Reati contro gli animali: l’attività di Green Hill non è scriminata dalle norme speciali in materia di sperimentazioni scientifiche (Cass. pen. n. 16497/2013)

Redazione 11/04/13
Scarica PDF Stampa

Ritenuto in fatto

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale per il riesame di Brescia ha annullato il decreto di sequestro preventivo dell’1/10/2012 degli immobili appartenenti a Green Hill 2001 srl e di 2366 cani di razza beagle per i reati di cui agli artt. 544 ter, commi 1 e 3 c.p., e 544 bis c.p., già adottato nei confronti di R.G., quale amministratore unico e legale rappresentante della società Green Hill 2001 srl.
1.1. Quanto all’addebito di cui all’art. 544 ter c.p., consistito nella sottoposizione continuata di migliaia di cani, senza necessità, a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, il Tribunale ha osservato, richiamando decisioni di questa Corte, che, laddove una medesima situazione fattuale sia sussumibile da un lato nella norma codicistica e dall’altro nella normativa speciale richiamata dall’art.19 ter disp. att. c.p., deve escludersi l’applicabilità della prima ove l’attività sia stata svolta nel rispetto della normativa speciale, restando comunque sempre salva la configurabilità dell’art. 727 c.p.. Ciò posto, ha rilevato come oggetto sociale della Green **** fosse, del tutto lecitamente, l’allevamento di animali destinati alla vendita a società farmaceutiche che li utilizzavano per la sperimentazione di nuovi ritrovati terapeutici. Non essendo dunque ivi praticata alcuna sperimentazione, peraltro consentita ed anzi imposta dalle leggi, uniche norme applicabili nella specie erano quelle dell’art. 5 del d.lgs. n. 116 del 1992 e dell’allegato II indicante alcuni elementari principi guida per gli allevamenti la cui inosservanza è prevista come illecito amministrativo dall’art. 14, comma 1. Di qui, dunque, stanti i principi ricordati, l’integrazione, al più, non del reato contestato, ma di un illecito amministrativo. Solo condotte del tutto esulanti da tale ambito e trasmodanti in vessazioni o patimenti ingiustificati dalle esigenze dell’attività potrebbero trovare posto nella sanzione penale; in fatto, ha rilevato il Tribunale come di tali elementi manchi il necessario fumus avuto riguardo all’attività ispettiva iniziata e conclusa nella sola giornata del 18/7/2012, e agli esiti, in contrasto con tale attività, delle ripetute osservazioni svolte nel corso della ben più lunga pluridecennale attività di allevamento da cui erano risultate unicamente irregolarità formali sul piano documentale o situazioni del tutto marginali, comunque collocabili all’interno delle specifiche violazioni amministrative, e l’inesistenza, invece, in alcun modo, di situazioni di maltrattamento. Eventualmente potevano essere ravvisate, ove si fossero accertate conseguenze in termini di gravi sofferenze, situazioni di detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura. Quanto al tatuaggio praticato in luogo della identificazione a mezzo microchip, il Tribunale ha osservato come l’autorizzazione in tal senso del 5/4/2007 della Direzione Generale servizio veterinario Lombardia era idonea a far sorgere il convincimento sulla liceità del metodo.
1.2. Circa poi l’addebito di uccisione continuata di animali ex art. 544 bis c.p. in relazione al rinvenimento di 67 esemplari soppressi con eutanasia, sul quale il Gip ha omesso la motivazione, il Tribunale, esclusa l’applicabilità, in tal caso, del d. lgs. n. 116/92 in quanto non contemplante tale evenienza, ha ritenuto che, al fine di accertare, come imposto dal fatto che l’uccisione incriminata presuppone la mancanza di necessità (sì che la morte sarebbe scriminata solo se cagionata per evitare un danno grave non volontariamente causato né altrimenti evitabile), le ragioni della soppressione, sarebbe stata necessaria la valutazione di rilievi autoptici, tuttavia mai effettuati e di altri dati (quali ad esempio la reversibilità di malattie in caso di cure appropriate) nella specie non presenti. Di qui l’impossibilità di accertare il fumus del reato. Ha invece ritenuto sussistente l’ipotesi di cui all’art. 727 c.p. (non risultante come contestata) per i decessi dovuti all’ingestione di trucioli di segatura.
