Reato per omesso versamento IVA da parte del legale rappresentante e confisca dei beni della società (Cass. pen., n. 46726/2013)

Redazione 22/11/13
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Ordinanza

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Trento, con ordinanza del 12.2.2013, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ha disposto il sequestro preventivo per equivalente di un immobile di proprietà di G.L., indagato per il reato di cui all’art. 81 cpv cod. pen. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, perchè, quale legale rappresentante della “TRENTO PACK s.r.l.”, ometteva il versamento dell’IVA relativamente ai periodi di imposta 2009 (per Euro 208.737,77) e 2010 (per Euro 123.544,75).

Avverso tale pronuncia G.L. propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso rileva che il Pubblico Ministero si era limitato a richiedere al Giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo senza, tuttavia, specificare che lo stesso era finalizzato alla confisca per equivalente, come avvenuto, poi, nell’atto di appello e che, considerata la sostanziale diversità tra i due istituti, così facendo avrebbe modificato la domanda originaria sottraendogli, di fatto, un grado di giudizio.

Osserva, inoltre, che l’impugnazione del Pubblico Ministero avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, non avendo egli in alcun modo argomentato sul periculum in mora, neppure in maniera implicita, nella richiesta formulata al G.I.P. e non essendo conseguentemente possibile proporre appello su questioni in precedenza non dedotte.

3. Con un secondo motivo di ricorso osserva che, risultando pacifica la riferibilità del profitto del reato ipotizzato alla società della quale era legale rappresentante e non avendo egli dirottato tale profitto verso il suo patrimonio personale, in quanto le somme ricavate dall’omesso versamento dell’IVA erano state utilizzate dalla società per pagare i dipendenti ed evitare un tracollo finanziario, si sarebbe dovuta verificare la possibilità di procedere al sequestro in forma specifica prima di richiedere la misura sul suo patrimonio personale.

Aggiunge che la misura poteva comunque essere eseguita direttamente sul profitto del reato, che si trovava ancora interamente nel patrimonio della società, pacificamente aggredibile o, in difetto, per equivalente sugli altri beni della società e su quelli del legale rappresentante.

Aggiunge che il Tribunale ha ritenuto che non potesse essere disposto il sequestro diretto del profitto essendo tale circostanza irrilevante ovvero, implicitamente, perchè non sarebbe stato richiesto dal Pubblico Ministero, offrendo così una motivazione meramente apparente oltre che erronea.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta che il Tribunale si sarebbe limitato a ritenere che il requisito del periculum coincide con la confiscabilità del profitto o del prezzo del reato, senza tuttavia considerare la necessità di valutare l’esistenza di significativi elementi tali da contrastare o addirittura elidere la sussistenza del periculum stesso e che, nella fattispecie, erano effettivamente presenti ed individuabili: nel fatto che la società aveva già concordato il pagamento rateale delle imposte dovute ed aveva già iniziato i relativi versamenti; nei contenuti della dichiarazione fiscale e dell’interrogatorio dell’indagato; nella circostanza che l’omesso versamento era finalizzato a reperire somme per la stessa sopravvivenza dell’azienda e la corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti; nella predisposizione di accorgimenti di natura economica attuati; nella nota situazione di crisi economica e nel fatto che egli non aveva ricavato alcun personale profitto dal mancato versamento dell’IVA. L’omessa valutazione di detti elementi caratterizzerebbe, pertanto, la valutazione del provvedimento impugnato come meramente apparente.

5. Con un quarto motivo di ricorso censura l’ordinanza del Tribunale in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus del reato ipotizzato, dovendosi ritenere mancante l’elemento soggettivo, in quanto la condotta in contestazione sarebbe stata posta in essere a causa della situazione di crisi finanziaria che lo avrebbe costretto all’impossibilità di adempiere agli obblighi fiscali. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

6. La vicenda in esame attiene, come indicato in premessa, ad una ipotesi di sequestro preventivo per equivalente in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter.

7. Come è noto, l’estensione anche ai reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 della confisca per equivalente, già prevista dall’art. 322-ter cod. pen. per alcune ipotesi di reato contemplate dal codice penale, è stata disposta dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, al fine di meglio contrastare la criminalità finanziaria con strumenti incidenti direttamente sul patrimonio dei contravventori.

Ciò avviene colpendo beni corrispondenti per valore al prezzo o al profitto del reato, indipendentemente da un nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare, al fine di sottrarre al responsabile dell’illecito qualsivoglia vantaggio economico dallo stesso derivante.

Secondo l’unanime orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi pacifico, sempre con riferimento ai reati tributari, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente possa essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, in ragione dell’integrale rinvio alle “disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p.” contenuto nella L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143 (Sez. 3 n. 17465, 10 maggio 2012; Sez. 3 n.35807, 6 ottobre 2010; Sez. 3 n. 25890, 7 luglio 2010).

Successivamente, questa Corte ha avuto modo di affermare come il consolidato orientamento appena ricordato non venga inficiato e sia, al contrario, confermato dalla modifica apportata all’art. 322-ter cod. pen. dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 75, lett. o), che ha esteso la confisca per i delitti previsti dagli artt. da 314 a 320 cod. pen. con riferimento non soltanto al solo prezzo del reato, ma anche al profitto di esso, in quanto l’ambito di operatività del sequestro per equivalente è stato ampliato adeguandosi a quanto stabilito da fonti internazionali ed Europee, perseguendo lo scopo di una adeguata sanzione di condotte illecite senza irragionevoli distinzioni fondate sulla diversa tipologia dei reati commessi (Sez. 3 n. 23108, 29 maggio 2013).

