Reato di truffa per il datore di lavoro che dichiara all’INPS di avere pagato un’indennità di maternità, ma in realtà la dipendente non ha ricevuto nulla (Cass. pen. n. 29455/2013)

Redazione 10/07/13
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Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale della medesima città in data 23.3.2010 di condanna di V.C. per il delitto di truffa avendo quest’ultimo falsamente dichiarato all’INPS di avere pagata ad una lavoratrice una indennità di maternità.
2. Ricorre assistito da difensore l’imputato, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di Appello: 1) ritenuta integrata la fattispecie di truffa in luogo della figura di reato descritto nell’art 37 legge n. 689/1981 pur essendosi l’imputato limitato ad effettuare una dichiarazione infedele senza inoltre porre in essere gli artifizi e raggiri integranti elementi di fattispecie del reato di truffa; 2) per aver giudicato le circostanze attenuanti meramente equivalenti e non prevalenti rispetto alla circostanza aggravante senza congrua motivazione a sostegno.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
Così nel primo motivo, avendo questa Corte stabilito che integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria (art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689), la condotta dei datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva. (La Corte ha precisato che il meno grave reato di cui all’art. 37 citato si differenzia dalla truffa sia per l’assenza di artifici e raggiri sia per la finalizzazione del dolo specifico, diretto ad omettere il versamento in un tutto o in parte di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatoria) (Cass. sez. II, 3.10.2012, n. 42937). Nel caso di specie l’imputato ha realizzato una condotta esattamente in termini, avendo dichiarato ogni mese all’INPS, con le prescritte denunce contributive, di aver corrisposto somme invece mai corrisposte ai propri dipendenti. Cosicché la Corte territoriale ha fatto esatta applicazione dei principio di diritto, di cui nulla si dice nel ricorso.
Quanto al giudizio sulle circostanze, l’equivalenza tra aggravanti e circostanze attenuanti generiche è correttamente motivata con riguardo alla gravità oggettiva del fatto, sottolineata in maniera attenta dalla Corte di merito, che rileva come il datore di lavoro abbia privato la propria lavoratrice dello specifico reddito mensile costituito dalla indennità di maternità, privandola di mezzi essenziali proprio in situazioni di vita di particolare delicatezza.
2. Ne consegue il rigetto del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorsa e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione