rimasta invero priva di seguito nella giurisprudenza di legittimità la tesi dottrinaria riconducente tale obbligo all’uso negoziale ex art. 1340 c.c., (da provarsi da colui che l’invoca), nel sottolinearsi che l’opera professionale di cui è richiesto il notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto ma si estende alle attività preparatorie e successive perchè sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti (da ultimo cfr. Cass., Sez. Un., 31/7/2012, n. 13617, ove la relativa omissione si è considerata integrare anche illecito deontologico comportante responsabilità disciplinare, trattandosi di violazione prevista dalla L. n. 89 del 1913, art. 138, come sostituito dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 22), la fonte dell’obbligo in argomento è stata da questa Corte ravvisata nella diligenza che il notaio è tenuto ad osservare (v. già Cass., 1/3/1964, n. 525, e, da ultimo, Cass., 28/9/2012, n. 16549; Cass., 27/10/2011, n. 22398. V. anche Cass., 2/3/2005, n. 4427) nell’esecuzione del contratto d’opera professionale (v. già Cass., 25/10/1972, n. 3255, e, da ultimo, Cass., 5/12/2011, n. 26020; Cass., 28/11/2007, n. 24733; Cass., 23/10/2002, n. 14934; nel senso che tra notaio ed il cliente intercorre un rapporto professionale inquadrabile nello schema del mandato v. peraltro Cass., 18/03/1997, n. 2396), il cui contenuto si è da ultimo affermato essere da tale obbligo integrato ai sensi dell’art. 1374 c.c., (v. Cass., 27/11/2012, n. 20991).
La responsabilità del notaio, si è al riguardo altresì precisato, rimane esclusa solamente in caso di espresso esonero – per motivi di urgenza o per altre ragioni – del notaio per concorde volontà delle parti, con clausola inserita nella scrittura (v. Cass., 16/3/2006, n. 5868; per l’ammissibilità di una dispensa anche in forma verbale v. peraltro Cass., 1/12/2009, n. 25270), da considerarsi pertanto non già meramente di stile bensì quale parte integrante del contratto (v. Cass., 1/12/2009, n. 25270; Cass., 12/10/2009, n. 21612), sempre che appaia giustificata da esigenze concrete delle parti (v. Cass., 1/12/2009, n. 25270).
Quand’anche sia stato esonerato dalle visure, si è ulteriormente sottolineato, il notaio che sia a conoscenza o che abbia anche solo il mero sospetto della sussistenza di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita deve in ogni caso informarne le parti, essendo tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, e della buona fede (v. Cass., 2/7/2010, n. 15726; Cass., 11/1/2006, n. 264; Cass., 6/4/2001, n. 5158).
Orbene, a parte il rilievo che una limitazione della misura dello sforzo diligente dovuto nell’adempimento dell’obbligazione, e della conseguente responsabilità per il caso di relativa mancanza o inesattezza, non può farsi in ogni caso discendere (diversamente da quanto invero da questa Corte pure in passato affermato: cfr. Cass., 26/5/1993, n. 5926; Cass., 29/8/1987, n. 7127; Cass., 23/6/1979, n. 3520; Cass., 2/4/1975, n. 1185; Cass., 17/5/1972, n. 1504) dalla qualificazione della prestazione dovuta dal notaio in termini di “obbligazione di mezzi” (cfr. Cass., 9/10/2012, n. 17143; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., Sez. Un., 28/7/2005, n. 15781), va al riguardo (ulteriormente sviluppandosi quanto già emergente in nuce nelle più sopra richiamate pronunzie Cass., 2/7/2010, n. 15726; Cass., 11/1/2006, n. 264; Cass., 6/4/2001, n. 5158) osservato come (essendo nella specie in ogni caso non rilevante – oltre che ratione temporis inapplicabile – la modifica legislativa costituita dall’introduzione da parte dal D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, (conv. in L. n. 122 del 2010) della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, secondo cui “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti (ad esclusione dei diritti reali di garanzia) devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie (sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale). Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”) la fonte dell’obbligo per il notaio rogante di effettuare le visure in questione deve invero propriamente ravvisarsi non già nella diligenza professionale qualificata (la quale non può essere comunque intesa in termini deponenti per la limitazione della responsabilità del professionista, e del notaio in particolare (in tal senso v. invece Cass., 15/6/1999, n. 5946), in caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà – nella specie d’altro canto nemmeno dedotti come sussistenti -, in quanto l’art. 2236 c.c., non contempla un’ipotesi di responsabilità attenuata e non esonera affatto il professionista- debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza, sicchè la diligenza esigibile dal professionista nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio delle sua attività è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta: cfr., da ultimo, Cass., 25/9/2012, n. 16254) bensì nella clausola generale (nell’applicazione pratica e in dottrina indicata anche come “principio” o come “criterio”) di buona fede oggettiva o correttezza ex artt. 1175 c.c. (cfr. Cass., 2/30/2012, n. 16754; Cass., 11/5/2009, n. 10741).