1.3. In ogni caso il Tribunale ha ritenuto mancante, anche a prescindere dalla contestuale operatività del sequestro probatorio già disposto e confermato, il periculum in mora atteso che, in considerazione del lungo tempo trascorso fuori dell’allevamento, i cani sarebbero ormai non più detenibili dalla Green Hill atteso il necessario presupposto, per la sperimentazione, di assenza di contaminazioni. Infine, con riguardo al sequestro dei cinque stabilimenti, il Tribunale ha rilevato, oltre alla eccessività, la superfluità del vincolo imposto attesa la limitazione delle irregolarità a pochi esemplari rispetto alle dimensioni dell’azienda e la modestia degli effetti.
2. Con un primo motivo il P.M. ricorrente si duole della inosservanza ed erronea applicazione di varie norme di legge; deduce che, affinché possa operare l’esimente dell’art. 19 ter cit., è necessario che la norma speciale contenga, oltre a sanzioni (nella specie l’art. 14 del d.lgs. cit.), anche un precetto che, però, nella specie mancherebbe (il combinato disposto dell’art. 5 e allegato II del d.lgs. n. 116 del 1992 conterrebbe unicamente, a mo’ di raccomandazione, mere norme non vincolanti).
Con un secondo motivo deduce che norma sanzionatoria penale e norma sanzionatoria amministrativa tutelano beni giuridici differenti sicché l’art. 19 ter cit. non esclude comunque che in caso di violazione dei precetti posti in sede amministrativa debbano essere applicate entrambe le fattispecie. Lamenta inoltre che il Tribunale non abbia fatto rientrare all’interno della condotta di maltrattamenti la volontaria deprivazione sensoriale degli animali allevati.
Con un terzo motivo lamenta che il Tribunale abbia ritenuto insufficiente l’osservazione svolta nel corso di un’unica giornata per ritenere il fumus dei reati posto che gli stessi (sia l’art. 544 ter sia l’art. 727 c.p.) sono reati istantanei e non abituali, come del resto ritenuto dallo stesso tribunale all’atto della conferma del decreto di sequestro probatorio, allorquando, inoltre, ha ritenuto sussistente il fumus del delitto di cui all’art. 544 ter c.p..
Con un quarto motivo deduce l’erronea applicazione degli artt. 19 ter disp. att. c.p., 544 ter c.p. e 14 d.lgs. n. 116 del 1992 posto che tra quest’ultima norma e la norma codicistica sussisterebbe un rapporto di sussidiarietà desumibile da clausola espressamente contenuta nel predetto art. 14.
Con un quinto motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 321 c.p.p., 544 ter e 544 sexies c.p.; si duole che il Tribunale abbia illegittimamente esaminato, al di là dei limiti assegnati al proprio giudizio, ed esigendo elementi che andassero al di là delle verifica fatta in una sola giornata, il merito stesso della causa violandosi in tal modo anche l’art. 321, comma 2, c.p.p. sulla cui base la confisca andava obbligatoriamente disposta. Con un sesto motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 321 c.p.p., 544 ter e 544 sexies c.p; si duole del fatto che il Tribunale, in virtù della presumibile vendita a terzi degli animali impeditiva di una protrazione di maltrattamento dei medesimi, abbia ritenuto insussistenti le esigenze cautelari senza considerare la previsione, nella specie, di una ipotesi di confisca obbligatoria.
Con un settimo motivo, deducendo erronea applicazione degli artt. 257, 321 c.p.p. e 544 bis e ter c.p. nonché 43 e 727 cp deduce, quanto al reato di cui all’art. 544 bis, che gli esemplari di cani morti cui il Tribunale si riferisce per affermare l’impossibilità di verificare la sussistenza di uno stato di necessità non si riferiscono al reato in questione posto che con riguardo a questo la contestazione trae fondamento dalle schede redatte dal veterinario ******** ove si attesta l’eutanasia di un certo numero di cani per ragioni non incompatibili con una buona qualità di vita sebbene per l’unico fine di eliminare un prodotto viziato e quindi non commerciabile stante le ragioni della soppressione, indicate nella stessa scheda come dovute alla presenza di dermatite. Quanto al decesso dei cani dovuto alla ingestione di trucioli, lo stesso va ricondotto, anziché all’art. 727 c.p. quale fattispecie individuata dal Tribunale, all’interno dell’art. 544 bis c.p. ovvero dell’aggravante del comma terzo dell’art. 544 ter c.p. essendovi stata la chiara rappresentazione da parte degli agenti del concreto pericolo che il materiale assorbente presentava per i cuccioli.

