Rapporto conflittuale tra dipendente e Amministrazione: non c’è necessariamente mobbing (Cass. n. 3061/2013)

Redazione 08/02/13
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Svolgimento del processo

1. Con separati ricorso, successivamente riuniti, depositati rispettivamente in data 28/7/2004 e 12/10/2006, D.M. L., dipendente del Comune di Alba dal 1980 con qualifica di D2, conveniva in giudizio il Comune chiedendo: l’annullamento della sanzione disciplinare della censura comminatale in data 27/12/2003;

la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione, in suo favore, del trattamento economico corrispondente all’espletamento delle mansioni superiori di funzionario D3 e la conseguente condanna del Comune di Alba al pagamento, a titolo di differenze retributive, della somma di Euro 7.376,00; la condanna del Comune al pagamento, in suo favore, per riposi compensativi non fruiti negli anni 1996, 1997, 1999, 2000 e 2001, della somma di Euro 1.988,32, nonchè la condanna del Comune al risarcimento dei danni biologico, esistenziale e da perdita di chanches quantificato in Euro 50.000 da lei subiti in conseguenza della mancata fruizione di riposi compensativi; la condanna del Comune di Alba alla corresponsione della somma di Euro 212,24 a titolo di compenso per il lavoro straordinario prestato nei mesi di settembre e di ottobre 2003; l’accertamento e la declaratoria dell’illegittimità della sua esclusione dall’incarico di coordinatore del censimento per l’anno 2001 e la condanna dell’Amministrazione a risarcirle il relativo danno quantificato in Euro 3.500,00; l’annullamento delle ulteriori sanzioni disciplinari comminatele in data 27/12/2003, 31/3/2005, 21/4/2005, 4/8/2005, 13/12/2005 e 10/2/2006. Chiedeva inoltre l’accertamento di un’attività di mobbing realizzata nei suoi confronti, o, in ogni caso, l’avvenuto demansionamento e dequalificazione professionale, con conseguente condanna del Comune di Alba al risarcimento del danno sofferto, quantificato in Euro 223.273,00.

Il Comune di Alba, costituendosi in entrambi i procedimenti poi riuniti chiedeva il rigetto delle domande avversarie.

2. Con sentenza 9/5/2008 – 217/2008, a seguito di una lunga istruttoria (con escussione di un gran numero di testimoni), il Tribunale di Alba condannava il Comune al pagamento, in favore della D., della somma di Euro 1.269,94 oltre rivalutazione ed interessi per omessa fruizione dei riposi compensativi maturati per gli anni 1999, 2000 e 2001, dichiarando, con riferimento alle domande relative agli anni 1996 e 1997, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; annullava la sanzione disciplinare della multa nella misura pari a quattro ore di retribuzione comminata alla D. con provvedimento 31/3/2005; annullava la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per mesi sei comminata alla D. con provvedimento 10/2/2006; rigettava tutte le altre domande formulate dalla D.; dichiarava interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.

3. Avverso tale pronuncia proponeva appello la D., insistendo per l’accoglimento integrale della domanda.

Resisteva il Comune di Alba chiedendo la reiezione dell’appello avversario e proponendo appello incidentale con cui chiedeva la riforma della sentenza quanto ai capi accolti.

La Corte d’appello di Torino con sentenza del 16/9/2009, in parziale accoglimento dell’appello principale, respinto l’appello incidentale, annullava le sanzioni disciplinari inflitte dal Comune di Alba a D.M.L. con provvedimenti 4.8.2005 e 13.12.2005; confermava nel resto l’impugnata sentenza; condannava il Comune di Alba a rimborsare a D.M.L. un quarto delle spese processuali del presente grado compensata la parte restante.

4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la D. con sette motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale con quattro motivi.

La ricorrente ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in sette motivi, la ricorrente la illegittimità, anche per mancata affissione del codice disciplinare, delle sanzione disciplinari del 27 dicembre 2003 e del 21 aprile 2005; si duole del mancato riconoscimento del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2059 c.c., nonchè del danno biologico, esistenziale e da perdita di ciance. Censura inoltre la sentenza impugnata per il mancato riconoscimento delle ore di straordinario svolte e della mancata nomina alla funzione di coordinatore nel censimento del 2001. Infine lamenta che la sentenza impugnata non abbia riconosciuto il mobbing da essa sofferto per opera di comportamenti vessatori dell’Amministrazione comunale.

2. Con il ricorso incidentale, articolato in quattro motivi, il Comune sostiene la legittimità delle sanzione disciplinari del 31 marzo 2005, del 10 febbraio 2006, del 4 agosto 2005, del 13 dicembre 2005, erroneamente ritenute ingiustificate dalla sentenza impugnata.

3. Il ricorso principale ed incidentale vanno riuniti in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

4. Entrambi i ricorsi pongono, nel complesso, questioni di merito non deducibili in sede di legittimità, esprimendo un mero dissenso nella valutazione delle risultanze di causa che ha sentenza impugnata ha puntualmente preso in considerazione in riferimento, in particolare, a tutte le numerose sanzioni disciplinari intimate alla dipendente, alcune ritenute legittime dai giudici di merito, altre illegittime, sulla base di un’attenta e puntuale ricostruzione dei fatti quale emergente dalle risultanze di causa.

Questa Corte, quale giudice di legittimità, non ha il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento. 11 vizio di motivazione può emergere solo se, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risultante dalla sentenza impugnata, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Nella specie, non ravvisandosi nell’iter argomentativo della Corte d’appello violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, i motivi tutti, sia del ricorso principale che di quello incidentale, devono essere disattesi.

5. In particolare, quanto al ricorso principale, deve considerarsi innanzi tutto che non è fondata la deduzione della ricorrente secondo cui le sanzioni impugnate sarebbero illegittime per mancata affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti. Correttamente i giudici di merito, all’esito delle deposizioni testimoniali assunte, hanno respinto tale eccezione preliminare ritenendo provata l’affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti sulla base delle testimonianze R., C., F., T., B. e Da..

Da un teste è stato riferito che il codice disciplinare si trovava affisso in bacheca già dal 1999, epoca del trasferimento dei locali del Comune. Altri testi hanno comunque riferito dell’esistenza del codice disciplinare affisso in “qualche bacheca dell’ufficio” precisando che comunque il codice disciplinare era stato consegnato a tutti i dipendenti al momento della sottoscrizione del contratto.

Quanto poi alla sanzione disciplinare del 27 dicembre 2003 la Corte territoriale ha considerato che essa venne inflitta alla D. con provvedimento 27/12/2003, in seguito alle contestazioni formulate dal Comune di Alba con lettera 25/11/2003 e consistente nei seguenti addebiti: 1) essersi presentata il 6/11/2003 sui posto di lavoro nonostante fosse in infortunio sino all’8/11/2003; 2) aver proferito, il 6/11/2003, nei confronti del Direttore Generale, durante una conversazione telefonica svoltasi negli uffici comunali ed alla presenza del pubblico, frasi offensive ed irriguardose; 3) aver affisso nella bacheca del Comune la propria nota 18/11/2003 precedentemente inviata all’Amministrazione Comunale, lettera avente carattere denigratorio nei confronti del Comune e del Dirigente; 4) aver inviato al quotidiano Gazzetta di Alba una lettera, pubblicata sul numero 18/11/2003, contenente affermazioni denigratorie nei confronti dell’Amministrazione. Tali fatti, oggetto delle contestazioni suddette, sono risultati – secondo la Corte d’appello – provati e non contestati. In particolare ha osservato la Corte territoriale che i toni e le espressioni usate nella conversazione telefonica avvenuta con il Direttore Generale il 6/11/2003 e la successiva affissione, da parte sua, nella bacheca del Comune, della nota precedentemente inviata all’Amministrazione Comunale, avente carattere denigratorio nei confronti del Comune e della Dirigenza, erano contrastanti con il dovere di correttezza di cui all’art. 23 comma 3 lett. f) del CCNL applicato al rapporto.

Quanto poi alla sanzione disciplinare del 21 aprile 2005 della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per un giorno inflitta alla D. in relazione alla contestazione 4/3/2005, essa si fondava su un comportamento irriguardoso nei confronti della Dott.ssa B., superiore gerarchico della D., destinataria di espressioni ingiuriose provenienti dalla stessa. La natura dell’addebito, unita alla considerazione della contestata e sussistente recidiva specifica, giustificava la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione pari a giorni uno di cui all’art. 25 c.c.n.l..

