Reato di calunnia: non sussiste se non c’è il dolo (Cass. pen. n. 49365/2012)

Redazione 19/12/12
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto

G.R. e C.F., parti civili ricorrono ai soli effetti civili, a mezzo del loro difensore avverso la sentenza 21 aprile 2011 della Corte di appello di Milano che, in riforma della sentenza di condanna 13 maggio 2009 del G.U.P. presso il Tribunale di Lecco, ha assolto G.D. dall’accusa di calunnia in loro danno per difetto del dolo, dovendosi attribuire la falsa incolpazione alle deduzioni ed alla leggerezza dell’avvocato difensore, il quale, nel ricorso depositato avanti il giudice di pace, aveva sostanzialmente attribuito ai due agenti la redazione di un falso ideologico, consistito nell’affermazione che i due verbalizzanti “non avevano accertato de visu e personalmente la condotta stradale attribuita all’imputato stesso”.
Da ciò il proscioglimento e la revoca delle statuizioni civili.
I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta dalle parti civili inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo della scorretta interpretazione dell’art. 368 cod. pen. tenuto conto che l’esposizione dell’imputato, al suo difensore, di una circostanza non solo non vera ma calunniosa (falso ideologico dei pubblici ufficiali) integra l’azione esecutiva e la soggettività tipica del delitto di calunnia.
Con un secondo motivo si lamenta l’argomentazione della Corte di appello che, pur affermando la riferibilità alla parte ricorrente del contenuto dell’atto, descritto nell’impugnazione, l’ha limitata al solo significato storico dei fatti narrati e non alla loro qualificazione giuridica, nella specie ritenuta frutto dell’iniziativa del difensore e dovuta allo slancio difensivo del professionista.
Entrambi i motivi, tra loro correlati, non hanno fondamento e vanno quindi rigettati.
La Corte di appello di Milano, all’atto della vantazione dell’elemento soggettivo, il quale da corpo alla falsa prospettazione che integra il delitto di calunnia, ha ritenuto “incerta” la volontà calunniosa dell’imputato” in funzione dell’esercizio del suo diritto di difesa, ed in relazione alla particolare dinamica che ha caratterizzato lo sviluppo dei fatti.
La corte distrettuale infatti ha ritenuto di assolvere il G. ex art. 530 capoverso cod. pen. “a fronte di una certa leggerezza professionale e di una dubbia responsabilità penale dell’imputato”.
Tale giudizio, espresso con coerenza e rispetto alle emergenze processuali, non è in questa sede sindacabile sotto il profilo della violazione di legge o del vizio di motivazione, tenuto anche conto della correttezza dell’assunto della corte distrettuale, in punto di non sicura riferibilità soggettiva al G. delle improprie valutazioni giuridiche, svolte unilateralmente dal suo difensore, nel ricorso al Giudice di pace.
I ricorsi pertanto, nella verificata tenuta logica e coerenza strutturale del provvedimento impugnato, risultano infondati e le parti proponenti vanno condannate ex art. 616 C.P.P. al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle spese processuali.

Redazione