Rapporti fra illecito edilizio e violazione delle distanze legali (Trib. Brindisi, 15/12/2011) (inviata da A. I. Natali)

Redazione 15/12/11
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Rapporti fra illecito edilizio e violazione delle distanze legali, evidenza la tendenziale irrilevanza, ai fini civilistici, delle violazioni della normativa pubblicistica, fatta eccezione per le norme c.d. integrative della disciplina della proprietà privata. Si sofferma, altresì, violazione delle norme paesistiche e sulla tutelabilità, alla stregua delle prime, del “panorama”

 

FATTO E DIRITTO
Nel caso di specie, l’attore ha chiesto la rimessione in pristino e il risarcimento del danno, perché i lavori eseguiti dalla convenuta sui suoi immobili ubicati in Ostuni alla VIA………. avrebbero, a suo dire, comportato la privazione “della veduta panoramica che ne costituiva l’elemento di maggior pregio”.
Infatti, i lavori, benché autorizzati dal Comune, sarebbero stati in violazione delle norme di legge e, in particolare, del vincolo paesaggistico.
La domanda deve essere rigettata.

L’irrilevanza delle violazioni della normativa pubblicistica fatta eccezione per le norme c.d. integrative della disciplina della proprietà privata

Ai sensi dell’art. 869 c.c., “i proprietari d’immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti”.
Stabilisce, poi, l’art. 871 c.c. che “le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali. La legge speciale stabilisce altresì le regole da osservarsi per le costruzioni nelle località sismiche”.
Inoltre, il legislatore ha previsto al successivo art. 872 c.c. che “le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall’articolo precedente sono stabilite da leggi speciali. Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da queste richiamate”.
Alla stregua delle disposizioni de quibus, quindi, la violazione delle norme in materia edilizia assume rilevanza su due piani distinti: l’uno di carattere meramente amministrativo, concernente la lesione dell’interesse pubblico acchè le costruzioni siano realizzate in ossequio alle regole imposte dalla P.A.; l’altro, di carattere privatistico, riguardante le posizioni giuridiche soggettive di coloro che dall’opera illegittimamente realizzata possono patire un qualche pregiudizio; ciò, ogniqualvolta le disposizioni legislative abbiano valenza integrativa della normativa in materia di tutela della proprietà individuale.
Come noto, per contro, la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra p.a. e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonché dalle norme dei regolamenti edilizi e dai piani regolatori generali locali.
Ne consegue che, ai fini della decisione delle controversie tra privati derivanti dalla esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto la esistenza della concessione (salva la ipotesi della c.d. licenza in deroga), ovvero il fatto di avere costruito in conformità alla concessione, non escludendo tali circostanze, in sé, la violazione del codice civile e degli strumenti urbanistici locali; quanto la mancanza della licenza o della concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni normative sopra indicate (cfr. Cass. Civ. n. 6038 dell’ 11.5.2000).
In caso di opere realizzate in violazione di una o più norme in materia urbanistica, tuttavia, nell’inerzia della P.A. che non interviene per conseguire l’eliminazione dell’opera in tal modo edificata, il privato che per effetto della stessa abbia visto una indebita ed illegittima lesione del suo diritto dominicale, con la compromissione di una delle diverse facoltà ad esso connesse, può agire in giudizio per ottenere il ripristino della situazione di legalità violata ed il risarcimento del danno subito.
E ciò in quanto in tema di proprietà edilizia, la disposizione di cui all’art. 869 cod. civ. – secondo la quale i proprietari d’immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti – va coordinata con quella di cui al successivo art. 872, che attribuisce al privato la tutela risarcitoria del proprio diritto soggettivo a seguito della violazione delle norme urbanistiche integrative del codice civile, senza subordinarla all’annullamento di provvedimenti amministrativi (Cass. Civ. n. 742 del 20.1.2003).
È indubbio, poi, che tra le norme dirette a tutelare l’interesse pubblico ad un armonico assetto urbanistico, ma che assumono rilevanza anche nei rapporti tra privati, rientrano quelle a tutela del paesaggio, ogni qualvolta impongono limiti all’attività edilizia la cui inosservanza può risolversi in un nocumento per il proprietario di un immobile inserito nel territorio oggetto di tutela.
Costituisce, infatti, ius receptum, perciò, in giurisprudenza il principio secondo cui i vincoli imposti a tutela del paesaggio dai piani regolatori o dai regolamenti edilizi comunali (ovvero anche dai piani territoriali paesistici in quanto recepiti da detti strumenti urbanistici con natura normativa), nella parte in cui contengano anche prescrizioni di edilizia rilevanti sul piano dei rapporti di vicinato, come quando fissino distacchi minimi fra costruzioni, ingenerano diritti soggettivi in favore del proprietario da essi avvantaggiato il quale, pertanto, può denunciarne la violazione davanti al giudice ordinario, con le azioni contemplate dall’art. 872″ (Cass. Sez. Unite n. 3659 del 18.6.1985).

