Reato di ingiuria – Le dichiarazioni della parte offesa sono ugualmente valutabili e utilizzabili ai fini della tesi di accusa (Cass. pen. n. 8558/2012)

Redazione 05/03/12
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Fatto e diritto

Con sentenza 13.1.2011, il tribunale di Lecce, sezione distaccata di Gallipoli, ha confermato la sentenza 14.10.09 del giudice di pace di Gallipoli, con la quale C.E. è stata condannata alla pena di Euro 200 di multa, al risarcimento dei danni, alla rifusione delle spese,in favore della parte civile, perché ritenuta colpevole del reato di ingiuria in danno di Ca.Ma. , proferendo gli epiteti faccia di troia, faccia di puttana.
Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
1. violazione di legge, in riferimento agli artt. 150 disp. Att. 208, 493, 503 cpp, in quanto l’esame dell’imputata è stato seguito da quello della persona offesa. Nessuna parte aveva chiesto l’esame della Ca. , al momento della presentazione della lista o della richiesta di ammissione delle prove, mentre la querelante, che è avvocato, ha chiesto il proprio esame per ultimo, sottacendo che non era stato ammesso in precedenza. Il giudice di pace non ha poi consentito all’imputata di fornire alcuna prova contraria, costituita da documenti allegati a una memoria ex art. 121 cpp, da contrapporre alla prova nuova, costituita dall’esame della persona offesa.
Il giudice di pace ha dato come giustificazione la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, avvenuta all’udienza 11.3.09, differendo il processo ad altra udienza per la discussione finale. Questo argomento è smentito dal p.v. dell’udienza 14.10.09, da cui risulta che “Il giudice di pace esaurita la discussione dichiara chiuso il dibattimento e si ritira per deliberare”; quindi i documenti potevano essere acquisiti.
2. vizi di motivazione sulla ricostruzione dei comportamenti dell’imputata e della persona offesa, nonché sulla valutazione della credibilità dei testi di accusa e dei testi di difesa. La corte non ha fatto riferimento alle situazioni oggettive di inattendibilità e di interesse della persona offesa/parte civile. In particolare nella sentenza non si richiama la sentenza del tribunale di Lecce,sezione di Gallipoli, confermata dalla corte di appello. Con tale sentenza P..S. e ********* (rispettivamente fratello e padre della persona offesa) sono stati riconosciuti colpevoli dei reati ex artt. 110,393, 582 e 585 cp, in danno di C.G. .
3. violazione di legge, in riferimento all’art. 599 cp., vizio di motivazione : nell’impugnata sentenza nulla si dice sull’esimente, costituita dall’aggressione fisica subita dalla C. e da suo nipote, ad opera di familiari, nonché comproprietari e soci della persona offesa.
Nella comparsa di risposta, depositata dalla persona offesa nel giudizio civile avente ad oggetto azioni di recinzione e confinamento su terreni confinanti, sono formulate accuse, nei confronti dell’imputata e della sorella fortemente denigratorie. Questo comportamento costituisce un fatto ingiusto, idoneo a integrare l’esimente della provocazione.
Con memoria depositata il 23.11.2011, la ricorrente ha ulteriormente formulato critiche sulla credibilità della persona offesa sulla illogicità e carenza argomentativa della motivazione. I motivi del ricorso sono infondati.
Quanto alla censura di carattere processuale, si osserva che dagli atti emerge che il giudice, “terminata l’acquisizione delle prove” (art. 523 cpp) all’udienza 11.3.09, non ha ritenuto – secondo una valutazione non sindacabile e non censurabile in sede di giudizio di legittimità – la sussistenza di un “caso di assoluta necessità” legittimante “l’assunzione di nuove prove”, ex art. 507 cpp. Questa situazione di assoluta necessità non è stata ritenuta sussistente dal giudice di primo grado, neanche nella successiva udienza, programmata per la discussione finale, per cui, esaurita la discussione medesima, ex art. 524 cpp, ha dichiarato chiuso il dibattimento.
Il mancato rispetto dell’ordine fissato dal codice di rito per ciascuna parte nella esposizione delle proprie ragioni, è garantito a pena di nullità solo nell’ambito dello svolgimento della discussione, laddove l’art. 523 co. 5 cpp stabilisce che “In ogni caso l’imputato e il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano”. Correttamente il tribunale ha rilevato che le norme che stabiliscono l’ordine di assunzione delle prove hanno natura ordinatoria e per la loro violazione non è prevista alcuna ipotesi di nullità o di inutilizzabilità. La correttezza della decisione sul punto dei giudici di merito ha trovato conferma nella stesura del processo verbale dell’udienza 11.3.09, in cui non è rinvenibile alcuna traccia di eccezione sollevata dalla difesa dell’imputata. Dallo svolgimento e dall’esito del giudizio di appello non risulta alcuna rilevanza e, tanto meno la decisività delle prove documentali non acquisite dal giudice di appello.
