Reato di ingiuria per il docente che dà dell’asino a un proprio alunno (Cass. pen. n. 3197/2013)

Redazione 22/01/13
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Ritenuto in fatto

1. Il 04/02/2011, il Tribunale di Rossano confermava la sentenza del Giudice di pace della stessa città, con la quale F.T. era stata condannata alla pena di Euro 280,00 di multa per il reato di cui all’art. 594 cod. pen., nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, G.L. I fatti si riferiscono a presunte offese verbali rivolte dall’imputata al L., vuoi direttamente vuoi all’indirizzo dei genitori di quest’ultimo, all’epoca studente presso la scuola dove la stessa F. insegnava lettere (anche la madre della parte civile era professoressa, e dalla motivazione della pronuncia emerge quale fatto assodato che i rapporti fra le due colleghe fossero conflittuali): l’odierna ricorrente, trovandosi a casa del L., gli avrebbe detto che era un asino, un bugiardo, un handicappato, una nullità, e che riusciva ad andare avanti negli studi solo per l’interessamento della madre; ai genitori del ragazzo avrebbe invece rappresentato, falsamente, che G. era spesso assente da scuola ed aveva pessimo profitto.
Disattendendo le censure dell’appellante verso la sentenza di primo grado, il Tribunale riteneva provati i fatti oggetto di contestazione, sulla base delle concordi deposizioni dei testimoni Ge.Lo. e C.M. (padre e madre della persona offesa), nonché di A.M. , loro vicina di casa, la quale aveva dichiarato di avere visto la F. recarsi presso l’abitazione dei L. e di averla sentita gridare, pur senza comprendere il senso delle parole da lei pronunciate, dopo di che – vedendo uscire la stessa imputata e il padre di G. – aveva suonato al campanello trovando la M. in lacrime assieme al figlio, apprendendo che l’insegnante aveva dato dell’asino al giovane. Il giudice di appello non riconosceva invece valore decisivo alle dichiarazioni dei testimoni della difesa, che comunque non avevano assistito all’episodio e si erano limitati a riferire dei non buoni rapporti tra la F. e la M.
Ribadiva quindi il carattere oggetti va mente ingiurioso degli epiteti in rubrica, che dovevano intendersi esulare dai limiti di una normale dialettica fra un’insegnante ed i suoi alunni, come già ritenuto in casi analoghi da precedenti giurisprudenziali.
2. Il difensore dell’imputata propone ricorso per cassazione, articolato in più motivi.
2.1 Si duole in primis dell’erronea vantazione delle prove assunte da parte dei giudici di merito, dal momento che i testi da cui provengono le dichiarazioni accusatorie non potrebbero considerarsi indifferenti (con riguardo ai genitori del presunto ingiuriato) né attendibili, visto che la M. – peraltro il Giudice di pace aveva individuato in altra teste, tale C..A. , la persona che aveva riferito della visita della F. a casa L. – non era stata in grado di precisare come avesse potuto riconoscere la voce dell’imputata, se proveniva da uno dei numerosi appartamenti dello stabile.
Inoltre, le asserzioni di G.L. su pretese dimostrazioni di prevenzione della professoressa di lettere nei suoi confronti o su ulteriori specifici episodi, per quanto estranei al capo d’imputazione, erano state smentite dal preside, dal vice-preside e da altri insegnanti, tutti concordi nel dipingere la F. come una docente scrupolosa. Risultava peraltro oggettivamente poco credibile che l’imputata, essendo tutt’altro che amica della M. , si fosse recata proprio a casa della collega per parlare del rendimento scolastico del figlio di costei; ed ancora illogico era che il ragazzo, dopo il riferito trauma subito per effetto dell’aggressione verbale compiuta dalla professoressa, si fosse trovato il giorno successivo a sostenere una prova d’esame in piena tranquillità, come dichiarato da lui stesso.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa dell’imputata lamenta che il Tribunale non ha ritenuto di trarre alcun elemento di valutazione dalla circostanza che un diverso studente aveva presentato analoga querela nei confronti della professoressa F. , per ingiurie e lesioni colpose, con un conseguente processo che tuttavia si era risolto con l’assoluzione piena della ricorrente.
