Rapporto di lavoro illegittimamente interrotto dall’Amministrazione: i diritti spettanti al dipendente pubblico (Cons. Stato n. 3640/2013)

Redazione 09/07/13
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FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, ex medico condotto, poi transitato alle dipendenze della USL n. 40 di Taormina con la qualifica di assistente medico, ed altresì convenzionato per la medicina generale, dopo essere stato diffidato a far cessare l’incompatibilità, derivante dall’art. 4, comma 7, della legge 412/1992, in relazione al duplice rapporto di lavoro con il SSN, è stato dichiarato decaduto con provvedimento commissariale n. 853 in data 2 agosto 1994.
2. Il TAR Lazio, con la sentenza appellata (I-bis, n. 8029/2009), ha respinto il ricorso.
In appello la sentenza è stata riformata (III, n. 4653/2012), con annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Questa Sezione ha affermato che il TAR, dopo aver dato per scontata l’esenzione dei medici ex condotti dal regime di incompatibilità (tesi sostenuta dal ricorrente), aveva poi, erroneamente, ritenuto che l’opzione per il tempo definito, esercitata dal ricorrente ex art. 28 del d.P.R. 348/1983, gli avesse fatto perdere lo status di ex medico condotto, conclusione che però non trova giustificazione nella normativa.
3. In dichiarata esecuzione della sentenza, con provvedimento n. 3679/CS in data 28 novembre 2012, l’ASP di Messina lo ha riammesso in servizio come dirigente medico ex medico condotto a tempo definito.
Nel provvedimento si prevede anche di « procedere, con successivo atto, a rideterminare il trattamento economico spettante all’interessato, conseguente alla predetta sentenza, tenuto conto anche del trattamento pensionistico percepito ».
4. In sede di ottemperanza al giudicato, con ricorso notificato in data 15 febbraio 2013, il ricorrente lamenta che, nonostante successivi solleciti, l’ASP e la Regione Siciliana (subentrata per legge alla Gestione liquidatoria della ex USL n. 40) abbiano omesso di provvedere al pagamento delle somme dovute a titolo di retribuzioni non percepite a causa dell’illegittima interruzione del rapporto per decadenza.
Chiede pertanto la condanna delle Amministrazioni sanitarie al pagamento delle relative somme, maggiorate di rivalutazione ed interessi (quantificabili, alla data del 15 novembre 2012, in complessivi euro 501.522,50), ed alla conseguente ricostruzione della posizione previdenziale.
Chiede inoltre la condanna, ex art. 30, comma 5, cod. proc. amm., al risarcimento dei danni biologici, morali ed esistenziali e da perdita di chance sopportati per effetto della decadenza (quantificabili nel 20% della somma suindicata).
In corso di causa, ed in relazione a tale ultima pretesa risarcitoria, lamentando di non aver ottenuto il pieno accesso ai provvedimenti “di avviso concorsuale o paraconcorsuale” con i quali l’Azienda, a partire dalla data del licenziamento, aveva “bandito posti o incarichi cui avrebbe potuto aspirare”, ha proposto ricorso ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm., per ottenere la produzione in giudizio di detti atti. Quest’ultimo ricorso, tuttavia, è stato rinunciato in udienza.
5. La ASP di Messina e la regione Siciliana, intimate, non si sono costituite in giudizio.
6. Il ricorso merita di essere parzialmente accolto, nei sensi e limiti appresso indicati.
6.1. Costituisce jus receptum che, laddove venga annullato in sede giurisdizionale l’atto con il quale l’Amministrazione abbia illegittimamente interrotto o risolto il rapporto di impiego, al dipendente vincitore spetta l’integrale restitutio in integrum nel rapporto medesimo, ai fini sia giuridici che economici, e quindi anche la corresponsione delle competenze retributive relative al periodo di illegittima interruzione del rapporto (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, A.P., 12 dicembre 1991, n. 10; III, 7 dicembre 2012, n. 6446; IV, 27 gennaio 2011, n. 611; V, 6 settembre 2007, n. 4690; VI, 9 marzo 2011, n. 1484).
Peraltro, ciò che è dovuto a titolo di restitutio in integrum sono solo gli emolumenti derivanti da prestazioni ordinarie di lavoro aventi natura di indennità fissa, obbligatoria e continuativa, restando esclusa ogni competenza accessoria che presuppone l’effettività della prestazione di lavoro (cfr. Cons. Stato, VI, 19 marzo 2012, n. 1525; V, 16 giugno 2009, n. 3914).
D’altro canto, il pubblico dipendente, che aspira alla restitutio in integrum agli effetti economici, di un rapporto illegittimamente interrotto, ha l’onere di fornire la prova della mancata percezione di redditi da lavoro da altre fonti nel periodo di illegittimo allontanamento dal servizio (cfr. III, 11 settembre 2012, n. 4798), posto che dall’importo della somma da liquidare a titolo di restitutio in integrum vanno detratti eventuali proventi di altre attività lavorative svolte dal dipendente nel periodo di sospensione (cfr. Cons. Stato, V, 4 ottobre 2007, n. 5158; VI, 7 giugno 2005, n. 2948; IV, 3 ottobre 2005, n. 5254; A.P., 30 marzo 1999, n. 3), sia in quanto dette attività siano state rese possibili unicamente dall’interruzione del rapporto stesso, sia in considerazione dell’esigenza di evitare indebite locupletazioni della parte ricorrente vittoriosa.
Le medesime ragioni, ad avviso del Collegio, inducono a considerare l’aliunde perceptum, se univocamente riconducibile all’illegittima interruzione del rapporto di lavoro, anche qualora derivi non da un’attività lavorativa alternativa ma dal collocamento in pensione.
6.2. Nel caso in esame, la ASP con nota prot. 1303/CS in data 1 febbraio 2013, aveva chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato in ordine al pagamento delle somme dovute al ricorrente, sottolineando che, successivamente al licenziamento, il ricorrente aveva percepito il trattamento pensionistico ed aveva mantenuto il convenzionamento per oltre 1000 assistiti.
La percezione della pensione non è in discussione, ma il ricorrente sostiene che la circostanza non può essere eccepita dalla ASP, e che sarà compito dell’ente previdenziale verificare la compatibilità delle due partite di pagamenti e definire i rapporti con il ricorrente in ragione di quanto da egli verrà percepito.
In ordine all’altra circostanza, risulta che, con nota prot. 2940 in data 1 aprile 1998, la USL n. 5 di Messina avesse contestato al ricorrente di non aver adeguato – dopo l’opzione per il tempo definito ex art. 28 del d.P.R. 348/1983 (che comportava un massimale orario di 28 ore settimanali ed il conseguente obbligo di un massimale di scelta non superiore a 500 pazienti) – il numero degli assistibili all’impegno orario, ed avesse comunicato l’avvio di un procedimento finalizzato all’accertamento di eventuali emolumenti percepiti senza titolo.
Il ricorrente sostiene che nessuna compensazione potrebbe derivare dal superamento del massimale di assistiti, in quanto mai contestato in giudizio, e comunque risultando infondata ogni pretesa di ripetizione.
Il Collegio ritiene che il trattamento pensionistico, non essendo in discussione la legittimità della sua erogazione, né paventato alcun recupero, debba, per quanto sopra esposto, essere scomputato dalle spettanze economiche.
E che, viceversa, non assumano rilievo le vicende del parallelo rapporto convenzionale, in quanto non risulta dagli atti che siano stati accertati formalmente e definitivamente né il superamento del limite di assistiti, né la corresponsione di emolumenti in eccesso, e tanto meno la riconducibilità di simili accadimenti all’interruzione del rapporto di lavoro dipendente.
6.3. Quanto agli ulteriori profili di danno, il ricorrente si limita ad affermarne la sussistenza, ma senza fornire al riguardo alcuna prova, e nemmeno una specifica argomentazione o un riferimento circostanziato.
Soltanto per quanto concerne la perdita di chance, afferma che « proprio al culmine della sua carriera è stato privato di un’importantissima attività corollaria a quella di medico di base e che (…)l’avrebbe certamente aiutato nel maggior numero di assistiti interessati alle sue prestazioni ». Ma, come già sottolineato, nulla viene argomentato in ordine alla effettiva consistenza dell’attività di medico di base e quindi alle effettive correlate possibilità di incremento, anche in considerazione dell’esistenza del limite eccepito a suo tempo dalla ASP.
Le relative pretese risultano pertanto inammissibili per genericità della prospettazione.
6.4. In conclusione, accertato il diritto del ricorrente a percepire il trattamento economico illegittimamente non goduto, relativamente al periodo dalla data di decorrenza della decadenza (che non emerge con certezza dagli atti: il provvedimento è del 2 agosto 1994, ma il ricorrente, nel prospetto di calcolo, indica per le pretese relative al 1994 una decorrenza dal 18 agosto) fino alla data di riassunzione (29 novembre 2012), ad esclusione degli emolumenti strettamente legati alla prestazione lavorativa effettiva, le Amministrazioni intimate vanno condannate, in solido, al pagamento delle relative somme – maggiorate della rivalutazione e degli interessi di legge ex art. 429 c.p.c. secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale – nonché alla regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale del ricorrente.
Nella ricostruzione della carriera economica per il periodo sopra indicato, si dovrà comunque detrarre quanto il ricorrente risulti avere percepito a titolo di trattamento pensionistico, in relazione al periodo di tempo durante il quale il rapporto è stato interrotto.
Ai fini della corretta liquidazione degli importi (cfr. Cons. Stato, A.P., 13 ottobre 2011, n. 18; 5 giugno 2012, n. 18), gli interessi legali e la rivalutazione dovranno essere calcolati separatamente sull’importo nominale del credito retributivo, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, escludendo sia il computo degli interessi e della rivalutazione monetaria sulla somma dovuta quale rivalutazione, sia il riconoscimento di ulteriori interessi e rivalutazione monetaria sulla somma dovuta a titolo di interessi.
7. In considerazione dell’esisto di parziale accoglimento e della natura della controversia, sembra equo disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie parzialmente il ricorso in epigrafe, nei sensi e limiti indicati in parte motiva.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2013

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