Responsabilità civile: il comune paga i danni al proprietario del fondo danneggiato dall’assenza di fognature (Cass. n. 19962/2013)

Redazione 30/08/13
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Svolgimento del processo

1. Con citazione del 31 luglio 1999 P.A. nella veste di proprietaria danneggiata, conveniva dinanzi al tribunale di Bergamo il Comune di Berbenno e ne chiedeva la condanna alla messa in sicurezza dei luoghi siti in località (omissis), dove era sorto un centro residenziale privo di idonea rete fognaria, con conseguente danneggiamento del fondo appartenente alla attrice. Si costituiva il Comune contestando il fondamento della domanda e chiamava in lite la RAS per esserne garantito ed il direttore dei lavori ingegner V.F.. La Ras si costituiva contestando il fondamento delle pretese e deducendo la nullità della citazione in quanto generica, il direttore dei lavori deduceva la inammissibilità della sua chiamata in lite. Veniva espletata CTU sullo stato dei luoghi e per la verifica dei crolli lamentati nel fondo della parte attrice.

2. Il Tribunale di Bergamo con sentenza del 25 novembre 2002 riteneva fondata la domanda della P. e condannava il Comune a mettere in sicurezza la balza rocciosa costruendo un sistema di fognature adeguato ed eseguendo il “disgaggio” del pendio e lo condannava al risarcimento in via equitativa per la somma di Euro 1556,58 oltre rivalutazione ed interessi. Dichiarava il difetto di giurisdizione in favore della Corte dei Conti in relazione alla domanda di condanna svolta nei confronti del direttore dei lavori e condannava la RAS a rimborsare al Comune quanto da questi versato alla parte attrice.

3. Contro la decisione proponeva appello il Comune chiedendo la riforma della sentenza, resisteva la P. e chiedeva la conferma della decisione; non resistevano le altre parti.

4. La Corte di appello di Brescia con sentenza del 3 settembre 2006 rigettava lo appello del Comune e lo condannava a rifondere alla P. le spese del grado.

5. Contro la decisione ricorre il Comune deducendo tre motivi di censura e relativi quesiti, resiste la P. con controricorso, chiedendo il rigetto del gravame per inammissibilità o infondatezza.

Nelle more la difesa della controricorrente ha dedotto il decesso della cliente, il Comune ha prodotto memoria.

Motivi della decisione

6. Il ricorso non merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi.

Per chiarezza espositiva se ne offre una sintesi descrittiva ed a seguire la confutazione in diritto.

6.1. SINTESI DEI MOTIVI. Con il primo motivo si deduce error in iudicando per la violazione della L. n. 2248 del 1865, art. 4, lett. e.

Il quesito di diritto è formulato nei seguenti termini: “accerti la Corte se il giudice di secondo grado ha violato la applicazione dello art. 4 sopracitato, condannando l’amministrazione comunale di Berbenno ad un facere specifico”.

Nel corpo del motivo da ff 5 a 7 sino al quesito non si rinviene una precisa sintesi della fattispecie considerata dai giudici del merito in relazione alla statuizione di condanna per la lesione del neminem laedere da parte del comune.

Con il secondo motivo si denuncia il vizio della motivazione sul fatto decisivo, non risultando specificato il danno o il pericolo subito o subendo dalla P., così come non viene precisato il tipo di intervento che il comune avrebbe dovuto realizzare.

Il quesito di diritto è posto come segue “Accerti la Corte se nella sentenza impugnata sua omessa o insufficiente la motivazione sul fatto decisivo del giudizio, ossia sull’an debeatur, ma con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Con il terzo motivo si deduce error in iudicando per violazione dello art. 100 c.p.c. sul rilievo che la Corte di appello ha rigettato la deduzione di carenza di legittimazione passiva della parte attrice, ritenendola proposta tardivamente per la prima volta in appello. Il quesito è posto nei seguenti termini: “accerti la Corte se nella sentenza impugnata vi sia stata la violazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

6.2. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per la incongruità del quesito proposto rispetto alla fattispecie in concreto accertata dai giudici del merito. Ed in vero come evidenziato, in sede di accertamento tecnico, i danni subiti dalla parte attrice derivano dalla edificazione del quartiere residenziale sovrastante la balza, senza realizzare una idonea rete di opere fognarie, sicchè le acque si sono infiltrate nella roccia, sgretolandola. La domanda di risarcimento anche in forma specifica avanzata nei confronti del Comune non investe atti e scelte autoritative del comune, ma una attività materiale soggetta allo ius privatorum e con essa al precetto civile del neminem laedere. Corretta appare la statuizione della Corte di appello anche in relazione agli arresti di questa Corte n. 39 del 2001 e SU 14 gennaio 2005 n. 599, cui si aggiunge Cass. SU 16 dicembre 2010 n. 26395 tra le significative.

Il secondo motivo, che deduce un vizio motivazionale che dovrebbe investire la prova sull’an debeatur, risulta inammissibile sotto un duplice profilo di violazione dell’art. 366 bis c.p.c. in primo luogo perchè si denuncia come error in motivando un evidente error in iudicando, che riguarda il fondamento della pretesa risarcitoria come an debeatur, ed in secondo luogo perchè il quesito non risulta idoneo ad evidenziare neppure una lacunosità motivazionale, posto che la sentenza ampliamente e congruamente motiva le ragioni delle inadempienze urbanistiche del comune, come evidenziate dalla consulenza tecnica di ufficio. Il terzo motivo, che denuncia un error in iudicando è del tutto privo e del momento di sintesi e del quesito. Nel corpo del motivo si argomenta sostenendosi che il tribunale prima e la Corte di appello dopo non avrebbero considerato la mancanza di prove sull’an e sul quantum debeatur, sostenendosi tra l’altro che il quartiere Milano è una iniziativa edilizia privata e che il terreno in questione non è di proprietà del Comune. Ma tali considerazioni non sono pertinenti con la fattispecie di illecito accertata e comunque la Corte in difetto di sintesi non può ricostruire la medesima sostituendo ed integrando le carenza difensive del Comune.

Al rigetto del ricorso per inammissibilità dei quesiti segue la condanna del Comune alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore della P., liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Comune di Berbenno a rifondere a P.A. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7200 di cui Euro 200 per spese.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2013.

Redazione