Come osservato anche in dottrina, oltre che regola (artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c.) di comportamento (quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost. (v. Cass., 10/11/2010, n. 22819; Cass., 22/1/2009, n. 1618; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, 28056) che trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità: v. Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651. V. altresì Cass., 24/9/1999, n. 10511; Cass., 20/4/1994, n. 3775), e regola (art. 1366 c.c.) di interpretazione del contratto (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295), la buona fede oggettiva o correttezza è infatti anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte – altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c., (in ordine alla quale v. la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991) che da quella cogente ex art. 1339 c.c. (in relazione alla quale cfr. Cass., 10/7/2008, n. 18868; Cass., 26/1/2006, n. 1689; Cass., 22/5/2001, n. 6956. V. altresì Cass., 9/11/1998, n. 11264) – di integrazione del comportamento dovuto (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (v. Cass., 30/3/2005, n. 6735; Cass., 9/2/2004, n. 2422), come ad esempio in caso di specifica tutela giuridica, contrattuale o extracontrattuale, non potendo considerarsi implicare financo l’intrapresa di un’azione giudiziaria (v. Cass., 21/8/2004, n. 16530), anche a prescindere dal rischio della soccombenza (v. Cass., 15/1/1970, n. 81)).
L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860).
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è infatti da valutarsi alla stregua della causa concreta dell’incarico conferito al professionista dal committente, e in particolare al notaio (cfr. Cass., Sez. Un., 31/7/2012, n. 13617. V. anche Cass., 28/1/2003, n.1228; Cass., 13/6/2002, n. 8470. Per il riferimento alla serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi e alla sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell’atto medesimo cfr. altresì Cass., 28/11/2007, n. 24733, e, conformemente, Cass., 5/12/2011, n. 26020), e cioè con lo scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, o, in altre parole, con l’interesse che l’operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare (cfr. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., 7/10/2008, n. 24769; Cass., 24/4/2008, n. 10651; Cass., 20/12/2007, n. 26958; Cass., 11/6/2007, n. 13580; Cass., 22/8/2007, n. 17844; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 27/7/2006, n. 17145;
Cass., 8/5/2006, n. 10490; Cass., 14/11/2005, n. 22932; Cass., 26/10/2005, n. 20816; Cass., 21/10/2005, n. 20398. V. altresì Cass., 7/5/1998, n. 4612; Cass., 16/10/1995, n. 10805; Cass., 6/8/1997, n. 7266; Cass., 3/6/1993, n. 3800. Da ultimo v. Cass., 25/2/2009, n. 4501; Cass., 12/11/2009, n. 23941; Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947; Cass., 18/3/2010, n. 6538; Cass., 9/3/2011, n. 5583; Cass., 23/5/2011, n. 11295, nonchè la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991).
L’obbligo di effettuare le visure ipocatastali incombe allora senz’altro al notaio officiato della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare anche in caso di utilizzazione della forma della scrittura privata autenticata (v. Cass., 1V12/2009, n. 25270; Cass., 31/5/2006, n. 13015; Cass., 16/3/2006, n. 5868).
Nè al fine di escluderne la responsabilità rilievo alcuno può invero riconoscersi alla circostanza che l’utilizzazione della forma della scrittura privata come nella specie risponda a scelta della parte, la quale si sia rivolta al notaio “per la autenticazione delle firme di una scrittura privata di compravendita” in precedenza da terzi o come nella specie da essa stessa redatta (diversamente v.
peraltro Cass., 23/12/2004, n. 23934; Cass., 18/1/2002, n. 547. E già Cass., 22/3/1994, n. 2699; Cass., 6/4/1995, n. 4020; Cass., 20/1/1994, n. 475).
La clausola di buona fede o correttezza ha infatti – come detto – valenza generale, e trova anche in tal caso applicazione.
Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nel l’impugnata sentenza fatto invero corretta applicazione.
Nell’affermare la necessità di valutare se “nel caso specifico si possa ritenere sussistente una responsabilità del notaio appellante in relazione agli obblighi di diligenza media e di buona fede a cui lo stesso deve improntare la sua prestazione nell’interesse del cliente”, tale giudice, facendo richiamo al precedente costituito da Cass. n. 5926 del 1993, ha infatti correttamente sottolineato come “per il notaio, richiesto della stipula di un atto di compravendita di un bene già gravato da una iscrizione ipotecaria, la preventiva verifica della libertà del bene costituisce, salvo l’espressa dispensa degli interessati, obbligo da ricomprendersi nel rapporto di prestazione di opera professionale: siffatto obbligo va adempiuto impegnando la diligenza ordinaria media rapportata alla natura della prestazione”.
La corte di merito ha dato quindi al riguardo risposta positiva in ordine alla sussistenza nella specie dell’obbligo di visura de quo, e negativa al corretto assolvimento del medesimo (“Nel caso in esame risulta che l’appellante notaio non abbia correttamente eseguito la prestazione contrattuale a favore degli appellati secondo la diligenza richiesta ad un professionista, mediamente preparato ed avveduto, per avere omesso (non la visura) di riportare nell’atto – o di avvisare gli acquirenti che sul bene esistevano altre formalità pregiudizievoli oltre alla iscrizione dell’ipoteca della B.N.L.; ciò costituendo elemento che comportò la omessa indicazione del pignoramento gravante sul bene immobile all’epoca della stipula della compravendita”).
Al riguardo ha argomentato dal rilievo che fosse “proprio il contesto specifico in cui veniva ad inserirsi l’atto negoziale demandato al notaio” che al medesimo imponeva “maggiore attenzione e scrupolo professionale nell’interesse primario dei clienti che a lui si erano rivolti anche se con una scrittura privata da sottoporre ad autenticazione”.
Non risultando nella specie esservi stato espresso esonero del medesimo dallo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, e in particolare dal compimento delle c.d. visure ipotecarie, la consapevolezza del notaio odierno ricorrente in ordine alla causa concreta del contratto richiestogli di rogare risulta quindi motivatamente desunta dalla accertata circostanza che “alla data di stipulazione dell’atto” di compravendita de quo gli fu consegnata somma di denaro per provvedere alla cancellazione di (altra) ipoteca che risultava iscritta sull’immobile de quo (“è illuminante ciò che la parte fece in presenza dell’ipoteca iscritta dalla Banca Nazionale del lavoro, avendo lasciato in deposito al notaio l’importo di L. 60 milioni affinchè fosse versato alla BNL ed in vista della cancellazione della predetta ipoteca.
L’avere omesso di indicare in modo pieno e completo la situazione dell’immobile che all’epoca dell’atto risultava gravato da altra ipoteca e da un pignoramento immobiliare, non può essere considerato un adempimento completo e puntuale dell’obbligazione professionale gravante sul notaio appellante, tanto più se si considera che alla data di stipulazione dell’atto egli ricevette delle somme per poter tacitare la BNL ed impedire che essa potesse sfruttare la procedura esecutiva immobiliare già attivata dal Banco di S. Spirito presso il Tribunale di Livorno (che anche in presenza di una rinuncia del creditore procedente, poteva essere portata avanti dalla intervenuta creditrice BNL)”: v. pag. 4 della sentenza impugnata).
Del tutto correttamente la corte di merito ha quindi ritenuto che l’odierno ricorrente fosse, nella sua qualità, tenuto nel caso all’effettuazione delle visure in argomento, escludendo qualsivoglia rilevanza in contrario alla “circostanza che, nella specie, le parti avessero fatto ricorso al notaio per la autenticazione delle firme di una scrittura privata di compravendita”, e che “anche in tale situazione il notaio ha l’obbligo di informare le parti e di evidenziare la situazione ipocatastale dell’immobile da compravendere”.
Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia “nullità del procedimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., n. 4”.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto prescritta la garanzia assicurativa benchè “i documenti nn. 22 e 23 (nde. Le lettere datate 3 maggio 1991 e 20 maggio 1991), dai quali risulterebbe che i sig.ri G. avrebbero cominciato ad avanzare richieste risarcitorie nei confronti del notaio fin dal 1991, sarebbero risultati assenti dal fascicolo di parte dei sig.ri G.”.
Con il 3^ motivo denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente fondato l’impugnata decisione sui documenti ritenuti indebitamente ritirati dal fascicolo di parte, senza al riguardo seguire “la procedura a tal fine prevista dal legislatore”.
Con il 4^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia ritenuto decorsa la prescrizione pur essendosi le compagnie assicuratrici limitate a richiamare i documenti nn. 22 e 23 allegati dai sigg. G..
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzitutto osservato (avuto in particolare riguardo al 2^ motivo) che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, il ricorso per cassazione richiede, per ogni motivo di cui si compone, la redazione di una rubrica, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c., è proposto.
E’ altresì necessaria l’illustrazione del singolo motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno delle censure mosse alla sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo quale espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).
Risponde per altro verso a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimità che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla medesima, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo ove non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione in cui si assume essere incorsa la pronunzia di merito.
E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).
Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (cfr., in particolare, Cass., 20/3/2006, n. 6091; Cass., 25/2/2004, n. 3803).
Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).
Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.
