Responsabilità del magistrato: sussiste in caso di grave ritardo nel deposito delle sentenze (Cass. n. 26284/2013)

Redazione 25/11/13
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Svolgimento del processo

La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura,con sentenza dell’8 febbraio 2013 ha inflitto al Dott. G.P., Presidente della 3^ sez. penale del Tribunale di Milano, la sanzione della perdita di anzianità di due mesi per avere, quale giudice del Tribunale di Milano addetto all’ufficio GIP depositato nel periodo giugno 2003 – marzo 2010 numerose sentenze con gravi ritardi, molte superiori ai 100-200 giorni, in un caso ai 300 giorni, mentre nel caso più grave il ritardo aveva raggiunto i 2246 giorni.

Ha rilevato al riguardo: a) che il ritardo nel deposito appariva grave, ingiustificato e reiterato, soprattutto nel periodo in cui il ******** aveva svolto la funzione di giudice addetto al dibattimento penale,in relazione al quale ben 10 sentenze erano state depositate con un ritardo di circa 3 anni; b) il ritardo era altresì reiterato, riguardando almeno 40 sentenze, nonchè grave, perchè almeno per la metà dei depositi, superiore all’anno,con una punta di 1400 giorni; c) che il carico di lavoro e l’indiscussa laboriosità del magistrato non potevano scriminare tali ritardi, per il loro numero,per la loro inidoneità a dimostrare l’incapacità di una diversa e funzionale organizzazione del lavoro, peraltro attestata da due precedenti procedimenti disciplinari per analoghe causali, che tuttavia si erano conclusi in modo favorevole al ricorrente; e perchè infine gli stessi erano divenuti una sorta di costante professionale continuata pur dopo le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio.

Per la cassazione della sentenza, il ******** ha proposto ricorso per 7 motivi. Il Ministero della Giustizia non ha spiegato difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente, deducendo violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, e art. 108 c.p.p., censura la sentenza impugnata per avere la Sezione disciplinare omesso di concedere nell’udienza dell’8 febbraio 2013 il rinvio richiesto malgrado l’impedimento addotto e dimostrato, che era stato condiviso dal Procuratore generale;e malgrado la decisione di nomina di un nuovo legale che per quell’udienza aveva documentato un legittimo impedimento; per cui non essendo stato concesso il rinvio cui egli aveva diritto, ai sensi dell’art. 108 c.p.p., la sentenza era affetta da radicale nullità.

La doglianza è infondata.

La giurisprudenza di legittimità ha enunciato al riguardo i seguenti principi che qui giova appena riassumere: a): In tema di giudizio disciplinare dei magistrati ordinari, il dibattimento deve essere sospeso o rinviato, ai sensi dell’art. 496 c.p.p. del 1930 (applicabile in virtù del rinvio operato dal D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 34, u.c., e succ. mod.), solo quando l’assenza dell’imputato sia dovuta ad “assoluta impossibilità a comparire (Cass. sez. un. 11250/2003); b) l’applicazione analogica delle norme del processo penale che garantiscono il diritto di difesa dell’imputato, non comporta il necessario accoglimento dell’istanza di rinvio dell’udienza a fondamento della quale sia addotto un impedimento professionale dell’incolpato: occorrendo, invece, a tal fine, che di siffatto impedimento sia dedotto e risulti il carattere assoluto, in relazione alla insostituibilità della persona nell’impegno medesimo;mentre la richiesta di rinvio dell’udienza e la comunicazione della causa giustificatrice dell’impedimento non siano state inoltrate con un anticipo tale da permetterne la tempestiva conoscenza da parte del collegio giudicante. (Cass. sez. un. 9848/1993; 12665/1993); c) circa la concessione del termine per preparare la difesa, la disposizione di cui all’art. 108 c.p.p. – che lo prevede in favore del nuovo difensore dell’imputato, non è applicabile nelle ipotesi in cui il giudice designi, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, un sostituto al difensore non comparso la cui istanza di rinvio per contemporaneo impegno professionale sia stata disattesa (Cass. 6015/1999); d) Il diniego di termini a difesa previsti dall’art. 108 c.p.p., non può dar luogo ad alcuna nullità – qualificabile a regime intermedio che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 182 c.p.p., comma 2, – allorquando la relativa richiesta non risponda ad alcuna reale esigenza difensiva e l’effettivo esercizio del diritto alla difesa tecnica dell’imputato non abbia subito alcuna lesione o menomazione (Cass. sez. un. pen. 155/2011).

Nessuno di questi principi è stato tenuto in considerazione nel ricorso, in cui il ******** non ha prospettato neppure di aver documentato una assoluta impossibilità a comparire – di lui e del nuovo difensore – nell’udienza dell’8 febbraio 2013; sicchè la (tardiva) richiesta di rinvio per impegni professionali è stata correttamente respinta dalla Sezione con congrua motivazione;e d’altra parte il ricorrente non ha del pari allegato se e quale pregiudizio alla propria difesa sia stato provocato dalla mancata concessione del rinvio e/o del termine a difesa:da cui ha fatto discendere automaticamente, in contrasto con i principi appena menzionati, la nullità assoluta dell’udienza e della sentenza.

Con il secondo motivo, il ricorrente, deducendo violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis, e R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18, si duole che la valutazione dei ritardi sia stata compiuta al lume della nuova, più rigorosa normativa del D.Lgs. n. 109, art. 2, invece che in base a quella precedente sotto la quale peraltro si erano verificati numerosi depositi delle sentenze; e che era sicuramente più favorevole quanto meno perchè richiedeva il profilo della compromissione del prestigio dell’ordine giudiziario,oltre a quello della scarsa laboriosità.

Con il terzo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, censura la sentenza impugnata per avere omesso ogni indagine sulla ingiustificatezza del ritardo pur a fronte della documentazione in atti, nonchè del suo interrogatorio, da cui risultava: a) che la sua laboriosità era qualificata indubbia; b) che le funzioni svolte venivano considerate particolarmente impegnative; c) che in quegli anni aveva avuto la produttività più alta dell’ufficio GIP/GUP. Con il quarto rileva che tale omissione si è ripetuta anche per la gravità del ritardo, non essendosi mai affermato che si sia trattato di processi di rilievo, o nei quali siano stati lesi particolari interessi degli imputati; e con il sesto rileva la contraddizione sussistente tra la parte della motivazione in cui si dava atto del disguido in seguito al quale il deposito di una (sola) decisione era avvenuto dopo oltre 2000 giorni,nonchè della laboriosità del magistrato e del modesto numero dei provvedimenti depositati in ritardo. Anche queste censure sono infondate.

Il ricorrente non ha anzitutto specificato se e quali condotte oggetto dell’incolpazione si siano esaurite in epoca antecedente all’entrata in vigore della nuova L. n. 109 del 2006; sicchè deve nel caso trovare applicazione il principio più volte affermato dalle Sezioni Unite,per cui in tema di responsabilità disciplinare a carico dei magistrati, l’ultrattività della legge anteriore più favorevole è prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis, comma 2, esclusivamente in riferimento alle condotte poste in essere e compiutamente esauritesi in data anteriore al 19 giugno 2006; mentre alle condotte successive, quand’anche iniziatesi nel vigore della precedente disciplina ma protrattesi oltre la predetta data, si applicano esclusivamente le nuove disposizioni, senza alcuna possibilità di scissione, quanto all’apprezzamento della gravità del fatto, dell’unica condotta permanentemente lesiva dell’interesse tutelato (Cass. sez. un. 967/2010; 16557/2009). Il tutto non senza rilevare che la Sezione ha esaminato gli addebiti anche al lume della condizione stabilita dalla L. n. 511 del 1946, art. 18, che gli stessi abbiano comportato la lesione del prestigio dell’ordine giudiziario, accertandone la ricorrenza; ed attenendosi alla giurisprudenza di questa Corte, per cui detta lesione è intrinseca alla condotta stessa del magistrato allorchè si tratti di ritardi nel deposito dei provvedimenti,che per il loro numero complessivo abbiano superato ogni limite di ragionevolezza e di giustificabilità.

Non è poi esatto che la sentenza non abbia approfondito i presupposti della reiterazione e della gravità dei ritardi, avendo invece rilevato che il magistrato aveva depositato numerose sentenze (che ha indicato) con ritardi superiori al triplo del termine concesso al giudice dalla legge, altre addirittura dopo mille giorni, mentre una “attendeva ancora di essere motivata da oltre quattro anni”: così dando la prova non solo della reiterazione, ma anche della loro gravità per avere considerato sia il numero dei ritardi, sia la loro durata con particolare riguardo a quella superiore all’anno (verificatasi per almeno 20 sentenze), che aveva raggiunto una punta massima superiore a 1400 giorni. Quanto, infine al requisito della ingiustificabilità, la Sezione disciplinare ha dato puntuale applicazione alla giurisprudenza delle Sezioni Unite,secondo cui ai fini dell’integrazione della fattispecie prevista dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. q), la non giustificabilità del ritardo costituisce non un ulteriore elemento della fattispecie, ma un fatto ad essa esterno, che gravità nell’area delle situazioni riconducibili alle condizioni di inesigibilità ed è funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo con lo scopo di temperarne il rigore applicativo, allorchè, per circostanze specificamente accertate, la sanzione apparirebbe irrogata “non iure”. Ne consegue che, quando i ritardi risultino intollerabili, come può accadere nel caso di superamento del termine di un anno verificatosi nella fattispecie – desunto dalle indicazioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di durata del giudizio di legittimità – la possibilità che essi vengano scriminati si restringe ed è, pertanto, richiesto il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolare gravità attribuibile alla violazione (Cass. sez. un. 1771/2013; 8409 e 6490/2012; 28802/2011).

Con la conseguenza che è onere dell’incolpato allegare e provare i fattori assolutamente eccezionali che giustifichino l’inottemperanza del precetto sui termini di deposito, non essendo di per sè rilevante nè la laboriosità, nè la comparazione percentuale tra i provvedimenti tempestivamente depositati e quelli depositati in ritardo nè infine il contenuto e la difficoltà particolare di quelli il cui termine di deposito sia stato ritardato oltre l’anno.

Laddove il ricorrente, così come aveva fatto davanti alla Sezione disciplinare, ha insistito esclusivamente sulla propria laboriosità e capacità professionale attestate da numerosi rapporti, di cui la sentenza ha dato atto. E tuttavia argomentando dalla rilevantissima incidenza dei ritardi, nonchè dalla loro reiterazione sussistente anche negli anni precedenti a quelli dell’incolpazione, ha ritenuto con apprezzamento di fatto, logicamente e congruamente motivato, che le circostanze evidenziate dal ricorrente denotassero non un problema temporaneo, conseguente ad una sopravvalutazione delle proprie capacità lavorative da parte del magistrato, ma una deficit della ordinaria diligenza nella organizzazione del lavoro e nei tempi di trattazione dei procedimenti: perciò idonea ad integrare l’illecito disciplinare.

Con il quinto motivo, il ******** deduce difetto assoluto di motivazione in merito alla consistenza della sanzione irrogata, richiesta dal P.G. proprio in considerazione della sua laboriosità e della sua professionalità nella semplice censura;laddove gli era stata inflitta quella più grave della perdita dell’anzianità senza neppure spiegare le ragioni del dissenso.

Con il settimo denuncia illogicità della motivazione laddove la decisione ha tratto da due precedenti procedimenti per il tardivo deposito di sentenze che si erano conclusi con il suo proscioglimento proprio per la laboriosità accertata dal CSM, l’imponente carico di lavoro dovuto sopportare e per il carattere eccezionale della situazione in cui versava l’ufficio,per poi utilizzarli come precedenti onde giustificare la più grave sanzione della perdita dell’anzianità.

Anche questi motivi sono infondati.

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge infatti che la Sezione disciplinare, dopo avere evidenziato sia il considerevole numero di provvedimenti depositati in ritardo nonchè la durata di detti ritardi “per periodi di oltre tre anni, con punte superiori ai 4 anni” ha dimostrato da un lato che tali comportamenti avevano caratterizzato tutta la carriera del magistrato,iniziando nel triennio 1982-1985 e procurandogli due procedimenti disciplinari tuttavia conclusi con esito a lui favorevole: menzionati non certamente per ricavarne elementi di addebito nei suoi confronti,ovvero per essere rivalutati in senso sfavorevole,ma per dimostrare come egli abbia sempre sofferto di carenze strutturali nell’organizzazione del suo lavoro divenute una costante nel suo percorso professionale sia in occasione di eventi (e di processi) particolari, sia nella normale gestione dei processi penali allo stesso affidati: e ciò tanto allorchè aveva svolto funzioni istruttorie, quanto allorchè era passato a comporre (ovvero a presiedere) una sezione penale del Tribunale. Ha rilevato dall’altro che tale costante negativa non era cessata neppure in occasione del presente procedimento disciplinare, in conseguenza del quale il magistrato era stato obbligato a presentare un piano di rientro dei depositi, tuttavia rimasto inadempiuto perchè buona parte dei provvedimenti erano stati depositati assai dopo la scadenza dei termini indicati nel piano.

Sulla base di tali elementi di fatto la Sezione ha quindi concluso nel senso che i fatti oggetto di contestazione erano oggettivamente molto gravi e le omissioni costanti si da non permettere il contenimento della sanzione nei limiti del minimo edittale, e di rendere necessaria l’applicazione di quella immediatamente successiva. Per cui sotto il profilo del vizio di motivazione denunciato il ricorrente mira inammissibilmente a porre in discussione l’esercizio di tale potere effettuato dalla Sezione disciplinare con l’applicazione della sanzione della perdita di anzianità, adottando, sul punto, una motivazione assolutamente immune da vizi logici o giuridici.

Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese del giudizio,in quanto il Ministero della Giustizia non ha spiegato difese.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2013.

Redazione