2.3 In ordine al contenuto delle presunte frasi con cui l’imputata avrebbe apostrofato il L. , il difensore sostiene che esse non potrebbero mai ritenersi avere carattere ingiurioso, essendo pacifico in giurisprudenza il principio che impone di ricondurre al legittimo esercizio del diritto di critica le considerazioni espresse da un docente nei riguardi di un alunno nell’ambito dell’attività di insegnamento. In ogni caso, la motivazione della sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto della necessità di ricorrere, per valutare la concreta offensività di una condotta che si assuma rilevante ex art. 594 cod. pen., ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dei soggetti coinvolti ed al contesto in cui le espressioni risultino essere state pronunciate.
2.4 Infine, viene lamentata carenza di motivazione della pronuncia quanto al riconoscimento di un danno non patrimoniale in favore della parte civile, come pure in ordine alla quantificazione delle spese per la costituzione e la rappresentanza della medesima.

 

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile, sotto un triplice profilo.
1.1 Innanzi tutto, appare evidente che la F. mira a prospettare una ricostruzione del merito della vicenda alternativa rispetto a quella fatta propria dal Tribunale.
Alla Corte di Cassazione deve invece ritenersi preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendo il giudice di legittimità soltanto controllare se la motivazione della sentenza di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. Quindi non possono avere rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti, “non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842 del 02/12/2003, ****).
Né i parametri di valutazione possono dirsi mutati per effetto delle modifiche apportate all’art. 606 cod. proc. pen. con la legge n. 46 del 2006, essendo stato affermato e più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma “gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio” (Cass., Sez. V, n. 8094 dell’11/01/2007, *****, Rv 236540).
Non vale pertanto insistere sulla significatività dell’intervenuta assoluzione dell’imputata da altro addebito di ingiuria (oltre che di lesioni colpose) in danno di un diverso alunno, circostanza che non esclude certamente la responsabilità della F. per i fatti qui contestati, comunque diversi; né sulla valutazione di attendibilità da riconoscere o meno alla teste M. . La motivazione della sentenza impugnata è infatti più che congrua sull’analisi della deposizione della testimone indicata, senza la necessità di dover verifica re fino a che punto la voce della ricorrente fosse da lei riconoscibile (visto che la M. non si limitò a riferire di aver sentito un grido indistinto, ma che ciò accadde dopo aver notato fisicamente l’imputata giungere presso l’abitazione dei suoi vicini): è peraltro di solare evidenza che il Giudice di pace, nel menzionare tale C..A. – persona mai escussa – quale soggetto che aveva offerto il contributo ascrivibile in realtà alla M. , incorse in un chiaro errore materiale.
1.2 In punto di non ravvisabilità in astratto di una condotta ingiuriosa, avuto riguardo alle frasi che secondo la rubrica sarebbero state pronunciate dalla F. , gli argomenti esposti in ricorso debbono ritenersi manifestamente inconsistenti.
Non va dimenticato che nel caso in esame l’imputata, insegnante di G..L. , avrebbe definito lo studente non solo un “asino” (epiteto che potrebbe, in linea di principio, riconnettersi ad una manifestazione critica sul rendimento del giovane, con finalità correttive), ma anche un bugiardo, un handicappato e una nullità: espressioni obiettivamente denigratorie e indicative di volontà offensiva in capo a chi ebbe ad usarle, tanto più se con l’aggiunta che il profitto scolastico del L. doveva ritenersi ingiustamente condizionato in positivo da chissà quale interessamento della di lui madre.
Anche solo menzionando a titolo esemplificativo i numerosi precedenti giurisprudenziali segnalati nel ricorso, al fine di sostenere la tesi contraria, si rinviene del reato la prova conclamata della possibilità di ricavarne semmai la conferma dell’assunto accusatorio.