 

Considerato in diritto

3. Il ricorso deve essere in parte accolto in particolare con riferimento al terzo e quinto motivo.
Va anzitutto premesso che, secondo quanto previsto dall’art. 19 ter delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, introdotto dall’art,3, comma 1, della l. n. 189 del 2004, “le disposizioni del titolo IX bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente “. Tale norma, la cui ratio va evidentemente rinvenuta nella necessità di scriminare attività che, già riconosciute come lecite dalle leggi speciali, possano essere obiettivamente lesive della vita e della salute degli animali, incontra evidentemente il proprio limite applicativo nella funzionalità della condotta posta in essere rispetto agli scopi e alle ragioni posti a base della normativa speciale; il che equivale a dire, in altri termini, come già affermato da questa stessa sezione, che dette attività, segnatamente contemplate dalla suddetta norma di coordinamento, devono essere svolte, per potere essere esentate da sanzione penale, nell’ambito della normativa speciale stessa (cfr., con riferimento all’attività circense, Sez. 3, n. 11606 del 06/03/2012, P.M. in proc. *********, Rv. 252251). La norma in questione, alla pari di quella, generale, dell’art. 51 c.p. relativa alla scriminante dell’esercizio del diritto, appare, dunque, espressione del principio della necessaria coerenza dell’ordinamento giuridico, posto che un medesimo comportamento non può, allo stesso tempo, essere consenti o addirittura imposto, da una parte, e vietato dall’altra. Di qui, però, anche, appunto, la esigenza che le condotte in astratto rapportabili alle fattispecie di cui al titolo IX bis del libro II del codice penale si mantengano all’interno del perimetro di previsione della legge speciale, posto che la fuoriuscita anche solo in parte dai limiti della norma determinerebbe il venir meno della ratio sottesa all’art. 19 cit., e, dunque, fa piena riconducibilità all’interno delle norme penali.
3.1. Da tale premessa discende la conseguenza che, ove sia ravvisabile, in astratto, sovrapposizione tra norma speciale e norma penale, incombe sul giudice l’onere, in prima battuta, di verificare che, in effetti, l’attività concretamente posta in essere sia disciplinata da una legge speciale riconducibile all’interno delle materie tassativamente elencate dall’art. 19, e, in caso di soluzione affermativa, di accertare, successivamente, se le condotte che sarebbero integrataci di reato si siano svolte nei limiti consentiti o imposti dalla norma speciale individuata, dipendendo, peraltro, il grado di effettuazione di tale seconda disamina dalla fase processuale nella quale si versi, in stretta correlazione, come si dirà meglio oltre, con la latitudine, più o meno ampia, dei poteri di accertamento del fatto affidati al giudice.
Nella specie, il Tribunale del riesame, contrariamente a quanto lamentato dal P.M. ricorrente nel primo, secondo e quarto motivo di ricorso, ha proceduto senz’altro correttamente alla prima verifica : dopo avere rilevato che l’attività di allevamento, suscettibile di per sé di comportare l’eventuale sottoposizione degli animali a condizioni di vita non perfettamente in linea con la loro etologia, rientra all’interno dell’art. 19 ter cit., ha individuato nel d.lgs. n. 116 del 1992, ed in particolare nell’art.5, dedicato all’allevamento di “animali da esperimento”, e nell’allegato II, da detto articolo richiamato, la norma di possibile “copertura”, anche sotto un profilo sanzionatorio, affidato dall’art. 14 a sanzioni di natura amministrativa, delle condotte di specie, e ha dunque legittimamente affermato che “le condizioni di svolgimento dell’attività imprenditoriale di ********** 2001 s.r.l. trovavano un preciso codice di regolamentazione nelle prescrizioni…del d.lgs. 11&/92, integrato dall’allegato II, con tanto di misure sanzionatone in caso di inottemperanza”.
