Reato estinto per l’imputato che prima dell’udienza di comparizione ripara il danno cagionato dal reato (Cass. pen. n. 30212/2013)

Redazione 12/07/13
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Ritenuto in fatto

1. F.O.S. veniva giudicato dal Giudice di Pace di Foligno responsabile delle lesioni patite da M.D., passeggero dell’autovettura guidata dal F.O. , a seguito del sinistro provocato dalla condotta colposa di quest’ultimo, e condannato alla pena di euro 2500,00 di multa e al risarcimento dei danni patiti dal M., costituitosi parte civile.
Il Tribunale di Perugia, sull’appello proposto dall’imputato, confermava integralmente la sentenza impugnata. In particolare rigettava la censura mossa dall’appellante con riferimento alla nullità della costituzione di parte civile per il fatto che quella riportava la dichiarazione della volontà di costituirsi della persona offesa ma risultava sottoscritta dal solo difensore della stessa. Riteneva il Collegio territoriale che l’atto di costituzione presentava la dichiarazione del M. di volersi costituire tramite il difensore e procuratore speciale avv. M. nonché la procura si medesimo e che pertanto esso era da reputarsi valido.
Inoltre, il giudice di seconde cure rigettava il motivo di appello che lamentava la mancata applicazione dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, in quanto il risarcimento del danno era stato eseguito dalla società assicuratrice e a nulla rilevava, sotto tale profilo, il fatto che il F.O. avesse sollecitato la predetta società ad eseguire il pagamento, aggiungendo che l’imputato non aveva neppure proposto al M. di versargli la differenza tra il massimale di polizza e la maggiore somma dovuta per i danni riportati.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia, avv. Sante Gradassi.
3.1. Con un primo motivo deduce la illogicità della motivazione e la violazione di legge, laddove afferma essere valido l’atto di costituzione di parte civile, nonostante esso non sia stato redatto secondo le formalità previste dagli artt. 76, 78 e 100 cod. proc. pen., in quanto la sottoscrizione dell’atto deve essere di colui che manifesta la volontà di costituirsi in giudizio.
3.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale in relazione al diniego di applicazione dell’art. 35 cit., dovendosi all’inverso ritenere integrata la condotta riparatoria dell’imputato anche nella sollecitazione all’assicuratore del pagamento dell’intero massimale di polizza, non potendosi porre a carico del F.O. il mancato versamento della ulteriore somma dovuta per danni, posto che egli non poteva avere conoscenza della reale entità della stessa. La personalità della prestazione deve essere ravvisata anche nel caso di pagamento eseguito dall’assicuratore.
3.3. Con un terzo motivo deduce vizio motivazionale in relazione alla reiezione dell’istanza istruttoria avente ad oggetto la deposizione del dr. L. , medico-legale, il quale avrebbe potuto riferire in ordine all’entità delle lesioni patite dal M. in conseguenza del sinistro provocato dall’imputato.
3.4. Infine lamenta la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. nonostante l’intervenuta corresponsione del massimale assicurato.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.
4.1. in tema di requisiti essenziali della costituzione di parte civile, questa Corte ha già affermato che la circostanza che l’art. 78 cod. proc. pen, non indichi tra i requisiti della dichiarazione la sottoscrizione della parte è da ricondursi ai limiti della norma, che disciplina i profili di ammissibilità dell’atto e non pure quelli di esistenza; questi ultimi, pertanto, debbono essere ricostruiti concettualmente in ragione della funzione che l’atto stesso è destinato ad assolvere (cfr. Sez. 3, n. 8553 del 23/01/2002, ****** 0, Rv. 221523). Ne consegue che non vi è dubbio che la costituzione di parte civile deve essere sottoscritta dalla parte. L’atto di costituzione di parte civile – al pari di ogni scrittura privata – presuppone per la sua esistenza la sottoscrizione del soggetto legittimato. Ed è solo in ragione di tale sottoscrizione che l’atto è destinato a dispiegare gli effetti anche di ordine probatorio che la legge gli assegna (art. 2702 c.c.). Pertanto, ove manchi la sottoscrizione della parte, viene in essere un vizio radicale dell’atto, che deve essere rilevato in ogni stato e grado del giudizio.
Allo stesso tempo, va tenuto presente che l’azione civile può essere esercitata anche a mezzo di procuratore speciale (art. 76, co. 1 cod. proc. pen.), sicché non v’è dubbio che la dichiarazione di costituzione sottoscritta dal difensore munito di procura speciale presenta la sottoscrizione della “parte”.
Nel caso che occupa la sottoscrizione della costituzione di parte civile è del tutto immune da vizi perché sottoscritta dal difensore munito di procura speciale e a nulla rileva che la dichiarazione di volontà sia stata nel testo riferita alla persona del danneggiato; quel che importa è che la dichiarazione esista e che, con la sottoscrizione essa sia stata fatta propria da soggetto che può legittimamente imputarsela, com’è appunto il difensore munito di procura speciale (come ricordato dal ricorrente medesimo).
4.2. Parimenti infondati sono i motivi di ricorso che investono il diniego di riconoscere l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000.
La causa di estinzione ricollegata alle condotte riparatorie è prevista, per i reati di competenza del giudice di pace, dal già ricordato D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35 che, al comma 1, prevede questa forma di definizione del processo “quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato”.
Prosegue il cit. D.Lgs., art. 35, comma 2 con la precisazione che la sentenza di estinzione è consentita solo se il giudice di pace “ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”.
