Regolamento comunale per l’accesso ai servizi sociali (Cons. Stato, n. 8355/2013)

Redazione 08/11/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3111 del 2013, proposto da:
Comune di Lonate Ceppino, rappresentato e difeso dagli avv. ***************, ****************, ***************, con domicilio eletto presso *************** in Roma, via Lucullo, 3;

contro

(omissis), rappresentati e difesi dagli avv. ****************, ****************, con domicilio eletto presso **************** in Roma, via Livio Andronico, 24;

nei confronti di

Regione Lombardia, Asl 314 – A.S.L. della Provincia di Varese, Assemblea dei Sindaci del Distretto Socio-Sanitario di Tradate;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE III n. 03056/2012, resa tra le parti, concernente approvazione del regolamento per l’accesso ai servizi sociali

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di ******************* e di ********************** e di *************** e di ***********;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2013 il Pres. Pier *************** e uditi per le parti gli avvocati ******* e ******************************* su delega di ****************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso trae origine da un ricorso proposto davanti al T.A.R. Lombardia da due persone fisiche (la signora **** e la signora ********), in proprio e quali amministratrici di sostegno delle rispettive congiunte e assistite F.S.B. e G.M..
Entrambe le assistite sono affette da disabilità grave e frequentano il Centro Diurno per Disabili “L’Arca” di Tradate. E’ sostanzialmente incontroverso che la retta faccia carico – per legge – al Comune di residenza delle due assistite, che è Lonate Ceppino, salva l’eventualità di una quota di compartecipazione a carico dell’assistito. Se tale quota sia dovuta o meno, e quale ne sia l’ammontare, va stabilito in relazione alla situazione economica e patrimoniale dell’interessato, e più precisamente all’I.S.E.E. (indice della situazione economica equivalente).
E’ controverso invece se, per questa specifica prestazione, l’I.S.E.E. debba essere calcolato in base alla situazione strettamente personale del soggetto assistito, ovvero a quella della famiglia. Il regolamento del Comune di Lonate Ceppino (approvato con delibera del consiglio comunale n. 44/2008) dispone che per le prestazioni di assistenza residenziale o semiresidenziale delle persone con grave disabilità si deve avere riguardo all’I.S.E.E. familiare.
Il regolamento comunale (unitamente agli atti applicativi) è stato impugnato in primo grado, sostenendosi che la fonte normativa statale che regola l’I.S.E.E. (il decreto legislativo n. 109/1998 e s.m.) mentre per la generalità delle prestazioni si riferisce all’I.S.E.E. familiare, limitatamente alle prestazioni assistenziali per le persone con grave disabilità stabilirebbe (all’art. 3, comma 2-ter) il principio opposto, cioè quello dell’I.S.E.E. personale.
2. Il T.A.R. Lombardia, con la sentenza n. 3056/2012, ha accolto il ricorso e annullato, in parte qua, la norma regolamentare comunale e gli atti applicativi.
Il Comune propone appello davanti a questo Consiglio. Le persone già ricorrenti in primo grado si sono costituite per resistere all’appello.
3. Nel merito, la prima questione da risolvere è quella della esatta interpretazione dell’art. 3, comma 2-ter, del decreto legislativo n. 109/1998.
3.1. La disposizione, per quanto qui interessa, è del seguente tenore: «Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’àmbito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave (…), le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (….) al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione».
3.2. Si può dare per pacifico che con ciò il legislatore abbia inteso introdurre una deroga al principio generale (che è quello dell’I.S.E.E. familiare) prevedendo per le prestazioni in discorso il riferimento all’I.S.E.E. personale. Peraltro le modalità applicative di tale deroga dovrebbero essere dettate con un atto normativo secondario (un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) che però non risulta (ancora) emanato.
Ci si chiede pertanto se la funzione del d.P.C.M. sia quella di attuare e rendere applicabile la deroga (sicché in mancanza resti applicabile in toto la regola generale dell’I.S.E.E. familiare) ovvero se quest’ultima abbia comunque applicazione diretta.
3.3. Su questo punto, non si può ora che confermare quanto ripetutamente deciso da questa Sezione (da ultimo con sent. 21 dicembre 2012, n. 6674): e cioè che l’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109/1998, esprime il principio che per la prestazioni ivi considerate si deve avere riguardo alla situazione economica del solo assistito e non a quella della famiglia; e che tale principio è direttamente applicabile anche in mancanza del decreto attuativo.
4. Ci si chiede tuttavia (con riferimento ad una specifica argomentazione del Comune appellante) se si debba giudicare diversamente, alla luce della sopravvenuta (dopo la pronuncia della sentenza appellata) sentenza della Corte costituzionale, 19 dicembre 2012, n. 296.
4.1. Con questa sentenza la Corte ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità relativa a una disposizione di legge regionale toscana, che prevede che la quota di compartecipazione da parte della persona assistita ultrasessantacinquenne per le prestazioni di tipo residenziale a favore di persone disabili, sia calcolata tenendo anche conto della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado.
In proposito la Corte ha affermato che il principio di rilevanza della situazione economica del solo assistito, espresso dalla norma statale, non costituisce “livello essenziale delle prestazioni” e quindi può essere derogato dalla legislazione regionale.
In sostanza, la Corte non ha smentito quanto detto dal Consiglio di Stato riguardo all’interpretazione dell’art. 3, comma 2-ter, ed alla sua immediata applicabilità. Non ne ha neppure dichiarata l’incostituzionalità (ad esempio per violazione della competenza legislativa delle regioni). Ha soltanto affermato che una legge regionale che eventualmente disponga in senso contrario prevale sulla norma statale, derogandola.
4.2. Ci si chiede ora (in riferimento ad una specifica argomentazione dell’appellante Comune) se la medesima potestà di deroga si debba riconoscere ai regolamenti comunali.
La risposta deve essere negativa. Nel sistema dell’art. 117, cost., la ripartizione delle competenze legislative – con l’inerente figura della “competenza concorrente” riguarda esclusivamente lo Stato e le Regioni, non gli enti locali.
4.3. Ma vi è di più. Nel caso della Regione Lombardia, l’art. 8, comma 2, lettera (h), della legge regionale n. 3/2008 recepisce (anziché discostarsene) il principio dell’I.S.E.E. personale (e non familiare) per le prestazioni di cui si discute.
Ed invero, l’art. 8, comma 2, della legge regionale dispone: «Nel rispetto dei principi della normativa statale in materia di indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), la quota di compartecipazione al costo delle prestazioni sociali e la quota a valenza sociale delle prestazioni sociosanitarie sono stabilite dai comuni (…) in base ai seguenti criteri: a) valutazione del reddito e del patrimonio del nucleo familiare; (…); h) valutazione della situazione reddituale e patrimoniale solo della persona assistita nel caso di accesso ad unità d’offerta residenziali o semiresidenziali per disabili gravi».
Appare dunque superfluo approfondire ulteriormente la tematica dell’applicabilità immediata (o meno) dell’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109/1998; nonché quella della prevalenza della legge statale su quella regionale, o viceversa.
Nella Regione Lombardia, infatti, il principio in contestazione è dettato direttamente ed autonomamente dalla legge regionale. Ne consegue l’illegittimità del regolamento comunale ispirato ad un criterio difforme.
Queste considerazioni rendono ininfluenti le deduzioni svolte dalle parti appellate nell’imminenza della discussione dell’appello, riguardo all’opportunità di differire la decisione in attesa che la Corte Costituzionale definisca un giudizio di costituzionalità riguardante una legge di altra Regione (e a quanto pare di diverso tenore).
5. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2013

Redazione