Realizzazione di una recinzione ad elevato impatto urbanistico: necessario il permesso di costruire (Cons. Stato n. 1922/2013)

Redazione 09/04/13
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FATTO

1. La sentenza del TAR Emilia Romagna, Parma, 27 aprile 2001, n. 246, oggetto del presente gravame, respingeva il ricorso proposto dalla F. s.r.l. nel febbraio del 1994 per l’annullamento del provvedimento (prot. 17323 del 3 dicembre 1993) con il quale il Comune di Correggio aveva ingiunto il pagamento della sanzione di £. 58.000.000 (già corrisposta dall’appellante in data 10 gennaio 1994) per l’abuso edilizio consistito nella realizzazione del muro di cinta dello stabilimento della proprietà dell’originaria ricorrente. La stessa pronuncia respingeva il ricorso per motivi aggiunti proposto nel gennaio 2001 avverso l’ordinanza di demolizione n. 2164 del 3 giugno 1992 e dichiarava inammissibile l’intervento ad adiuvandum spiegato dalla s.p.a. SILCOMPA.

2. Il primo giudice, in particolare, dichiarava di voler prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso per motivi aggiunti opposte dall’amministrazione comunale per la tardiva impugnazione dell’ordinanza di demolizione, attesa l’infondatezza del ricorso introduttivo.

3. Secondo il Tribunale non poteva condividersi la tesi proposta dalla ricorrente secondo la quale la realizzazione della recinzione non sarebbe stata soggetta al rilascio di alcun titolo edilizio, perché mera espressione della potestà civilistica dello jus ad excludendum alios. Determinante a giudizio del Collegio sarebbe l’imponente struttura del manufatto (realizzato con profilati di cemento), che si sviluppa per circa 346 metri di lunghezza con altezza di metri 2,50, sì da ricadere nella categoria di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale” per la quale è necessario ex art. 1, l. 10/1977, il rilascio della concessione edilizia. Infondata sarebbe anche l’ulteriore affermazione dell’originaria ricorrente secondo la quale l’intervento in questione non avrebbe necessitato di alcun titolo edilizio anche in omaggio a quanto disposto dall’art. 23, comma 1, del PRG comunale. Quest’ultima disposizione, infatti, disponeva la necessità di titolo autorizzatorio per le recinzioni riguardanti lotti edificati. Da qui la legittimità dell’ordinanza di demolizione adottata dall’amministrazione resistente.

4. Allo stesso modo, a giudizio del primo Giudice, corretta sarebbe stata la modalità di determinazione dell’importo della sanzione in misura pari al doppio del valore della costruzione in quanto conforme ai parametri stabiliti dall’art. 10, l. 47/1985 ed adeguatamente motivata considerato il riferimento operato alle dimensioni del manufatto ed al semplice calcolo aritmetico adoperato.

5. Propone appello la F. s.r.l. in data 20 febbraio 2002, censurando sotto diversi profili la sentenza del TAR ed in particolare per:

a) la violazione dell’art. 10, l. 47/1985 e dell’art. 7, d.l. 9/1982, in quanto l’opera realizzata non avrebbe caratteristiche tali da necessitare di concessione edilizia;

b) la violazione dell’art. 4, l. 10/1977, perché l’amministrazione comunale erroneamente sottolineerebbe il mutamento di destinazione urbanistica;

c) la violazione dell’art. 10, l. 47/1985, atteso che la recinzione non genererebbe alcun aumento di valore dell’immobile;

d) il difetto di motivazione in ordine al computo utilizzato per calcolare l’ammontare della sanzione, vizio in ragione del quale l’appellante invoca un accertamento tecnico peritale che stabilisca l’esatto ammontare della sanzione.

6. Con memoria di costituzione del 29 aprile 2002 l’amministrazione comunale ripropone in appello l’eccezione di tardività del ricorso per motivi aggiunti e di conseguente parziale inammissibilità del ricorso di primo grado con ciò che ne discende sull’appello proposto, in quanto l’ingiunzione di demolizione non sarebbe stata impugnata, nonostante la sua autonoma lesività ed il rapporto di mera consequenzialità che lega l’atto in questione con i successivi, che consentirebbe l’impugnazione di quest’ultimi solo per vizi propri. Quanto all’unico profilo non coperto dal decorso del termine decadenziale, ossia quello relativo all’ammontare della sanzione, la difesa del Comune di Correggio ribadisce la corretta applicazione dell’art. 10, l. 47/1985, considerato che ha utilizzato come riferimento il costo affrontato per realizzare il manufatto e non l’incremento di valore che ne è derivato e che il manufatto in questione ha comportato una modifica della destinazione d’uso dell’area agricola in questione.

7. Con memoria di replica del 15 febbraio 2013 l’appellante ribadisce le proprie ragioni sottolineando l’assenza di modifica della destinazione d’uso dell’area su cui ricade la recinzione. Quanto, invece, all’eccezione di irricevibilità – inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, l’appellante invoca la circostanza scusante della notifica dell’ordinanza di demolizione presso il domicilio del titolare dell’impresa nel domicilio privato a mani della madre e non presso la sede dell’impresa.

8. Con memoria di replica del 26 febbraio 2013 il Comune di Correggio, precisa che la diffida impugnata dopo circa 8 anni è stata notificata a mani della madre del legale rappresentante della società appellante nella sua residenza. Inoltre, all’ingiunzione a demolire è stato fatto esplicito riferimento nel provvedimento gravato e la stessa è stata depositata dall’amministrazione appellata già in primo grado al momento della sua costituzione, sicché se non altro da quella data (4 aprile 1994) deve farsi risalire il dies a quo per il computo del decorso del termine decadenziale. Ribadisce l’amministrazione appellata, infine, la correttezza della scelta di irrogare la sanzione pecuniaria come di determinarne l’ammontare.

9. Con brevi note di replica del 27 febbraio 2013 l’appellante ribadisce l’idea che la recinzione quale espressione dello jus ad excludendum sia necessaria per la tipologia di lavorazioni che vengono poste in essere nell’impianto della società appellante e che l’ingiunzione di demolizione è stata depositata oltre il termine di venti giorni dal termine di deposito del ricorso fissato dall’allora vigente art. 22, l. TAR.

Trattandosi , però, di memoria depositata fuori termine in violazione del dettato dell’art. 73, comma 1, c.p.a., fin da ora il collegio evidenzia che di quest’ultima non potrà tenersi conto ai fini della decisione dell’odierno gravame.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e merita di essere respinto, atteso che risulta corretta l’eccezione riproposta dall’amministrazione comunale in questa sede circa la tardiva impugnazione dell’ingiunzione di demolizione da parte dell’odierna appellante e comunque corretta la ricostruzione giuridica offerta dal primo Giudice in merito all’assenza di vizi di legittimità a carico dei provvedimenti oggetto di impugnativa giurisdizionale.

2. In merito all’eccezione di tardiva impugnazione con ricorso per motivi aggiunti da parte dell’odierna appellante dell’ingiunzione alla demolizione, occorre osservare come, pur volendo far decorrere il dies a quo per l’impugnativa della costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente in primo grado, non può revocarsi in dubbio che l’ampliamento del petitum ad un atto presupposto ma autonomamente lesivo quale l’ingiunzione alla demolizione attraverso il ricorso per motivi aggiunti possa essere proposto dal difensore della parte anche senza ulteriore impulso di quest’ultima (Cons. St., Sez. IV, 11 novembre 2011, n. 5985), giacché i provvedimenti prodotti in giudizio, già richiamati dall’atto impugnato, che attengono al bene della vita di cui si chiede tutela integrano quella piena conoscenza dalla quale decorre il dies a quo per proporre ricorso giurisdizionale. Nella fattispecie l’ingiunzione di demolizione non tempestivamente impugnata ha accertato la presenza di un illecito che non risulta tempestivamente contestata in giudizio dall’odierno appellante, sicché le uniche censure concretamente esaminabili sono quelle proprie del provvedimento sanzionatorio che risulta impugnato entro il termine decadenziale.

3. Ad ogni modo, risulta corretta la ricostruzione giuridica operata dal primo Giudice in ordine alla necessità che la recinzione de qua fosse preceduta da titolo edilizio, atteso che la giurisprudenza sia di questo Consiglio che della Suprema Corte di Cassazione ritiene che la realizzazione di una recinzione che presenti un elevato impatto urbanistico debba essere preceduta ex l. 10/1977 da provvedimento concessorio da parte dell’amministrazione comunale. Atto che non risulta necessario solo in presenza di una trasformazione che per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’interevento non comportino un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale. La distinzione tra esercizio dello jus aedificandi e dello jus excludendi alios va rintracciata quindi nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto. Sotto questo profilo appare utile rammentare la decisione di questa Sezione (Cons. Stato Sez. V, 26-10-1998, n. 1537), secondo la quale: “La concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “jus excludendi alios”; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica”. Nello stesso senso la più recente Cons. St., Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 976: “Necessita di concessione edilizia la recinzione di un fondo rustico realizzata con installazioni permanenti, in quanto produce una significativa trasformazione urbanistica del territorio, a prescindere dalla realizzazione di volumetrie di qualunque natura” (cfr. in aggiunta, sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3046; sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3555 secondo cui <<la nozione di manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del territorio mediante un’attività antropica tesa alla formazione di un opus espressione di ius utendi (come nel caso di specie) più che di ius aedificandi; l’elemento ontologico qualificante dell’attività di manutenzione ordinaria fa sì che gli elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da quelli oggetto di intervento, con il limite che il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente, non potendosi dare origine ad un quid novi>>). Uniforme appare anche la giurisprudenza della Suprema Corte (a far data da Cass. pen., 30 settembre 1988), secondo la quale: “La recinzione di un fondo rustico non necessita di concessione edilizia solo nel caso in cui la stessa venga attuata con opere non permanenti; il provvedimento autorizzativo è, invece, richiesto quando venga realizzata con materiale tipicamente edilizio tra cui rientra la zoccolatura in calcestruzzo” (cfr. in aggiunta Cass. pen., sez. III, 2 ottobre 2010, n. 41518; sez. III, 13 dicembre 2007). Nella fattispecie l’imponenza della costruzione che si estende per una lunghezza di circa 346 metri di lunghezza con altezza di metri 2,50 non lascia dubbi al fatto che si sia in presenza di un manufatto che necessita di apposita provvedimento edilizio abilitativo.

4. Quanto alla doglianza relativa alla scorretta applicazione dell’art. 4, l. 10/1977, posto che l’ingiunzione di demolizione non risulta tempestivamente impugnata anche questa censura può essere non vagliata nel merito e, comunque, seppure fosse corretta non travolgerebbe integralmente la stessa ingiunzione giacché come ribadito al punto 3 l’opera realizzata dall’appellante necessitava di titolo edilizio comunale.

5. Restano in definitiva da vagliare le due sole censure che riguardano direttamente il provvedimento sanzionatorio ed in particolare le modalità di determinazione dell’ammontare della sanzione pecuniaria irrogata. A giudizio dell’appellante, infatti, la recinzione non genera alcun aumento di valore dell’immobile e comunque risulta priva di motivazione la determinazione dell’UTE che ha imposto all’odierna appellante il quantum da corrispondere. La prima affermazione è destituita di fondamento sol che si pensi che nel caso in cui il fondo fosse oggetto di espropriazione il valore venale dello stesso dovrebbe essere commisurato alla stregua di tutti i manufatti sullo stesso insistenti, ivi inclusa la recinzione. Quanto alle modalità di commisurazione la scelta da parte dell’UTE di determinare l’ammontare della sanzione sulla scorta del doppio del valore della costruzione non appare in alcun modo illogica o indeterminata, né considerata la mera operazione matematica che conduce al risultato in questione necessitante di ulteriore motivazione, come nel caso in cui fosse stato utilizzato un parametro, la cui scelta o la cui applicazione non fosse risultata immediatamente intellegibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna F. s.r.l. alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.000,00 (duemila/00), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013

Redazione