Responsabilità dell’avvocato (Cass. n. 11304/2012)

Redazione 05/07/12
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Svolgimento del processo

La srl ******** – (omissis) – propose opposizione avverso il decreto del maggio 2001 con il quale il Tribunale di Perugia le aveva ingiunto di pagare 10.646.787 oltre accessori, così accogliendo il ricorso dell’avv. G.S. che in tal modo aveva inteso far valere il diritto al compenso per prestazioni professionali espletate, sino all’intervenuta revoca, nell’ambito di due giudizi, poi riuniti – interessanti entrambi contestazioni della impresa individuale di G.A., poi conferita nella società ********, all’esecuzione di riparazioni fatte da due diverse officine ad un proprio mezzo – in cui aveva patrocinato le ragioni della impresa.

A sostegno di detta opposizione venne fatta valere un’eccezione di inadempimento basata sul fatto che l’avv. G., in una delle due cause, avrebbe omesso di citare un teste decisivo, pur se ammesso; furono altresì mosse contestazioni in merito al quantum richiesto; il professionista opposto si costituì, chiedendo la conferma del decreto.

L’adito Tribunale respinse l’opposizione sulla base dell’argomentazione che il succitato teste comunque sarebbe stato sentito nell’udienza successiva alla revoca del mandato professionale; ritenne poi infondate le contestazioni alle voci esposte nella parcella posta a base del ricorso monitorio.

La Corte di Appello di Perugia accolse invece il gravame della società ******** sul presupposto che la omessa citazione del teste costituisse inadempimento agli obblighi di diligenza e che fosse indifferente – essendosi già concretizzato l’inadempimento – che successivamente lo stesso testimone fosse stato sentito; revocò dunque il decreto ingiuntivo, condannando la società appellata alla restituzione di quanto nel frattempo percepito in esecuzione della gravata decisione.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’avv. G. sulla base di tre motivi; la società ******** ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo la ricorrente lamenta innanzi tutto la violazione o falsa applicazione delle norme che regolano l’assunzione dei testimoni, con specifico riferimento all’art. 104 disp. att. c.p.c., contestando che la parte da lei rappresentata fosse incorsa nella decadenza dal diritto di far assumere la testimonianza dell’indotto teste G.L. atteso che il medesimo, sebbene non intimato, era regolarmente comparso all’udienza fissata per l’escussione anche di altri testi ed era stato quindi sentito all’udienza successiva; in ogni caso poi l’ipotetica decadenza non sarebbe stata eccepita da alcuno nè era stata sollevata di ufficio.

1/a – Deduce altresì la parte ricorrente la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. assumendo che l’eccezione di inadempimento non sarebbe invocabile al di fuori dei contratti con prestazioni corrispettive e che in tale novero non sarebbe inquadrabile il contratto di opera professionale; rileva altresì che d’ostacolo alla ritenuta applicabilità di tale norma sarebbe anche il fatto che la propria prestazione sarebbe stata integralmente resa;

sottolinea infine le conseguenze logicamente non sostenibili alle quali si perverrebbe se si affermasse il diritto del cliente di sospendere il pagamento del corrispettivo senza una verifica dell’effettiva incidenza dannosa, sull’esito della causa, della – erroneamente ritenuta – condotta non diligente del proprio difensore:

in proposito adduce che la società dalla medesima rappresentata sarebbe risultata vittoriosa nei giudizi in cui era stata ù inizialmente – patrocinata da essa ricorrente; fa infine derivare, dalla mancanza di alcun pregiudizio per la propria rappresentata, l’applicabilità del disposto dell’art. 1460 c.c., comma 2, ingiustamente pretermesso dalla Corte del merito.

2 – Con il secondo motivo viene denunziato il vizio di omessa pronunzia in cui sarebbe incorso il giudice di appello non esaminando il motivo di gravame con cui si metteva in evidenza – in via subordinata rispetto alle difese sopra esaminate – che l’eccezione di inadempimento era stata sollevata solo relativamente ad uno dei due giudizi riuniti e quindi, a tutto voler concedere, non avrebbe potuto esimere la cliente dal corrispondere il dovuto per i compensi per l’altro procedimento; le spese vive poi avrebbero dovuto essere comunque riconosciute.

3 – Con il terzo motivo si adduce un vizio di motivazione – nella sua triplice manifestazione contemplata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sugli stessi punti toccati dalle precedenti censure.

– Il primo ed il terzo motivo – da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione logica – sono fondati; il secondo ne risulta assorbito.

4 – In via preliminare ritiene la Corte che la ricorrente non abbia offerto alcun argomento idoneo a al fine di disattendere il principio secondo il quale l’art. 1460 cod. civ. è applicabile anche nel caso di contratto di opera professionale, laddove sia riscontrabile un’apprezzabile violazione dell’obbligo di diligenza professionale nell’espletamento dello stesso (cfr. Cass. Sez. II, n. 11728/2002) dal momento che la caratteristica – peraltro tendenziale: cfr, in motivazione, Cass. Sez. III, n. 5325/1993; Cass. Sez. III, n. 4044/1994 in cui si svolgono critiche alla bipartizione tradizionale tra obbligazioni di mezzi e di risultato – del tipo negoziale disciplinato dagli artt. 2229 e segg. c.c., costituita dall’idoneità di dar vita alla c.d. obbligazione di mezzi anzichè di risultato, non influisce sull’elemento essenziale – al fine dell’applicabilità dell’exceptio inadimplenti non est adimplendum – rappresentato dal nesso sinallagmatico tra prestazione del professionista ed obbligo del cliente di pagare il corrispettivo;