Non coglie il vero il decidente quando afferma la necessità che il risarcimento del danno sia riconducibile direttamente e personalmente all’imputato, tal che non avrebbe positiva incidenza il risarcimento che fosse avvenuto ad opera della compagnia di assicurazione.
Questa Corte ha preso in esame l’orientamento che afferma una simile necessità in relazione alla attenuante prevista dall’art. 62, n. 6 cod. pen. (v. Cass., sez. 6, 9 novembre 2005 n. 46329, ******, rv. 232837; peraltro precedente a Cass. S.U., sent. 22-1-2009 n. 5941/2009 che, pur mettendo in rilievo la ricorrenza comunque di un profilo “volontaristico” nell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 2 nel senso che l’intervento risarcitorio deve essere riferibile all’imputato, ha concordato con la Corte Costituzionale – sentenza n. 138/1998 -in ordine al carattere oggettivo della circostanza in questione, ravvisando la volontà di riparazione anche nell’avere stipulato un’assicurazione o nell’avere rispettato gli obblighi assicurativi per salvaguardare la copertura dei danni derivanti dall’attività pericolosa. Ne discende che il risarcimento – anche quello eseguito dalla società assicurativa – deve ritenersi effettuato personalmente dall’imputato tutte le volte in cui questi ne abbia coscienza e mostri la volontà di farlo proprio. Nel medesimo senso Cass. Sez. 4, Sentenza n. 13870 del 06/02/2009, ***********, Rv. 243202; Sez. 4, Sentenza n. 14523 del 02/03/2011, Di Gioia, Rv. 249937), dando conto delle ragioni per le quali va preferita una diversa interpretazione dell’art. 35 cit..
Si è osservato che ricollegare alla formulazione letterale del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35, comma 1 la soluzione rinvenuta per l’art. 62, n. 6 cod. pen. significa rifarsi ad un criterio di interpretazione del tutto formalistico e avulso dalla realtà dei rapporti sociali. L’assicurazione per i danni cagionati dalla circolazione stradale ha infatti carattere di obbligatorietà e sarebbe insensato pretendere che una persona proceda ad un risarcimento personale in presenza di un contratto di assicurazione sulla cui base, in concreto, sia avvenuto un risarcimento integrale dei danni cagionati.
A ben vedere, diversamente opinando si porrebbe il reo nella condizione di dover precludere (e come?) il risarcimento ad opera della compagnia, per provvedervi personalmente, oppure aggiungere a quello eseguito dalla prima il risarcimento personale. Evenienze entrambe di dubbia ragionevolezza.
Inoltre, una simile interpretazione condurrebbe ad una totale disincentivazione delle cause deflattive che il D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 34 e 35 sono dirette invece ad incrementare (Sez. 4, n. 15248 del 29/02/2008 – dep. 11/04/2008, P.G. in proc. ******, Rv. 240212).
4.3. Tuttavia, perché la causa di estinzione del reato possa operare è pur sempre necessario che il risarcimento risulti integrale. Nel caso che occupa il Tribunale ha implicitamente rilevato la parzialità del risarcimento, laddove ha evidenziato che il F.O. avrebbe potuto – e dovuto, per conseguire l’effetto estintivo – procedere a versare la differenza tra l’insufficiente massimale di polizza e l’ammontare del danno.
Il ricorrente evoca, a tal ultimo riguardo, di essersi trovato nell’impossibilità di eseguire tale integrazione risarcitoria per il fatto di non essere a conoscenza dell’entità complessiva del danno. In effetti, il giudice di prime cure ha demandato la liquidazione del danno risarcibile al giudice civile, per la complessità delle operazioni necessarie a tale determinazione. Tuttavia, il F. ha avuto in ogni caso un termine di riferimento al quale rapportarsi per fare fronte alla prestazione risarcitoria; esso consiste nell’ammontare del danno che è stato comunicato dal danneggiato alla società assicuratrice, pari a circa 4 milioni di euro. Né può ritenersi che tale indicazione non possa avere rilievo ai fini che qui occupano perché proveniente dal danneggiato e quindi, in ipotesi, non avallata dall’accertamento giudiziale. È sufficiente rammentare, al riguardo, che l’art. 35 cit. intanto annette al risarcimento la (possibile) attitudine estintiva del reato in quanto esso sia intervenuto prima dell’apertura del dibattimento. Tanto dimostra che la quantificazione del danno operata dal danneggiato è, in assenza di altra indicazione, termine obbligato di riferimento.
Pertanto, ancorché sulla scorta di una motivazione in parte non in linea con i principi giuridici qui ricordati, il giudizio espresso dal giudice di seconde cure in ordine al mancato perfezionamento della fattispecie estintiva per non essere dimostrata un’effettiva volontà dell’imputato di riparare per quanto a lui possibile il danno procurato resta esente da vizi che valgano a travolgerlo.
5. Le considerazioni appena formulate rendono manifeste le ragioni per le quali risultano infondati anche i restanti motivi di ricorso. Ricordato che “la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 6, n. 33105 del 08/07/2003 – dep. 05/08/2003, P.G. in proc. *****, Rv. 226534), il motivo concernente la mancata escussione del dr. L. è infondato, tenuto conto di quanto si è sopra evidenziato circa gli elementi correttamente valorizzati dal giudice in funzione del giudizio di insussistenza di una volontà riparatrice da parte dell’imputato.
Quanto al motivo concernente la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen., mette conto rilevare che anche siffatta circostanza presuppone l’integrale risarcimento del danno (oltre alle restituzioni, ove possibili).
6. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che si liquidano in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Redazione