Circa la necessità di contestualizzare le frasi di cui si voglia affermare l’idoneità a ledere l’onore altrui, va infatti ricordato che la sentenza di questa Sezione n. 39454 del 03/06/2005 (imp. *******) si riferiva alla ben diversa espressione “siete venuti a rompere le scatole”, peraltro proferita nel contesto di un vivace scambio verbale tra professoresse, e non già tra insegnanti ed alunni. E, più in particolare sulla necessità di ricorrere in subiecta materia ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità di offeso ed offensore, risulta non attagliarsi alla fattispecie oggi in esame la sentenza n. 21264 del 19/02/2010 (ancora di questa Sezione, imp. ******): il caso riguardava infatti il contenuto di una lettera scritta da un genitore ad una delle professoresse del figlio, dopo aver appreso della sua bocciatura scolastica, nella quale si utilizzavano espressioni denigratorie e volte ad insinuare una volontà di ingiusto trattamento dell’alunno da parte dell’insegnante.
Sulla legittimità di giudizi critici rivolti verso un sottoposto da parte di chi si trovi in una posizione lato sensu di superiorità, è stato sostenuto che “in tema di ingiuria, affinché una doverosa critica da parte di un soggetto in posizione di superiorità gerarchica ad un errato o colpevole comportamento, in atti di ufficio, di un suo subordinato, non sconfini nell’insulto a quest’ultimo, occorre che le espressioni usate individuino gli aspetti censurabili del comportamento stesso, chiariscano i connotati dell’errore, sottolineino l’eventuale trasgressione realizzata. Se invece le frasi usate, sia pure attraverso la censura di un comportamento, integrino disprezzo per l’autore del comportamento, o gli attribuiscano inutilmente intenzioni o qualità negative e spregevoli, non può sostenersi che esse, in quanto dirette alla condotta e non al soggetto, non hanno potenzialità ingiuriosa” (Cass., Sez. I, n. 185 del 23/10/1997, **********; v. anche Sez. V, n. 6758 del 21/01/2009, *********, secondo cui “il potere gerarchico o, comunque, di sovraordinazione consente di richiamare, ma non di
ingiuriare il lavoratore dipendente o di esorbitare dai limiti della correttezza e del rispetto della dignità umana con espressioni che contengano un’intrinseca valenza mortificatrice della persona e si dirigano più che all’azione censurata, alla figura morale del dipendente, traducendosi in un attacco personale sul piano individuale, che travalichi ogni ammissibile facoltà di critica”).
Con particolare riguardo alla sussistenza ed ai limiti del diritto di critica di un insegnante rispetto a comportamenti che egli rilevi in ambito scolastico, la sentenza di questa Sezione n. 43586 del 19/09/2007, imp. *****, ancora invocata dalla ricorrente, non si riferisce affatto a condotte di un alunno sulle quali un professore aveva espresso valutazioni, bensì all’osservazione – rivolta da un insegnante ad un collega, in occasione di un consiglio di classe – sul rendimento di uno studente portatore di handicap, regredito dopo che questi era stato affidato al docente in ipotesi ingiuriato; ben altri principi si ricavano invece dalla costante giurisprudenza, correttamente richiamata in motivazione dal Tribunale di Rossa no, secondo la quale “in tema di ingiuria non sussiste la finalità correttiva ed educativa quando la valenza mortificatrice dell’espressione offensiva travalichi e ponga in ombra qualsiasi funzione di colloquio e di stimolo che possa derivare dal rapporto pedagogico intercorrente fra le parti” (Cass., Sez. V, n. 12510 del 28/10/1994, *********).
1.3 Inammissibile perché del tutto generico è infine il motivo di ricorso in punto di statuizioni concernenti il risarcimento del danno lamentato dalla parte civile, e la liquidazione delle relative spese di rappresentanza: già il giudice di appello, infatti, aveva opportunamente evidenziato come nell’atto di impugnazione non fosse stato in alcun modo spiegato per quale motivo il L. non avrebbe avuto da quella condotta alcun pregiudizio di carattere non patrimoniale.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’imputata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Redazione