Già sotto l’assorbente profilo dei requisiti ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, va posto in rilievo come esso faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’”atto di citazione del giorno 8 novembre 1994″, all’”atto rogato dal notaio B.F.”, alla transazione “con la B.N.L.”, alla comparsa di costituzione del B., alla “sentenza n. 24072/04″ del Tribunale di Roma, all’”atto di citazione in appello, notificato ai sig.ri G. in data 29 ottobre 2004”, alla “comparsa del 23 febbraio 2005″ di costituzione in grado di appello delle compagnie assicuratrici, all’”atto del 20 febbraio 2005” di costituzione in grado di appello dei G., ai “documenti… contenuti nel fascicolo processuale”, alla “comparsa conclusionale del 19 novembre 2007”), di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riportati, senza puntualmente ed esaustivamente indicare i dati necessari al reperimento in atti degli stessi (v. Cass., Sez. Un., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).
Come infatti da questa Corte – anche a Sezioni Unite – ripetutamente affermato, l’indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto, tale prescrizione ritenendosi soddisfatta qualora: a) il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (v. Cass., Sez. Un., 25/3/2010, n. 7161; Cass., Sez. Un., 2/12/2008, n. 28547. Da ultimo v. Cass., Sez. Un., 3/11/2011, n. 22726).
Ne consegue che il ricorrente non pone invero questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Quanto al 3 motivo, va posto ulteriormente in rilievo che la ricostruzione giuridica dei fatti quale compiuta dall’originario attore nella citazione introduttiva e nei successivi atti del 1^ grado di giudizio, sia le difese svolte nel corso del giudizio dalle controparti integrano invero quel “contegno delle parti nel processo” dal quale il giudice del merito ha la facoltà di desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., comma 2, (v. Cass., 23/2/1998, n. 1940).
L’art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti (v. Cass., 5/12/2011, n. 26088; Cass., 10/8/2006, n. 18128, e già Cass., 26/2/1983, n. 1503), e il comportamento (extraprocessuale e) processuale – nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal rispettivo procuratore – delle parti può in realtà costituire non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite ma anche unica e sufficiente fonte di prova, idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito, che con riguardo a tale valutazione è censurabile nel giudizio di cassazione solo sotto il profilo della logicità della motivazione (v. Cass., 26/6/2007, n. 14748).
Orbene, come correttamente osservato dalle controricorrenti compagnie assicuratrici nei loro scritti difensivi, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fondato la decisione esclusivamente sul comportamento processuale ex art. 116 c.p.c., e tale ratio non risulta invero dal ricorrente idoneamente censurata.
Il medesimo si è infatti limitato, da un canto, a proporre denunzia di violazione dell’art. 115 c.p.c., dolendosi del valore e del significato attribuito al contenuto di determinati documenti prodotti in giudizio e poi ritirati dal fascicolo (sostenendo che “in ogni caso, qualunque siano state le ragioni che hanno determinato l’assenza dal fascicolo di una parte di alcune sue produzioni documentali, queste ultime non possono essere considerate come tuttora acquisite al processo e, dunque, costituire materiale probatorio su cui il giudice possa fondare la propria decisione;
l’organo giudicante è tenuto… a decidere esclusivamente in base alle prove effettivamente assunte, oltre che ai documenti sottoposti al suo esame, in quanto contenuti nel fascicolo processuale; ciò premesso, il ragionamento della corte territoriale nel ricostruire il contenuto delle missive de quibus è totalmente errato e contrario a diritto, ove si sia limitato a compiere tale ricostruzione utilizzando un meccanismo presuntivo, invece di disporre, ad esempio, la ricostruzione del fascicolo”).
Per altro verso, ha meramente lamentato di non comprendere “in forza di quale principio o ragione” la corte di merito “abbia potuto opinare che possa ritenersi provato che i sig.ri G. e C. sin dal 1991 avessero sollecitato il notaio a farsi carico delle sue responsabilità… (cfr. sent. impugnata pag. 8)”.
Ciò il ricorrente ha fatto senza invero indicare argomento alcuno a sostegno della mossa censura, in ogni caso non estesa anche all’art. 116 c.p.c., al di là della mera ed erronea (stante quanto più sopra rilevato ed esposto) deduzione secondo cui “la Corte d’Appello ha ritenuto di dare per acquisita una specifica e decisiva prova documentale (nde. Lettere di messa in mora nei confronti dei notaio datate 3.5.91 e 22.5.91), sulla base, non già di una dichiarazione confessoria della parte, ma soltanto in forza di una condotta processuale… posta in essere dal difensore della parte medesima e che sicuramente non comporta in alcun modo il riconoscimento di altrui diritti e pretese”.
Non può d’altro canto al riguardo nemmeno sottacersi che, giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il vizio di motivazione non può essere invero utilizzato per proporre un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.
Il giudizio di legittimità non è infatti un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge, in favore del G. e della C.; in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge, in favore della società Allianz s.p.a. (già *************** s.p.a.) e della società U.G.F. Assicurazioni s.p.a. (già *************** e poi Meie Aurora s.p.a.).
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2012.

Redazione