Reato di invasione di edifici o terreni (Cass. pen. n. 40571/2013)

Redazione 01/10/13
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Osserva

Con decreto del 10.10.2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Messina dispose il sequestro preventivo di un immobile sito in via (omissis) nei confronti di P.B., indagato per i reati di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p..
Avverso tale provvedimento, il difensore dell’indagato propose istanza di riesame, e il Tribunale del Riesame di Messina con ordinanza del 15.11.2012, confermava il decreto.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione in relazione agli artt. 321 c.p.p. e 104 disp. att, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto la sussistenza del “fumus commissi delicti” dei reati ed il “periculum in mora”.
Violazione del principio del “ne bis in idem”. Carenza, mancanza e manifesta illogicità della motivazione; travisamento del fatto e della prova, sotto i seguenti profili: 1) II Tribunale si è limitato alla mera configurabilità astratta del reato di cui all’art. 633 c.p., senza valutare le concrete risultanze processuali e l’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, in particolare il fatto che il sopralluogo della polizia municipale era relativo ad altro e precedente giudizio penale vertente sui medesimi fatti e per il quale il P. è stato assolto nel merito; 2) Il Tribunale non ha adottato alcuna motivazione circa lo stato di necessità del P. ; 3) Il Tribunale del riesame ha valutato la precedente assoluzione dell’indagato per analoghe condotte di reato quali non integrante il principio del “ne bis in idem”, ritenendo che vi è un nuovo accertamento ed il perfezionarsi di un nuovo reato, del tutto distinto da quello coperto dal giudicato, ancorando tale ragionamento alla permanenza del reato. Il Tribunale del Riesame, però, fa un’analisi superficiale, non tenendo in debita considerazione la motivazione della sentenza assolutoria rispetto alla permanenza del fatto reato, e delle ragioni della permanenza medesima. Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato, e va accolto.
2. Nel caso di invasione di terreni o edifici di cui all’art.633 c.p. la nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente” e cioè “contra ius”, in quanto privo del diritto di accesso. La conseguente “occupazione” deve ritenersi pertanto “l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva occupazione” (cfr, ex plurimis, Cass. Sez. II, sent. n. 49169/2003 Rv.227692), e comporta una turbativa riconducibile ad una sorta di “spoglio funzionale”, idoneo a comprimere, in tutto o in parte, le facoltà di godimento e destinazione del bene (Cass. Sez. II, sent. n. 6492/2003 Rv. 223597). Va, poi, considerato che la norma di cui all’art. 633 c.p. intende tutelare non la proprietà in senso giuridico civilistico, bensì la posizione di fatto tra soggetto e bene (Cass. Sez. II, sent. n. 44902/2008 Rv. 241968), e che l’elemento psicologico del reato, caratterizzato dal dolo specifico, non richiede per la sua sussistenza che il profitto propostosi dall’agente sia strettamente patrimoniale e direttamente realizzabile con l’invasione (Cass. Sez. II, sent. n. 8107/2000 Rv 216525), potendo consistere in qualsiasi utilità diretta o indiretta (Cass. Sez. II, n. 1763/2002), e può consistere anche nell’uso strumentale dell’invasione al conseguimento di particolari scopi (Cass. Sez. II, sent. n. 8107/2000). La condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell’introduzione dall’esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione; la norma di cui all’art. 633 c.p., infatti, non è posta a tutela di un diritto ma di una situazione di fatto, per cui tutte le volte che il soggetto sia entrato legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato (Cass. Sez. II, sent. n. 23756/2009 Rv. 244667; Sez. II, sent. n. 44902/2008 Rv. 241968; Sez. II, sent. n. 2337/2006 Rv. 233140). La sola, ed eventuale, consapevolezza dell’illegittimità dell’invasione di un altrui bene immobile non vale poi, di per sé, a rendere configurabile il dolo specifico richiesto per la sussistenza del reato di cui all’art. 633 c.p., caratterizzato dalla finalità di occupare l’immobile o di trame altrimenti profitto (Cass. Sez. II, sent. n. 14799/2003, Rv. 226432).
3. Con ordinanza n.53 del 7.2.2012, il Comune di Messina ordinava lo sgombero dell’area abusivamente occupata ed il conseguente ripristino dello stato dei luoghi, in relazione al manufatto di mq. 70 circa adibito ad abitazione sito in (omissis) (via (omissis) ). A seguito di sopralluogo effettuato il 20.9.2012, la Polizia Municipale di Messina accertava la permanente occupazione da parte dell’indagato dei manufatti abusivi.
4. Nella fattispecie, è pacifico che il P. sia stato sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto reato (ossia per l’occupazione dell’area pubblica di cui è stato disposto il sequestro, fatto accertato il 5.3.1998) e che sia stato assolto perché il fatto non sussiste con sentenza del 20.10.2004, irrevocabile il 5.1.2005.
5. Il Tribunale del Riesame, tuttavia, ha ritenuto sussistente l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, e la legittimità del sequestro preventivo in quanto presupponente il solo “fumus” del reato ipotizzato, ritenendo che nella fattispecie non può ritenersi integrata una delle ipotesi in cui il soggetto “entrato legittimamente in possesso del bene, prosegua nell’occupazione contro la sopraggiunta volontà dell’avente diritto”, in quanto l’assoluzione dell’indagato in altro procedimento per analoghe condotte di reato consente di accertare il perfezionarsi di un nuovo reato, del tutto distinto da quello coperto da giudicato. L’oggetto di tale pronuncia (ossia l’accertamento della mancanza del dolo del ricorrente nella condotta di occupazione di una baracca realizzata su suolo pubblico, sussistendo lo stato di necessità) non solo non appare idoneo ad escludere l’astratta configurabilità della fattispecie di reato, almeno dalla data della suddetta pronuncia, ma fornisce la prova positiva in ordine alla natura illecita della condotta dallo stesso tenuta. “Si deve infatti ritenere che l’indagato abbia con la stessa acquisito contezza della natura illecita di tale occupazione e che abbia nondimeno perseverato in suddetto insediamento, rispetto al quale deve ragionevolmente ritenersi che vi sia stata una iniziale condotta invasiva”.
6. Le considerazioni del Tribunale non possono essere condivise; infatti, la permanenza nell’immobile occupato dal ricorrente, e nel quale lo stesso è rimasto dopo la pronuncia della sentenza di assoluzione, e nonostante l’ordinanza di sgombero, non può essere considerata “invasione” così come richiesto dalla norma, e come sopra illustrato in conformità alla giurisprudenza di questa Corte. Né può ritenersi a tal fine “l’iniziale condotta invasiva” di un reato dal quale con sentenza passata in giudicato l’indagato è stato assolto, e che pertanto non può essere considerato “permanente” al momento del sopralluogo del 20.9.2012. La condotta addebitata all’indagato, non integrando gli estremi del delitto ipotizzato, allo stato, potrà assumere rilevanza ai soli fini amministrativi e civili, ma non a quelli penali.
7. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata. Venendo meno gli stessi presupposti per il sequestro preventivo, il fondo va restituito alla persona nei cui confronti è stato effettuato il sequestro. Ai sensi dell’art. 626 c.p.p., il dispositivo della sentenza deve essere comunicato al Procuratore ******** presso la Corte, perché dia i provvedimenti occorrenti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il provvedimento di sequestro preventivo emesso in data 10.10.2012 del GIP del Tribunale di Messina e dispone la restituzione del bene all’avente diritto. Si provveda a norma dell’art. 626 c.p.p..

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