8. La trattazione del secondo motivo di ricorso implica la soluzione, da parte di questa Corte della questione concernente la possibilità di aggredire o meno direttamente i beni di una società per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa, sulla quale si registra un contrasto di giurisprudenza del quale hanno dato conto anche altre decisioni di questa Sezione (si Sez. 3 n.1256, 10 gennaio 2013).

9. In particolare, si è ricordato in quell’occasione come, secondo alcune pronunce sia stata ritenuta, con riferimento ai reati tributari, l’applicabilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona giuridica anche al di fuori dei casi in cui la sua creazione sia finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali quale “società schermo”.

Si è infatti affermato che, sebbene il reato tributario sia addebitabile all’indagato, le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale egli ha agito salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto organico, cosicchè non è richiesto che l’ente sia responsabile a sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 ed esso non può considerarsi terzo estraneo al reato perchè partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati (Sez. 3 n. 28731, 19 luglio 2011, non massimata. V. anche Sez. 3 n.26389, 6 luglio 2011).

Ad analoghe conclusioni sono pervenute successive pronunce (v. Sez. 3 n. 17485, 10 maggio 2012 non massimata) specificando, in un caso (Sez. 3 n. 38740, 4 ottobre 2012) che, in linea generale, la legge consente la confisca diretta dei beni costituenti profitto del reato indipendentemente dalla qualifica di concorrente nel reato stesso del soggetto nella cui disponibilità è pervenuto il profitto e, nel caso si tratti di una società, prescindendo dalla previsione o meno di responsabilità amministrativa per il reato medesimo. Si è ulteriormente affermato che non è possibile procedere alla confisca del profitto qualora esso appartenga a persona estranea al reato, sebbene, nel caso in cui il reato sia stato commesso dall’amministratore di una società il cui profitto sia rimasto nelle casse della società stessa, questa non può considerarsi persona estranea al reato, pur se non è prevista una sua responsabilità amministrativa.

Riguardo al sequestro funzionale alla confisca per equivalente, nella medesima decisione si è precisato come l’art. 322-ter cod. proc. pen. preveda che possa applicarsi detta confisca su beni di cui il reo ha la disponibilità solo nel caso in cui non sia possibile la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato, cosicchè la impossibilità di una confisca diretta dei beni costituenti il profitto del reato costituisce presupposto necessario per procedere a quella per equivalente. Deve conseguentemente procedersi alla verifica della sussistenza di tale necessario presupposto, motivando adeguatamente sul punto.

10. Altre decisioni, di segno opposto, hanno invece affermato l’impossibilità di applicare il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni appartenenti alla persona giuridica qualora si proceda per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, in quanto il D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 24 e ss. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, tranne nel caso in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, tanto che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato (Sez. 3 n.25774, 4 luglio 2012; Sez. 3 n.15349, 3 aprile 2013; Sez. 3 n.33371, 19 agosto 2012, non massimata ove si evidenzia anche l’irrilevanza, con riferimento alle persone giuridiche, del cosiddetto rapporto di immedesimazione organica del reo con l’ente del quale con compiti o poteri vari egli fa parte).

Va altresì rilevato che, pervenendo a conclusioni analoghe dopo aver illustrato le diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza della Sezione sopra riportate, la sentenza 1256/2013 in precedenza citata (conf. Sez. 3 n.9576,28 febbraio 2013, non massimata), dopo aver motivatamente rilevato l’impossibilità di far derivare, in base alla normativa vigente la responsabilità degli enti per i reati tributari tranne nel caso dei reati a carattere transnazionale di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 10, evidenzia come tale situazione non possa ritenersi il risultato di una scelta meditata del legislatore, facendo osservare l’irragionevolezza dell’attuale assetto normativo, in base al quale con riferimento ai reati tributari compiuti nell’ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale è possibile ravvisare la responsabilità della persona giuridica ed operare la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta diversamente da ciò che avverrebbe, in assenza di tale presupposto, anche a fronte di un ammontare maggiore di imposte evase, stigmatizzando quindi l’inefficacia dell’attuale sistema punitivo e la disparità di trattamento derivante dalla situazione considerata.

In una successiva pronuncia (Sez. 3 n.42350, 15 ottobre 2013, non ancora massimata) sono state tratte analoghe conclusioni, riconducendo alla specifica ed espressa volontà del legislatore la individuazione dei reati presupposto che consentono il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, ritenendo ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che nega la possibilità di applicare tale misura reale sui beni appartenenti alla persona giuridica con riferimento alle violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante. In detta sentenza, peraltro, era stata esclusa la necessità di sottoporre la questione de qua al vaglio delle Sezioni Unite.

Il principio è stato ulteriormente ribadito (Sez. 3 n. 39308, 25 settembre 2013; Sez. 3 n. 41694, 9 ottobre 2013; Sez. 3 n. 42476, 16 ottobre 2013, non massimata; Sez. 3 n. 42477, 16 ottobre 2013, non massimata; Sez. 3 n. 42638, 17 ottobre 2013, non massimata).

11. Ciò posto, osserva il Collegio che il contrasto come sopra evidenziato non possa ritenersi superato e che, comunque, anche in tale ultimo caso, la soluzione della questione oggi sottoposta al suo esame potrebbe comunque dar luogo ad un nuovo contrasto giurisprudenziale.

Si ritiene, conseguentemente, che sussistano i presupposti di cui all’art. 618 cod. proc. pen. per la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione della seguente questione: “se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa”.

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2013.

Redazione