Reati tributari e sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (Cass. pen. n. 6306/2013)

Redazione 08/02/13
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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22 marzo 2012 il Tribunale di Lecco ha respinto l’istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo del 27 gennaio 2012 emesso dal gip dello stesso Tribunale a carico di B.F., indagato, quale legale rappresentante di Immobiliare F.P. ****** e istigatore, in concorso con T.F. ideatore e nel secondo e nel terzo reato anche autore materiale, dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, (perchè, utilizzando in compensazione nei modelli F 24 crediti inesistenti, non versava imposte e contributi in misura superiore a Euro 50.000), art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, (perchè, allo scopo di far evadere imposta sui redditi e *** alla società e assicurarsi l’impurità per il reato precedente, occultavano le scritture contabili dell’anno 2002 di cui è obbligatoria la conservazione così da non consentire la ricostruzione del reddito e del volume d’affari della società stessa) e art. 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, (per avere, allo scopo di consentire alla società di evadere l’imposta sui redditi, indicato nelle relative dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo per importi superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, evadendo così imposte per un ammontare superiore ad Euro 103.921,38).

L’ordinanza rileva, tra l’altro, che adduceva il ricorrente l’inapplicabilità del combinato disposto dell’art. 321 c.p.p., e art. 322 ter c.p., così come richiamato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, con riferimento a somme di denaro o altri beni di valore equivalente al profitto dei reati tributari contestati.

Osserva il Tribunale che tale problematica è stata oggetto di specifica valutazione della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass., sez. 3^, 26 maggio 2010 n. 25890 e Cass., sez. 3^, 7 luglio 2010 n. 35807) e risolta nel senso che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non solo per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, l’integrale rinvio alle disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p., contenuto nella L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, consentendo di affermare che, per i reati tributari, non solo il primo ma anche l’art. 322 ter c.p., comma 2, è applicabile.

2. Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso basato su un unico motivo: si denuncia la violazione dell’art. 322 ter c.p., per avere ritenuto, in tema di reati tributari, legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato.

Osserva il ricorrente che la confisca per equivalente è sanzione penale (come riconosciuto da S.U. 6 ottobre 2009 n. 38691), per cui è necessario rispetto del principio di legalità, senza quindi interpretazione estensiva, tanto meno in malam partem. Ma dinanzi all’eccezione di inapplicabilità ai reati contestati della confisca per equivalente il Tribunale si è limitato a richiamare giurisprudenza di legittimità secondo la quale sussiste integrale rinvio dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, all’art. 322 ter c.p., per cui sarebbe applicabile di quest’ultima norma non solo il primo ma anche il secondo comma, rilevando pertanto non solo il prezzo ma anche il profitto del reato, anche perchè l’interpretazione della norma secondo cui la confisca per equivalente sarebbe limitata al prezzo ne sancirebbe l’inapplicabilità ai reati tributari nonchè l’illogicità del dettato normativo (Cass. sez. 3^, 11 ottobre 2010 n. 42462).

Afferma il ricorrente che il suddetto orientamento va rivisto, essendo configurabile anche il prezzo del reato nei reati tributari.

Secondo l’accusa, infatti, il ricorrente ha concorso con il suo commercialista T.: poichè T. è stato pagato per l’assistenza professionale sussiste un prezzo del reato, per cui comunque non si priverebbe l’istituto della confisca per equivalente di efficacia operativa nei reati tributari.

Inoltre l’art. 322 ter c.p., comma 2, è una norma speciale e residuale rispetto al comma 1. E’ vero che la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, si riferisce all’intero art. 322 ter c.p.; ma se la confisca ha natura sanzionatoria penale, non vi è spazio per una interpretazione estensiva in malam partem, in considerazione del principio di precisione, corollario del principio di legalità (come evidenziano le già citate S.U. 2009 n. 38691). Poichè l’art. 322 ter c.p., differenzia i casi in cui è possibile confiscare il prezzo da quelli dove è possibile sequestrare il profitto, non si vede come ai reati tributari siano applicabili indifferentemente entrambi i commi, costituendo ciò proprio una interpretazione estensiva in malam partem. In conclusione, nella fattispecie la confisca può riguardare solo il prezzo perchè esiste un prezzo del reato e in tal modo si adotta l’interpretazione più restrittiva, cioè quella che va sempre scelta.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

Come rileva proprio il ricorrente, ed è evidenziato nell’ordinanza impugnata, l’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ai reati tributari non solo per quanto concerne l’ipotesi del prezzo, ma anche per quella del profitto del reato, è già stata affrontata da una giurisprudenza che può definirsi consolidata; giurisprudenza rispetto alla quale le osservazioni svolte nel ricorso non sono idonee a consentire mutamento. Lo stesso ricorrente, infatti, ammette che la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, si riferisce all’intero art. 322 ter c.p.; nè può attribuirsi alcuna incidenza all’opinione che il legislatore abbia effettuato il riferimento nella sua interezza “assai poco scrupolosamente” (ricorso, pagina 5), non essendo, questa, sede per valutazioni dottrinarie de jure condendo. Poichè, dunque, il rinvio integrale rende applicabili ai reati tributari entrambi i commi dell’art. 322 ter c.p., la loro applicazione non costituisce interpretazione estensiva, per cui non si pone alcun problema di violazione del principio di legalità. D’altronde, il rapporto tra il primo e il secondo comma della norma non comporta, nel caso dei reati tributari, l’inapplicabilità di entrambi, giacchè la differenza tra profitto e prezzo del reato (e quindi la sussistenza dell’uno e/o dell’altro) discende dalla natura del reato stesso (cfr. Cass., sez. 3^, 7 luglio 2010 n. 35807, che trae fondamento a proposito dei reati tributari proprio da S.U. 25 giugno 2009 n. 38691) e non si pone pertanto su un piano astratto ed esterno alla fattispecie criminosa (non sussiste infatti una norma che definisca la nozione di profitto del reato, locuzione utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa, occorrendo allo scopo non solo una correlazione diretta del profitto con il reato ma altresì una stretta affinità del profitto con l’oggetto del reato stesso: cfr. ancora S.U. 25 giugno 2009 n. 38691, nonchè S.U. 2 luglio 2008 n. 26654). E, nelle fattispecie criminose tributarie, la giurisprudenza ha individuato il profitto come integrato da qualsiasi vantaggio patrimoniale derivante dalla imposta evasa (da ultimo Cass. sez. 3^, 2 dicembre 2011-16 gennaio 2012 n. 1199 e Cass. sez. 5^, 10 novembre 2011-17 gennaio 2012 n. 1843); non si vede pertanto il motivo per ritenere inapplicabile a tali fattispecie criminose il sequestro preventivo in quanto finalizzato alla confisca per equivalente di un profitto nel caso concreto di indubbia sussistenza.

Nè infine, si osserva ad abundantiam, porta alcuna incidenza interpretativa in senso contrario il recente intervento del legislatore sull’art. 322 ter c.p., comma 1, laddove le parole “o profitto” sono state inserite a chiudere appunto il suddetto comma dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, (in probabile correzione di precedente omissione, dato che in precedenza il comma già si riferiva a “beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo”).

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, a ciò conseguendo la condanna alle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione