Residenza all’estero: sufficiente provare il regolare pagamento dell’affitto e delle relative utenze (Cass. n. 20285/2013)

Redazione 04/09/13
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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, rigettando l’appello proposto da Agenzia delle Entrate, confermava integralmente la sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso proposto da D.S. avverso l’avviso con il quale l’Ufficio – presupponendo la residenza fiscale in Italia del ricorrente, tennista professionista residente nel Principato di Monaco – aveva accertato per l’anno 2001 un reddito imponibile per partecipazioni a tornei e per sponsorizzazioni.
I Giudici di appello, in particolare, ritenevano che la documentazione fornita dall’appellato fosse idonea a provare la sua effettiva residenza nel Principato di Monaco con riferimento all’anno 2001.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso, affidato ad unico motivo, l’Agenzia delle Entrate.
D.S. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia. In particolare, la ricorrente deduce l’insufficiente motivazione della semenza impugnata per avere ritenuto la documentazione offerta da D.S. idonea a comprovare la sua residenza all’estero laddove la stessa, al contrario, era generica, non decisiva e non parametrata alla peculiare attività svolta dal contribuente (di tennista professionista attivo sui circuiti internazionali). Inoltre, secondo la prospettazione difensiva, la Commissione Regionale ligure aveva del tutto omesso di considerare, ritenendola implicitamente irrilevante, la circostanza dedotta dall’Ufficio che i biglietti aerei esibiti dal contribuente rilevavano come città di arrivo e di partenza, nella maggior parte dei casi, delle città italiane.
1.1. Il motivo, contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente, è ammissibile, riportando alla conclusione dell’illustrazione il necessario, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., momento di sintesi.
1.2. Il mezzo è, però, infondato. Nella specie – seppur trovi applicazione il comma 2 bis dell’art. 2 TUIR (nel testo vigente ratione temporis) il quale, nel prevedere che si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, comporta un’inversione probatoria a carico del contribuente – la motivazione adottata dalla Commissione ligure, la quale ha analiticamente valutato le prove documentali fornite dal contribuente, appare logica, sufficiente ed idonea a reggere la decisione laddove ha ritenuto, seppur usando in senso lato il concetto di “residenza”, che da tali atti potesse evincersi che il ********** di Monaco fosse il luogo in cui il S. avesse la sede principale non solo degli affari ed interessi economici ma, soprattutto, delle proprie relazioni personali.
L’argomentare logico-giuridico della sentenza impugnata appare, infatti, in linea con l’orientamento tracciato in materia da questa Corte (cfr. Cass. n. 14434 del 2010) la quale, seppur nella diversa ma analoga ipotesi di cui al secondo dell’art. 2 d.p.r. 22.12.1986 n. 917, ha ritenuto che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (Cass. n. 13803/01; 10179/03). In particolare, è stato rilevato che detta interpretazione dei D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, è in armonia con l’affermazione della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui “ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo stato membro, l’art. 7, n. 1, comma 2, della direttiva 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali. Nell’ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell’interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali (v., in tal senso, sentenza 12 luglio 2001 in causa C-262/99, ***********, punti 52, 53 e 55, i cui principi sono stati ribaditi da Corte giust. 7 giugno 2007, in causa C-156/04, Commissione c. Grecia ed in senso conforme Cass. n. 12259 del 19/05/2010).
La sentenza impugnata appare aderente a tali principi – cui il Collegio ritiene dare continuità – avendo positivamente ed adeguatamente valutato gli elementi di fatto forniti dal controricorrente (quali il contratto di affitto relativo ad un appartamento sottoscritto dai coniugi S., la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento, la stipulazione di utenze telefoniche, televisive, e di contratti bancari).
Ciò posto, il motivo, nei termini in cui è formulato, tende nella sostanza a rioperare una diversa valutazione del fatto inammissibile in sede di legittimità; mentre le circostanze dedotte delle quali la Commissione Tributaria ligure non avrebbe tenuto conto (ovvero la particolare attività “internazionale” svolta dal tennista professionista nonché il fatto che le città di partenza e di arrivo rilevabili dai biglietti aerei allegati dallo stesso contribuente fossero per la maggior parte italiane) non appaiono “fatti” decisivi, che ove valutati avrebbero potuto comportare una diversa soluzione della controversia, proprio perché consequenziali al genere di attività svolta dal S.
Ne consegue il rigetto del ricorso ed, in ossequio al principio di soccombenza, la condanna dell’Agenzia delle Entrate alla refusione in favore di D.S. delle spese del grado liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n.140/2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione in favore del controricorrente delle spese del grado di legittimità che si liquidano in complessivi euro 12.000,00 oltre euro 200 per esborsi ed accessori di legge.

Redazione