Va, però, precisato, che la suddetta normativa speciale, oltre a disciplinare le caratteristiche dell’attività di allevamento (in particolare attraverso l’allegato II) e dell’attività di sperimentazione (attraverso l’art. 6), pone, essa stessa, espressamente, i limiti che non devono essere oltrepassati in entrambe dette attività, pena, diversamente, secondo quanto previsto dall’art. 14, l’integrazione, “salvo che il fatto costituisca reato”, di illeciti amministrativi. Anzi, proprio l’art. 14 segnala significativamente che lo stesso legislatore ha riconosciuto come non funzionali e non necessarie alla attività di allevamento (oltre che all’attività di sperimentazione) tutte quelle condotte che vengano poste in essere in violazione dei precetti stabiliti in particolare dagli artt. 5 ed allegato II del decreto legislativo in parola, con conseguente esclusione, per quanto si è già detto in principio, dell’operatività della scriminante di cui all’art. 19 ter cit.. Lo stesso Tribunale appare, del resto, avere sostanzialmente colto tale punto, allorquando, con riguardo alla seconda disamina cui procedere, ha affermato doversi ritenere integrati i reati di cui agli artt. 544 bis e 544 ter c.p. laddove il trattamento degli animali sia stato attuato, rispetto alle linee guida dettate dal d.lgs. n. 116 del 1992 con modalità tali da sfociare in comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche (tanto più che, come rilevato sopra, lo stesso art. 14 fa espressamente salvi gli eventuali reati derivanti dal superamento dei limiti), ma ha poi esorbitato, nel valutare in concreto il fumus commissi delicti eventualmente riscontrabile proprio in conseguenza del superamento dei limiti posti dalla legge speciale, dai poteri esercitagli nella fase del riesame finendo per scandagliare funditus, come sostanzialmente lamentato dal ricorrente nel terzo e quinto motivo di ricorso, il fatto reato con approccio valutativo in realtà riservato alla sola fase dibattimentale. Va ricordato infatti che, seppure la giurisprudenza di questa Corte abbia progressivamente affermato nel tempo la necessità che il Tribunale del riesame tenga conto anche delle concrete risultanze processuali e degli elementi forniti dalla Difesa, con essi avendo l’onere di confrontarsi (da ultimo, Sez. 3, n. 19594 del 26/01/2011, Cinturino, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 6656 del 12/01/2010, *********, Rv. 246185; Sez.3, n. 27715 del 20/05/2010, *******, Rv.248134), il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta pur sempre, in necessaria coerenza con la fase delle indagini preliminari, che è di delibazione non piena, ed in assenza del requisito della gravità indiziaria, un giudizio di apprezzamento della plausibile sussistenza del fatto; si è, in particolare, specificato che la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare reale, da parte del tribunale del riesame, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale Ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria della antigiuridicità penale del fatto (per tutte, Sez. ***** 6 del 27/03/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. 5, n. 6252 del 19/11/1998, *******, Rv. 212511). Diversamente, si è detto, si finirebbe con lo utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione di poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale (cfr.: Sez, 6, n. 316 del 04/02/1993, ***********, Rv. 193854; Sez. 3, 14 ottobre 1994; ***********, non massimata sul punto; Sez.3, n. 1970 del 26 aprile 1996, ********,non massimata sul punto). Né tale limitazione cognitiva può ritenersi, appunto, superata, per effetto della necessità, incidente in particolare sul diverso aspetto del contraddittorio, di tenere conto delle argomentazioni difensive offerte.
3.1.1. Nella specie, invece, come già anticipato sopra, i giudici del riesame, travalicando i limiti di legge già indicati, hanno, con riguardo anzitutto all’addebito di cui all’art. 544 ter c.p., sostanzialmente proceduto a comparare gli esiti dell’attività ispettiva posta in essere nella giornata del 18/07/2012, e all’esito della quale vennero accertate, tra le altre, le anomalie segnatamente elencate a pag. 3 della stessa ordinanza impugnata ed incidenti, al di là dei limiti fissati dalla normativa speciale, su temperatura dei capannoni, condizioni igieniche dei luoghi, inadeguatezza di alimentazione, mancata somministrazione di farmaci, ed altro (tra cui, stando a pag. 5 del ricorso, la provocata deprivazione sensoriale degli animali), con la riscontrata prolungata situazione di sostanziale normalità quale sarebbe emersa, invece, all’esito di numerosi precedenti controlli posti in essere nel corso degli anni, giungendo quindi a ritenere la “sostanziale correttezza dell’operato della società e…un mantenimento degli animali in stato di benessere”. Così facendo, tuttavia, hanno, per di più illogicamente svalutando, sino a cadere in violazione dell’art. 125 c.p.p., gli esiti di una ispezione sol perché avvenuta in una sola giornata, proceduto ad un’opera di capillare disamina non consentita in tale fase.
