Molestie in campo militare: reato militare o violenza sessuale? (Cass. pen. 19748/2011)

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Massima
La clausola di esclusione del reato è operante in tutte le ipotesi in cui manchi una correlazione tra la situazione in cui l’attore agisce ed il servizio militare, considerando come cause estranee al servizio, quelle in cui non è rilevante l’attività militare svolta dal soggetto attivo del reato oppure che, in ogni caso, possano essere collegate ad essa in maniera occasionale.

MOLESTIE IN CAMPO MILITARE: REATO MILITARE O VIOLENZA SESSUALE?

1. Premessa

Con la sentenza che qui si commenta i giudici della Suprema Corte, nella sezione terza penale, hanno precisato, come da precedente giurisprudenza in materia (1) che i fatti di violenza, minaccia e ingiuria commessi tra militari non possono integrare i reati ex artt. 195 e 196 c.p.m.p. nel momento in cui siano collegati in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice occasionalità.

2. La normativa di riferimento

Il citato articolo 195 (violenza contro un inferiore) del codice penale militare prevede che “Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. Se la violenza consiste nell’omicidio volontario, consumato o tentato, nell’omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale.
La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.
Il successivo articolo 196 (minaccia o ingiuria a un inferiore) “Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. Il militare, che offende il prestigio, l’onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni.
Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all’inferiore.
La pena è aumentata se la minaccia è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell’articolo 339 del codice penale. Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre a quindici anni!”.

3. Conclusioni

Nella decisione in oggetto i giudici della Corte hanno annullato la condanna nei confronti di un sergente, condannato dalle autorità militari per il reato di cui all’articolo 195 c.p.m.p., ossia la violenza contro un inferiore.
Secondo quanto precisato dalla Cassazione nella fattispecie oggetto di controversia trova applicazione l’articolo 199 c.p.m.p., che, disciplinando le cause estranee al servizio o disciplina militare, dispone che il reato militare in oggetto non può trovare applicazione nel momento in cui venga commesso, appunto, per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio oppure a bordo di una nave o, ancora di aeromobile militare.
La presunta molestia sessuale commessa dal sergente, secondo il ragionamento seguito dalla Corte, sarebbe totalmente estranea sia rispetto al grado ricoperto, che alle funzioni ed al servizio svolti dalle parti in causa (vittima e autore del fatto).
Ovviamente l’insussistenza del reato militare non porta alcuna conseguenza per quanto concerne la procedibilità per il reato di violenza sessuale (2) dinanzi alla competente autorità giudiziaria.
I giudici della Corte, infatti, andando oltre, precisano l’inquadramento della vicenda de qua nella fattispecie di cui all’articolo 609 bis del codice penale.

Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano (Aq)
Direttore Amministrativo Fondazione Studi Giuridici “Cassinelli – Buccini” c/o COA Avezzano
Docente in corsi di formazione professionale; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano (Aq)

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(1) Cfr. Cass. pen., sez. I, 8 ottobre 2002, n. 41703.
(2) Sulla procedibilità d’ufficio per il reato di violenza sessuale quando il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni; tale articolo prevede, tra l’altro pene più severe rispetto alla violenza contro un inferiore come previsto dal codice penale militare.

Sentenza collegata

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