Quanto poi al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2059 c.c. – danno biologico, esistenziale e da perdita di ciance – per effetto della mancata fruizione dei riposi compensativi, la Corte territoriale ha ritenuto non provato l’ulteriore danno dedotto (biologico, esistenziale e da perdita di chances) rispetto a quello riconosciuto dal primo Giudice e risarcito mediante la corresponsione di una somma (Euro 1.269,94) a titolo di ristoro per l’attività prestata dalla D. per gli anni 1999, 2000 e 2001 nei giorni, individuati singolarmente, in cui ella avrebbe dovuto usufruire del riposo compensativo.

Quanto al mancato pagamento delle ore di straordinario, ha osservato la Corte territoriale che, avendo il Comune dedotto, in relazione alla suddetta domanda formulata dalla D., che sedici ore di straordinario non erano state, nè necessarie, nè autorizzate, la ricorrente avrebbe dovuto provare di essere stata autorizzata allo svolgimento dello straordinario azionato, alla luce del principio giurisprudenziale in materia di pubblico impiego, secondo cui il diritto del dipendente pubblico al compenso per lavoro straordinario postula pur sempre la sussistenza dell’autorizzazione in via preventiva o in via di successiva sanatoria da parte dell’Amministrazione di appartenenza.

Quanto alla mancata nomina alla funzione di coordinatore nel censimento del 2001 la Corte d’appello ha ritenuto che il Comune non aveva affatto individuato criteri di selezione arbitrari dei coordinatori, al solo fine di escluderla dalla nomina. Al contrario il Comune di Alba esercitò i poteri discrezionali attribuitigli seguendo i criteri posti precedentemente in una sua circolare, e nominando due dipendenti in possesso del diploma di laurea che costituiva titolo preferenziale per la nomina e preferendoli alla D., non in possesso del diploma di laurea.

Quanto al mancato riconoscimento del mobbing che la D. lamentava di aver subito la Corte territoriale ha registrato una conflittualità da tempo esistente tra la D. ed il Comune di Alba, che però era in sè inidonea a configurare un vero e proprio comportamento mobbizzante da parte dell’Amministrazione.

6. Anche il ricorso incidentale esprime mere censure di fatto.

Quanto alla sanzione disciplinare del 31 marzo 2005 la Corte d’appello ha osservato che la D. ebbe una reazione verbale veemente ed aggressiva allorchè l’addetta all’Ufficio personale Santoro le fece osservare di aver recuperato non correttamente un permesso breve. Non di meno lo sfogo verbale della D. non aveva avuto ad oggetto ingiurie o calunnie specifiche, nè era emerso che detto sfogo fosse avvenuto alla presenza di terzi, in termini tali da poter screditare, all’esterno, l’Amministrazione; sicchè la sanzione disciplinare non era giustificata.

Quanto alla sanzione disciplinare del 10 febbraio 2006 la Corte d’appello ha puntualmente osservato che contestazione, per la sua estrema vaghezza e genericità, non poteva assurgere ad addebito adeguatamente formulato nei confronti della dipendente e tale da costituire un valido presupposto per l’irrogazione della sanzione disciplinare.

Quanto alla sanzione disciplinare del 4 agosto 2005 della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione pari a giorni 15 inflitta in riferimento all’addebito contestato con lettera 14/7/2005 per aver aggredito ed insultato telefonicamente, durante l’orario di ufficio, alzando notevolmente il tono di voce ed alla presenza del pubblico, la collega ******, la Corte territoriale ha osservato come fosse stato un disguido a scatenare la reazione della D. e come quest’ultima sostanzialmente avesse ragione; inoltre non emergeva l’esistenza di particolari offese proferite dalla D., risultando solo un tono alto di voce utilizzato dalla stessa per affermare le proprie ragioni. Tale oggettivo contesto non giustificava l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione per quindici giorni.

Quanto alla sanzione disciplinare del 13 dicembre 2005 della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione pari a giorni dieci inflitta alla D., la Corte d’appello ha osservato che le precisazioni rese dalla teste B. avevano chiarito che le domande di permesso studio relative all’ottobre 2005, ove non detratte dall’autorizzazione 2006, le sarebbero state considerate, indipendentemente da una sua domanda in tal senso, come “aspettativa per motivi personali” e non come “assenze ingiustificate”, il che significava semplicemente che le relative assenze non sarebbero state retribuite. La sanzione disciplinare quindi, irrogata per le assenze “ingiustificate” relative ai sei pomeriggi dell’ottobre 2005, era dunque infondata.

7. In conclusione entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione della reciproca soccombenza) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Redazione