3.1.2. Analoga violazione di legge va riscontrata, sempre nell’ambito dell’art. 544 ter c.p., anche con riguardo alla condotta di identificazione dei cani, pacificamente attuata, in numerosissimi casi (ed in assenza di alcun collegamento funzionale, non prospettato neppure dall’ordinanza, con la attività di allevamento), con la procedura del tatuaggio, assai dolorosa per l’impiego di molti aghi iniettanti inchiostro, in luogo di quella, più costosa, del microchip (vedi pag. 3 dell’ordinanza); il Tribunale ha, anche in tal caso, escluso il fumus del reato giacché l’intervenuta autorizzazione del 05/04/2007 del Dirigente della Direzione Generale servizio veterinario della Regione Lombardia, che aveva consentito una tale pratica, avrebbe fatto ragionevolmente sorgere il convincimento di ricorrere a un metodo lecito. Va tuttavia rammentato che, potendo l’analisi del giudice del riesame investire anche l’eventuale difetto dell’elemento soggettivo del reato, solo a condizione che lo stesso sia di immediato rilievo o emerga “ictu oculi” (Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, P.M. in proc. Di ******; Sez. 2, n. 2808 del 02/10/2008, ****** e altri, Rv. 242650; Sez. 1^, n. 21736 del 11/05/2007, *********, Rv. 236474), il Tribunale avrebbe dovuto considerare come l’art.13 del d. Igs. n. 116 del 1992 preveda espressamente che, con riguardo a cani, gatti e primati non umani, il marchio di identificazione individuale deve essere apposto “nel modo meno doloroso possibile”.
3.1.3. È fondato anche il sesto motivo del ricorso relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari, ritenute, nella specie, mancanti dal Tribunale; da un lato, il provvedimento impugnato, in luogo di valutare se il riottenimento in disponibilità degli animali da parte dell’indagata potesse agevolare la commissione di altri reati, ha, in violazione dell’art. 321 c.p., spostato l’attenzione su un momento successivo e del tutto ipotetico, quale quello di una possibile rivendita a terzi dei cani; dall’altro, non ha, in ogni caso, considerato che, come già argomentato dal Gip nell’adottare il provvedimento di sequestro, l’art. 544 sexies c.p. prevede la confisca obbligatoria degli animali in caso di condanna, tra gli altri, per il reato di cui all’art. 544 ter c.p..
Peraltro, avendo il P.M. ricorrente limitato le proprie censure al dissequestro dei cani, mentre nessuna doglianza è stata, nel corpo del gravame, sollevata con riguardo all’annullamento del sequestro degli immobili, il ricorso deve essere rigettato con riguardo appunto all’intervenuto annullamento del sequestro degli immobili stessi.
3.1.4. Infine, il settimo motivo è inammissibile in quanto generico. Premesso che il sequestro è intervenuto con riguardo a 2366 animali vivi al fine di evitare la reiterazione dell’illecito di cui all’art. 544 ter c.p., non si comprende, né il P.M. opera alcuna puntualizzazione sul punto, la ragione per la quale le esigenze preventive (trattandosi, tra l’altro, appunto, di sequestro preventivo e non probatorio) dovrebbero operare anche in funzione dell’addebito di uccisione di cani (diversi da quelli oggetto dei maltrattamenti) di cui all’art. 544 bis c.p.; né il ricorso può essere finalizzato all’esclusivo fine di sentire affermare, in via di principio, il fumus del reato contestato essendo comunque imprescindibile, versandosi in fattispecie di misura cautelare reale, la sussistenza di un collegamento, nella specie non ravvisato neppure dal ricorso, tra l’addebito mosso e la misura cautelare reale stessa.
4. In conclusione, il provvedimento impugnato va annullato con riguardo all’intervenuto annullamento del sequestro dei cani, intrinsecamente collegato al solo addebito di cui all’art. 544 ter c.p., e rinviato per nuovo esame al Tribunale di Brescia; va invece rigettato quanto al resto.

 

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al dissequestro dei cani di razza beagle e rinvia al Tribunale di Brescia per nuovo esame; rigetta nel resto.

Redazione