La violazione delle norme paesistiche e la tutela del panorama

Nell’ambito dei rapporti privatistici, poi, è innegabile che, alle predette integrazioni – ovvero quando siano violate norme poste a tutela anche del vicino – oggetto di tutela possa essere anche il panorama goduto dal proprietario di un immobile limitrofo a quello interessato da un illecito intervento edilizio, quale elemento di pregio che costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà.
Infatti, il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, secondo determinati “standard” edilizi a norma dell’art. 872 cod. civ., costituisce un danno ingiusto, come tale risarcibile e la cui prova va offerta in base al rapporto tra il pregio che al panorama goduto riconosce il mercato ed il deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno o al ridursi di tale requisito.
Infatti, il panorama costituisce un vantaggio, una qualità positiva per un appartamento, di cui accresce il pregio.
Allo stesso modo della posizione (per esempio, sulla facciata principale, ovvero su quelle laterali o sul retro dell’edificio); della esposizione, idonea a garantire migliore illuminazione, soleggiamento e salubrità (a mezzogiorno o a nord); dell’altezza del piano rispetto al suolo, il panorama raffigura una qualità, specifica ed individuale, la cui esistenza accresce, in misura più o meno considerevole, il valore dell’unità abitativa anche rispetto alle altre unità immobiliari site nello stesso edificio.
Il panorama non è un elemento necessario e connaturale alle unità abitative; è un elemento accidentale (una qualità positiva), derivante dalla natura delle cose e, precisamente, dalla posizione, dall’esposizione e dall’altezza del piano o della porzione di piano e dalla amenità dei luoghi, nei cui pressi l’edificio è costruito. Non tutti gli appartamenti sono panoramici, come possono non esserlo tutte le unità abitative site nello stesso fabbricato. Certamente gli appartamenti, i quali godono del panorama, beneficiano di utilità, di profitti, di forme di godimento, che li rendono più richiesti ed apprezzati.
Peraltro, il panorama, che accresce il valore dell’immobile, può essere diminuito od escluso del tutto da una nuova costruzione, legittimamente edificata in conformità con le norme civili ed amministrative vigenti.
In questo caso, il pregiudizio subito dal proprietario non si qualifica come danno ingiusto e risarcibile ex art. 2043 c.c., in quanto l’opera lesiva fa seguito all’esercizio di un diritto.
Colui che edifica nei modi consentiti è immune da responsabilità nei confronti dei vicini, ancorchè abbia recato danno privando gli immobili del panorama (qui iure suo utitur neminem laedit).
Le conseguenze sono diverse, invece, se la edificazione sia avvenuta in contrasto con la disciplina concernente l’assetto del territorio. Se, cioè, le norme relative all’edilizia, in funzione della tutela degli interessi generali ad un ordinato regime urbanistico e territoriale, quali le limitazioni del volume, dell’altezza, della densità degli edifici; le esigenze dell’igiene e della viabilità; la conservazione dell’ambiente o la tutela delle bellezze naturali agli edifici esistenti garantiscono (sia pure indirettamente) il vantaggio del panorama e, implicitamente, vietano che il panorama sia diminuito od escluso dalle nuove costruzioni, la loro violazione da luogo ad una danno risarcibile.
Infatti, di siffatte norme dettate nell’interesse pubblico, anche gli interessi privati vengono a beneficiare.
Per la verità, la stessa doppia tutela (amministrativa e civile) non avrebbe senso se non si riconoscesse la doppia valenza della disciplina urbanistica, la quale, nel perseguire gli scopi di carattere pubblicistico, ad un tempo svolge la funzione di conformare la proprietà privata a tutela dei singoli. In altre parole, lo scopo pubblicistico perseguito dalle norme urbanistiche non esclude la loro diretta rilevanza nei rapporti di diritto civile; non esclude, pertanto, che dette norme possano essere fonte di diritti soggettivi perfetti.
Dunque, nel caso di diminuzione o di esclusione del panorama, goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, le quali prescrivono determinati “standard” edilizi, a norma dell’art. 872 comma 2 c.c. il pregiudizio arrecato costituisce danno ingiusto e, come tale, risarcibile.
Tale giudizio, siccome si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili o valutabili con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche, esige l’indagine essenzialmente critica e valutativa tipica della consulenza tecnica” (Cass. Civ. n. 3679 del 18.4.1996).

Il caso concreto

Quanto alla fattispecie concreta, risulta provato che gli immobili rispettivamente di proprietà dell’attore e della convenuta ricadono nella zona A di interesse storico-ambientale, in relazione alla quale il piano regolatore generale del Comune di Ostuni, al titolo II, art. 1, stabilisce che “sono vietate demolizioni e ricostruzioni singole. Qualsiasi operazione edilizia sarà attuabile solo in osservanza di un piano particolareggiato che interessi l’intero centro storico e ne proietti nel futuro la sua sistemazione ed utilizzazione. Per le sole operazioni di restauro e di risanamento conservativo, sempre nel rispetto dei valori ambientali e senza alterazione dei volumi, le concessioni edilizie saranno rilasciate previo parere favorevole dell’Ufficio urbanistico regionale e/o della Sovrintendenza ai beni culturali per le opere ad eseguirsi su immobili sottoposti alle norme di tutela di cui alla legge n. 1089/39 e successive integrazioni e modificazioni”.

Al di là delle norme contenute nello strumento urbanistico locale, poi, la disciplina dei beni culturali e del paesaggio è dettata dal D.Lgs. 22.1.2004 n. 42, laddove, all’art. 21, è stabilito che “sono subordinati ad autorizzazione del Ministero: a) la demolizione delle cose costituenti beni culturali, anche con successiva ricostituzione; b) lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3; c) lo smembramento di collezioni, serie e raccolte; d) lo scarto dei documenti degli archivi pubblici e degli archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’articolo 13; e) il trasferimento ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione di archivi pubblici, nonché di archivi di soggetti giuridici privati. Lo spostamento di beni culturali, dipendente dal mutamento di dimora o di sede del detentore, è preventivamente denunciato al soprintendente, che, entro trenta giorni dal ricevimento della denuncia, può prescrivere le misure necessarie perché i beni non subiscano danno dal trasporto. Lo spostamento degli archivi correnti dello Stato e degli enti ed istituti pubblici non è soggetto ad autorizzazione. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. L’autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell’intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni”.
Ed al successivo articolo 23 è previsto che “qualora gli interventi autorizzati ai sensi dell’articolo 21 necessitino anche di titolo abilitativo in materia edilizia, è possibile il ricorso alla denuncia di inizio attività, nei casi previsti dalla legge. A tal fine l’interessato, all’atto della denuncia, trasmette al comune l’autorizzazione conseguita, corredata dal relativo progetto”.
Delineato in tal modo il quadro normativo destinato a disciplinare ogni intervento edificatorio nella zona del Comune di Ostuni in cui sono ubicati gli immobili di proprietà delle parti, l’espletata CTU nonchè le dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del giudizio hanno consentito di accertare natura e l’entità delle opere di ristrutturazione realizzate sul lastrico solare dell’immobile di proprietà della Buneker, consistite, tra l’altro, nell’erezione di un nuovo parapetto e di una ringhiera in ferro.
Tali circostanze, invero, sono state verificate dal C.T.U., il quale ha rilevato che il terrazzo oggetto del contenzioso è stato interessato nel 2004 da lavori di manutenzione straordinaria consistenti nel rifacimento della pavimentazione solare in basole di pietra calcarea tipo ***** e nell’apposizione di parapetto in ferro con altezza di circa cm 40 nella porzione posta in corrispondenza dell’affaccio dell’abitazione dell’attore, e di circa cm 80 sul lato opposto”.
Ha, poi, soggiunto che “in seguito agli interventi sopra descritti anche i prospetti risultano aver subito delle lievi modifiche, sia per l’aggiunta di nuovi elementi sia per modifiche della forma del tetto civico n. 50”. Ha, quindi, accertato che “il terrazzo del civico n. 50 è stato munito di muretto d’attico ad andamento rettilineo orizzontale modificando così il profilo precedente che risultava essere del tipo a due falde poco inclinate”. Il CTU ha chiarito che dette opere “necessitavano di acquisire la preventiva autorizzazione paesaggistica della Sopraintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici della Puglia, da allegare alla DIA”: ha accertato, in altri termini, l’illegittimità degli interventi realizzati dalla convenuta, in violazione delle disposizioni che disciplinano l’attività edilizia nel centro storico di Ostuni.
Nondimeno, non ha trovato idoneo riscontro probatorio l’assunto attoreo secondo cui, per effetto dell’innalzamento del muro perimetrale del fabbricato e dell’istallazione della recinzione metallica, l’immobile attoreo sarebbe stato privato della veduta panoramica che ne costituiva l’elemento di maggior pregio.
Dunque, la domanda deve essere rigettata.
Devono essere poste, in via definitiva, a carico dell’attore, le spese della disposta CTU.
In considerazione della peculiarità della fattispecie ed, in particolare, dell’accertata illegittimità delle opere de quibus, nonché del comportamento processuale delle parti, si ritiene equo compensare nei limiti della metà le spese del presente giudizio, ponendo la residua metà a carico dell’attore.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da **** nei confronti di B.E., così provvede:
1) rigetta la domanda dell’attore;
2) compensa tra le parti, nei limiti della metà, le spese di giudizio che liquida in complessivi €. 2.400,00, di cui euro 1400,00 per diritti ed € 1.000,00, per onorario, oltre iva, cap ed esborsi forfettizzati come per legge, e che pone solo per metà, a carico dell’attore;
3) pone,definitivamente, a carico dell’attore le spese della disposta CTU.

 

IL GIUDICE
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