Quanto al secondo motivo, espresso con ampia e talvolta ripetitiva argomentazione, va rilevato che la motivazione della sentenza impugnata ha espresso le sue valutazioni in maniera coerente sul piano logico, previa un’esauriente analisi delle risultanze processuali. Non può essere ritenuta viziata, sol perché ha disatteso una valutazione che, ad avviso di una delle parti, potrebbe dar luogo ad una diversa decisione. La conclusione della sentenza impugnata non è soggetta quindi ad alcun giudizio critico in sede di legittimità.
Come è ampiamente noto, il sindacato della S.C. ha un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di effettuare una “rilettura” degli elementi di fatto posti a suo fondamento, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito.
Quanto alle critiche sulla credibilità della testimonianza della persona offesa, va rilevato che questa prova dichiarativa, al pari di tutte le testimonianze, deve essere sottoposta al generale controllo sulle capacità percettive e mnemoniche del dichiarante, nonché sulla corrispondenza al vero della sua rievocazione dei fatti, desunta dalla linearità logica della sua esposizione e dall’assenza di risultanze processuali incompatibili, caratterizzate da pari o prevalente spessore di credibilità. Le dichiarazioni della p.o. costituita p.c. sono ugualmente valutabili e utilizzabili ai fini della tesi di accusa, poiché, a differenza di quanto previsto nel processo civile, circa l’incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, il processo penale risponde all’interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell’imputato, e non può essere condizionato dall’interesse individuale rispetto ai profili privatistici, connessi al risarcimento del danno provocato dal reato, nonché da inconcepibili limiti al libero convincimento del giudice.
Il controllo, nei confronti della Ca. , è stato effettuato in maniera esaustiva dalla sentenza del giudice di appello e pertanto le logiche conclusioni che ne ha tratto in merito alla responsabilità dell’imputata non sono meritevoli di alcuna censura in sede di legittimità. I contrasti indicati dalla ricorrente non hanno una rilevanza tale da ledere in maniera decisiva il compatto intreccio probatorio formato dalle dichiarazioni della querelante e dell’avvocato *********,che ha consentito la ricostruzione delle offese formulate dall’imputato. Costei ha compiuto movimenti labiali, espressivi di una delle parole usualmente utilizzate, per esporre in maniera volgare e diretta, nei confronti di destinatario di sesso femminile, un giudizio negativo sulla eticità di un suo comportamento o del suo stile di vita. Nell’identico contesto della controversia civile tra le due famiglie e del suo sviluppo in sede penale, la C. ha ribadito il giudizio negativo,precedentemente formulato in maniera afona., con espressione formulata a voce immediatamente percepibile dalla persona e dal teste, la cui credibilità, razionalmente è stata riconosciuta dai giudici di merito. Ai fini della ricostruzione e della valutazione delle condotte offensive della C. , logicamente non hanno ricevuto alcuna rilevanza l’ordine temporale della pronuncia nonché la precisa identità delle parole di uguale significato e di pari diffusione nel linguaggio corrente.
Va inoltre considerato che i giudici del presente processo sono stati chiamati a giudicare questo singolo episodio di conflittualità tra le due protagoniste,sorto nel contesto di un più ampio conflitto in corso tra i nuclei familiari, proprietari di terreni confinanti. Comunque non merita considerazione il tentativo della ricorrente di far confluire nel presente processo tutto questo conflitto, a cui segue il tentativo di richiamare, a fini di esimente, un precedente storico- già oggetto di altra sentenza penale – per auto investirsi del ruolo di difensore dell’onore della famiglia e della incolumità fisica dei familiari, nonché di vendicatrice contro chi abbia leso questi beni. Ancor meno gli atti del giudizio dinanzi al giudice civile possono essere inseriti e valutati a giustificazione dell’illecita offesa, precedentemente formulata in maniera afona. La fondatezza di questi atti, rientra esclusivamente nel perimetro valutativo del giudice civile.
La censure sulla ricostruzione sulla valutazione delle prove nella loro reiterazione e nella loro inammissibile dilatazione mantengono costante il carattere della totale infondatezza.
Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione