Responsabili il proprietario e l’amministratore di condominio per l’inquilino fulminato dall’impianto privo di “salva-vita” (Cass. pen. n. 40050/2012)

Redazione 10/10/12
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Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Catania, con sentenza dell’1/12/2008, dichiarato colpevole P. S. del delitto di all’art. 589, cod. pen., ai danni di C. G. condannò il medesimo alla pena stimata di giustizia e assolse M. T. dalla stessa imputazione perché il fatto non costituisce reato.
1.1. Al fine di favorire una più agevole comprensione della vicenda è bastevole ricordare in questa sede che il C. secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, raggiunto da scarica elettrica mentre si trovava sotto la doccia, dopo aver vanamente disattivato l’interruttore generale della propria abitazione, stante che la dispersione elettrica non era cessata, si era recato sulla terrazza, ove erano alloggiate le vasche dell’acqua, ivi rimanendo folgorato (verrà trovato dai soccorritori aggrappato alla ringhiera). Notata la presenza dl un cavo elettrico poggiato su un tubo conducente acqua potabile, collocato, a sua volta, vicino la ringhiera, veniva rilevata dal personale ENEL una rilevante dispersione elettrica.
2. La Corte d’appello dl Catania, con sentenza dell’8/11/2011,investita della cognizione impugnatoria dall’appello proposto dall’imputato,dalla Procura Generale, dalle parti civili e, in via incidentale, da M. T. in parziale riforma dell’impugnata sentenza, dichiarò la penale responsabilità anche della M. (proprietaria dell’alloggio abitato dalla vittima), che condannò, applicate le attenuanti
generiche e, ritenuto il concorso di colpa della vittima nella misura del 20%, alla pena sospesa reputata dl giustizia.
3. Entrambi gli imputati proponevano ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo viene eccepito <<il difetto di motivazione determinato dall’erronea interpretazione ed applicazione del principio di causalità nel reato colposo>>.
L’evento dipese, a parere dei ricorrenti, dall’improvvido, arbitrario ed illogico comportamento del C. il quale, in presenza di dispersione elettrica, invece che contattare personale specializzato, pensò di salire sulla terrazza, alla quale non aveva diritto di accedere, ove, peraltro, non si trovavano i contatori dell’energia elettrica, ma solo le vasche dell’acqua.
Il tecnico ***** sentito in qualità di teste, ebbe ad affermare che l’appartamento era dotato di <<salvavita>, che il predetto, dopo il fatto, aveva provveduto a sostituire e, quindi, se la dispersione era dipesa da un malfunzionamento del differenziale, nessun rimprovero poteva muoversi agli imputati.
Inoltre, l’ing. S. non era stato in condizione di escludere con certezza assoluta che l’impianto elettrico non fosse in alcun modo protetto.
3.2. La motivazione della sentenza era incorsa in manifesta illogicità nell’affermare che il P. dovesse considerarsi amministratore di fatto dell’immobile, abitato dalla vittima. Solo per ragioni di affetto filiale si era prestato saltuariamente ad occuparsi, dietro richiesta dell’anziana madre, dello stabile; nessuna delega aveva mai ricevuto e, peraltro, l’avversa ricostruzione dipendeva dalle dichiarazioni interessate dei parenti della vittima.

Considerato in diritto

4. Il ricorso va disatteso perché infondato.
4.1. Errano i ricorrenti nel sostenere che la Corte territoriale sia incorsa in vizio motivazionale, in questa sede censurabile, nel fare applicazione del principio di causalità.
Senza che occorra conoscere se l’impianto elettrico dell’abitazione fosse dotato, come la legge richiede, di interruttore differenziale, è certo che ove fosse stato regolarmente posto in essere strumento efficiente di tal fatta il tragico evento non si sarebbe dato, perché l’immediata disattivazione elettrica avrebbe impedito la folgorazione.
In ogni caso il giudice del merito, sul punto non smentito, attraverso ragionamento pienamente condivisibile ha chiarito, anche sulla base degli accertamenti tecnici svolti, che Il modo d’essere degli impianti (peraltro l’intiero gruppo pompa-autoclave appariva assemblato in modo rudimentale e alquanto approssimativo) e la loro allocazione facevano escludere che al predetto impianto elettrico (cioè quello che adduceva l’energia elettrica al gruppo} fosse assicurata protezione mediante il cd. salvavita (pagg. 7 e 8 della sentenza di secondo grado).
Nessuna condotta, peraltro, estranea all’id quod plerumque accidit può attribuirsi alla vittima, la quale, percepita la scarica elettrica mentre era sotto la doccia, salì sul terrazzo, evidentemente di libero accesso (e nulla rileva che in questa sede i ricorrenti asseriscano che la vittima non avesse titolo civilistico al fine), per accertarsi della ragione della dispersione. Ivi, come,non smentita,ha precisato la Corte d’Appello di Catania, l’uomo, senza che avesse in alcun modo armeggiato rischiosamente con i fili elettrici, venne attinto dalla mortale scarica per avere contemporaneamente toccato il tubo conduttore dell’elettricità all’autoclave e l’inferriata a potenziale elettrico zero.
In definitiva, anche a riconoscere un modesto concorso colposo della stessa vittima, quantificato dal giudice del merito nel 20%, correttamente è stato escluso che l’evento sia stato autonomamente procurato da questa.
4.2. Del pari infondato risulta il secondo motivo.
Anche in questo caso, infatti, vengono mossi rilievi che attengono al merito della motivazione, in questa sede non censurabile.
Sul punto, invero, la motivazione del giudice del merito appare logica ed esaustiva, dovendosi, inoltre, escludere l’ipotizzato travisamento.
Correttamente la Corte di Catania ha evidenziato l’irrilevanza della formale residenza o meno in loco di P. S. il quale, peraltro, parlando dell’abitazione di via Plebiscito, la indica come <<casa mia>>, ammettendo di trattenervisi spesso a dormire, anche in assenza dell’anziana madre; egli si occupava, invece della genitrice, di riscuotere i canoni, rilasciandone ricevuta; egli si occupò, dopo l’evento, di fare mettere a norma l’impianto. In definitiva, come, peraltro, appare conforme a quel che solitamente avviene in simili casi, assunse il ruolo di amministratore di fatto, vicariando la madre, oramai in età piuttosto avanzata. Ovviamente, si tratta d’una assunzione di responsabilità e garanzia che non richiedeva formalità di sorta, a comprovare la quale è risultato soddisfacente il vaglio istruttorio (escussione testimoniale), apoditticamente avversato in ricorso, senza l’apporto di alcuna specifica allegazione che concretamente lo abbia posto in dubbio.
All’epilogo consegue la condanna dei ricorrenti alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso in Roma il 10/7/2012.

Redazione