4/b – Deve altresì negarsi che la forma di autotutela stabilita dall’art. 1460 c.c. sia limitata all’ambito negoziale e che la stessa non possa essere utilizzata laddove l’obbligazione del professionista sia oramai eseguita: invero, se il termine “autotutela” appare più consono ad un rapporto svolgentesi al di fuori del processo, la sistematica e la genesi della disposizione in esame sono perfettamente compatibile con la sua utilizzazione in ambito giudiziale, sub specie di eccezione (cfr. Cass. Sez. II n. 8314/2003; Cass. Sez. III n. 1944/1977; Cass. Sez. III, n. 2353/1974, che hanno altresì sottolineato la non necessità di un previo esercizio in sede negoziale della eccezione di cui trattasi, quale condizione per dedurla in giudizio).

4/c – Stabilita come precede l’applicabilità della speciale forma di autotutela negoziale disciplinata dall’art. 1460 c.c. anche ai contratti d’opera intellettuale, priva di argomentazione si rivela l’affermazione secondo la quale essa non sarebbe invocabile allorquando la prestazione fosse stata già resa: in contrario l’esecuzione uno latere della prestazione costituisce il presupposto della tutela di cui si parla che non avrebbe senso invocare laddove non vi fosse già un credito – derivante appunto dalla parziale esecuzione del contratto – contro la cui realizzazione opporsi.

5 – Erroneamente invece la Corte del merito ha valutato l’inadempimento del quale si sarebbe reso responsabile l’avv. G., da un lato rapportandolo alla singola carenza di diligenza e dall’altro non esattamente valutandone l’incidenza sul successivo corso del giudizio.

5/a – Va innanzi tutto precisato che, mentre non sono contestate:

l’omessa citazione del teste; la sua mancata comparizione all’udienza del 30 giugno 2000, fissata per l’audizione, poi avvenuta, di altri testimoni della parte patrocinata dall’avv. G.; la valutazione di decisività della testimonianza stessa; l’assunzione del teste all’udienza del 19 febbraio 2001, successiva alla comunicazione di rinunzia all’incarico (con missiva del 1 dicembre 2000) da parte dell’attuale ricorrente, sussistono divergenti prospettazioni in merito al tenore dell’ammissione del teste – “con riserva” secondo la società contro ricorrente; senza tale indicazione, secondo l’avv. G. – e la proposizione dell’eccezione di decadenza – affermata dalla contro ricorrente e negata dalla ricorrente;

5/b – Tali circostanze controverse peraltro non influiscono sulla definizione di inadempimento imputata all’avv. G., dal momento che, sia che la decadenza fosse stata eccepita – sicuramente peraltro non nell’udienza deputata all’audizione del teste G. – o fosse stata rilevata d’ufficio, rimaneva pur sempre la considerazione che il testimone fu sentito successivamente:

erroneamente la Corte del merito pertanto ha ritenuto che si potesse prescindere dalla valutazione dell’ulteriore esito del giudizio – successivo cioè dal recesso dell’avv. G. dal mandato professionale – al fine di enucleare un fatto di inadempimento.

6 – Sul punto va osservato infatti che la caratteristica peculiare del contratto di opera professionale, volto a garantire al cliente non già il raggiungimento di un risultato bensì l’espletamento della dovuta diligenza per conseguirlo, non può produrre l’effetto – come espressamente invece statuito dalla Corte territoriale – di cristallizzare ogni giudizio delibativo in merito alla violazione dell’onere di diligenza al momento in cui esso si sia concretizzato, influendo invece sulla valutazione dell’idoneità della prestazione a soddisfare l’interesse del cliente ad un diligente svolgimento dell’incarico professionale.

6/a – Tale approccio interpretativo non significa peraltro – come invece obiettato dalla società contro ricorrente, che ha messo in rilievo come non sia stato chiesto anche il risarcimento del danno come conseguenza della deroga alla dovuta diligenza – illegittimamente spostare l’esame della diligenza dalla condotta alle conseguenze della stessa, vale a dire al pregiudizio, per l’esito della causa e quindi per gli interessi del cliente, che dalla carenza di diligenza sarebbe originato: va infatti sottolineato che la violazione dell’obbligo della diligenza del professionista va rapportato all’idoneità dell’attività dallo stesso prestata ad incidere sugli interessi del cliente e quindi deve concretare un inadempimento in ciò rilevante ma, ripetesi, per poter giudicare tale rilevanza deve operarsi una prognosi dei futuri sviluppi difensivi della causa – la c.d. perdita di chances di vittoria.

7 – Conferma l’approdo interpretativo appena riportato anche la considerazione che la ritenuta applicabilità dell’art. 1460 c.c. alla carenza di diligenza nell’espletamento dell’incarico professionale comporta anche la verifica che il rifiuto della parte adempiente non sia contrario a buona fede e quindi inidoneo, a mente del comma 2 dell’indicata disposizione, a legittimare l’esercizio dei poteri di autotutela; espungendo invece dalla valutazione della condotta diligente cui il professionista è tenuto, la concreta incidenza della stessa sull’esito della causa, verrebbe meno la possibilità stessa di qualificare in termini di deroga alla buona fede l’esercizio del potere di autotutela in esame.

8 – La gravata decisione è dunque incorsa nell’erronea interpretazione dell’ambito applicativo delle norme sopra esaminate, risultando altresì carente di adeguata motivazione nel dar ragione delle soluzioni interpretative adottate.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Perugia che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Redazione